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L’esame si
svolgeva all'incirca come la prova della sera prima. La differenza stava nel
pubblico più numeroso e in una riduzione del testo. Ifigenia
recitò discretamente. Meglio di tutto le riuscì la scena sul Danubio.
Alla fine i giovani attori furono applauditi a lungo dal pubblico
in piedi, del resto composto in massima parte da amici,
parenti e altri amanti di questa o di quello forse. La mia donna guardava gli
osannatori. Era in calzamaglia poiché la rappresentazione si era chiusa con
gli svolazzi dello Zeppelin erotico incarnato da lei, callipigia scultorea tuttavia
fatta di carne che si muoveva. Io ero in
prima fila, ma fui ignorato. Quando gli applausi terminarono,
Ifigenia si mosse verso il gruppo dei suoi amici che
erano da un'altra parte. Rimasi al mio posto: non volevo avvicinarmi
inopportunamente. Speravo fosse lei a cercarmi con lo sguardo e
a venire da me: non ero nascosto. Mi ero anche aspettato che,
finita la commedia, si sarebbe cambiata, o avrebbe messo
qualcosa sopra la tuta trasparente; invece si era accostata al pubblico con
il seno in evidenza. Questo mi dava fastidio: non era più per
esigenza scenica che andava mostrando il petto con tutte e due le poppe 1, da donna sfacciata qual era. Era vanità, esibizionismo, mancanza di rispetto per il suo uomo se mai
lo fossi stato ancora. Io la penso
così, forse da retrogrado. Anche le sfacciate che mostrano seni e chiappe
sulle spiagge non mi sono simpatiche. Nemmeno eccitanti sono. Una donna fine
non lo fa, ed è più attraente. Piuttosto
mostra le cosce, fin quasi alle mutande, le
adorabili mutande delle donne belle e fini. Gli
amici gridavano: "brava,
brava!!!" come si fa con le prime donne dell’Opera. La volevano tutti, di
qua e di là, come Figaro. Lei
sorrideva allungando il collo, giuliva. Soffrivo parecchio. Finalmente si
accorse di me e venne a salutarmi. Ma non era contenta che fossi presente nel
momento e nel luogo del suo primo trionfo. Oramai non le servivo più, ero di troppo. "Brava",
dissi. "Grazie.
Dov'eri?" "Qui,
dove sono ora". "Ti
sono piaciuta?" "Molto".
Ci fu un momento di silenzio. "Ora che cosa farai?" "Non lo
so - rispose imbarazzata, volgendosi verso gli altri attori - Credo
che i miei compagni vogliano festeggiare in qualche maniera". "Ho
capito" borbottai. Avevo capito che non dovevo entrarci. Ifigenia non
aggiunse parola: mi stava davanti silenziosa e sempre più
imbarazzata. Dopo qualche
secondo la salutai: "Bene. Allora ciao. Sei stata brava.
Continua così". "Ciao,
grazie". Mi mossi
verso l'uscita sperando che mi chiamasse, mi facesse tornare
indietro per dirmi almeno: "Ci vediamo domani". Invece mi lasciò
andare via come se fossi stato uno spettatore qualunque, o un
ammiratore di nessuna importanza, anzi piuttosto importuno. Uscii da quell'ambiente che mi soffocava. Entrai nella bianca Volkswagen,
la scoprii nella notte d'estate precoce, ventosa, calda e profumata. Tornai a casa. Speravo che mi telefonasse. Invece niente. Mi
spogliai e mi stesi sul grande letto dei nostri tripudi. Il dolore mi
ringhiava nel petto: lo accarezzavo, lo scrutavo, cercavo di ammansirlo
perché non mi dilaniasse quale iena affamata, mordace. Pensavo: "E' andata come avevo previsto. Appena si è sentita un'attrice,
si è sbarazzata di me. Tornerà nel fango da dove l'avevo estratta per elevarla al mio linguaggio, alla mia logica, al mio stile.
Questa sera si sente una diva, poveraccia! E' solo una grossolana
plebea. Volgare di anima, di
comportamento, di tutto! Sebbene mi abbia scimmiottato per quasi
tre anni, è rimasta quello che era: fatta per la confusione, per il guazzabuglio dove le piace sguazzare. Ricordo una volta che mi telefonò da via Rizzoli
e andai a prenderla. Era con altre due o tre della sua razza mentale: facevano
chiasso sul marciapiede. Io l'ho tirata fuori di lì. Ora ci torna". Ero steso
sopra il lenzuolo, in mutande; stavo per piangere, ma non volli
lasciarmi andare così. Non era ancora giunto il momento della
catastrofe. Decisi di alzarmi, rivestirmi e tornare nel suo covo per porle delle domande, farla parlare,
ascoltarla. Anche se non
fosse stata sincera, qualche cosa mi avrebbe insegnato.
Villa Fastiggi
26 luglio 2026 ore 13 e 57 minuti giovanni ghiselli
p. s.
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Not a 1 Cfr. Dante, Purgatorio, XXIII, vv. 100-102:"nel qual sarà in pergamo interdetto/alle sfacciate donne fiorentine/l'andar mostrando con le poppe il petto".
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