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Arrivai al
teatro che era circa l'una. Gli aspiranti attori erano
scesi in uno stanzone sotterraneo: festeggiavano il compimento
del lavoro annuale e aspettavano i voti: avevano l'aria di attendere
una promozione generale. Parlavano, o ridevano, mangiavano e
bevevano vino. Vicino alle pareti c'erano lunghi tavoli
coperti di bottiglie e vassoi con frammenti di pasta fritta. I giovani
stavano in piedi nel mezzo della sala con frittelle e bicchieri in
mano. Su piccole pozze multicolori sparse dovunque, galleggiavano
pezzi di fritto unto che irradiava minuscoli arcobaleni.
Lasciavano segni dai colori confusi: erano enigmi difficili da risolvere . Appena mi
ebbe notato, Ifigenia mi corse incontro e fece: "Ciao
amore, stavo per telefonarti". "Per dirmi che cosa?" "Che mi
mancavi tanto. Sono contenta che tu sia tornato". Si era
ricordata che ci sarebbe stato un altro esame e che potevo esserle utile per superarlo. Sempre che nel frattempo non avesse trovato
un altro supervisore più importante. "Meno
male", pensai, e tirai un sospiro di sollievo, ma senza darlo a vedere. Dissi: "Sono
venuto per domandarti se ti serve un passaggio fino a casa, o se
hai bisogno di me in altro modo". "In
ogni modo io ho bisogno di te, gianni, amore. Stai qua mentre attendo il
voto" rispose, e mi baciò. Aveva capito di essere stata troppo
dura, troppo precipitosa rispetto al compimento, vicino ma
non immediato della nostra vicenda e delle parti che vi recitava:
amante, Musa e parassita. Parlammo della sua prova. Confessò che il il ragazzo portavoce e mimo
di Alfred, durante la scena del bacio,
le aveva messo la lingua dentro la bocca. La
cosa mi spiacque ma non glielo dissi. Né le parlai dello strazio di
poco prima. Aspettava il verdetto della commissione e ne aveva
paura. Arrivò verso le tre: era stata promossa con ventitré
trentesimi. Nell’Università ai miei tempi non era un bel voto. Dopo,
andammo a casa mia e facemmo l'amore assai bene. Ricordai che
nel maggio precedente, quando pure ne ero disamorato,
la sera odorosa che la vidi recitare la parte di Nora in Casa di
bambola, provai un'attrazione forte, rinnovata, tanto palese che a
letto, disse: "Questa sera mi ami molto, quanto una volta; però adesso mi
tratti come una pari tua. Ne sono felice. Vedrai che non ti deluderò". Forse,
vedendola sul palcoscenico, mi eccitava il pensiero che gli altri uomini
presenti in sala l'avevano desiderata, ma lei faceva l'amore solo
con me. Le dissi: “una gioia profonda mi prende vedendoti viva” 1 La mattina
seguente dormimmo a lungo. Il pomeriggio andammo a Marina di
Ravenna. Durante il viaggio le svelai
la mia pena dell'ultima
settimana nella quale mi ero sentito trascurato, e la sofferenza
della sera prima per il fatto che, finita la commedia, non si era
rivestita subito e mi aveva negletto. Del bacio
concesso al collega, il cui pensiero, pur non straziandomi, mi dava fastidio,
non feci parola, poiché in fondo poteva essere giustificato come esigenza scenica. Rispose che
il mio desiderio di non vederla girare in mezzo al pubblico con
quella calzamaglia trasparente poteva essere legittimo,
ma la preparazione, la recita stessa, e l'immediato dopo-recita,
l'avevano impegnata tanto che nemmeno
se glielo avessi chiesto avrebbe potuto stare con me più di così. Su questo punto fui io a darle ragione,
sicché ci trovammo d'accordo. Arrivati alla spiaggia, ci venne voglia di
fare l'amore subito, in un luogo qualunque, purché un poco riparato dagli
sguardi altrui. Insomma come ai bei tempi. Ma erano solo gli ultimi guizzi di
una fiamma lontana 2 e morente. Ci chiudemmo
in un capanno. Mi venne in mente un'espressione carica di amore e odio dei
Fratelli Karamazov: "Prima mi facevano languire soltanto le
flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho
trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo 3!" Per un poco di tempo sperai ancora una volta
che i nostri orgasmi si sarebbero
elevati fino all'intesa spirituale, alla trasfusione delle anime. Quando
uscimmo di lì, stremati per la scomoda posizione e l'aria pesante nella quale
ci eravamo scambiati un piacere affannoso, mi domandò: "gianni, perché non facciamo un bambino?" "Quando?" "Subito". "Perché
subito?" "Perché
io ne ho bisogno subito". "Possibile?" "Sì,
adesso mi sento molto infelice". "Non mi
sembra un motivo buono. Aspettiamo di essere più soddisfatti,
o almeno più equilibrati. Potremo farlo allora. Tu ieri sei stata
brava; presto reciterai davvero, a teatro, o al cinema, e ti sentirai
realizzata; io ricomincerò a scrivere. Se ci andrà bene, saremo
contenti di noi e metteremo al mondo un figlio per renderlo
partecipe della felicità nostra". Dissi queste
parole pieno di sincero ottimismo, siccome mi inorgogliva
il pensiero che Ifigenia volesse un bambino da me. Ancora
l'amavo nonostante tutti i sillogismi implacabili della mia povera mente
spietata. L’amore del resto non è riducibile a dei sillogismi, soprattutto se
son difettivi in quanto prodotti da menti insensate. Sentita la
mia risposta negativa, Ifigenia si mise a piangere e continuò a lungo. Quando fu
sazia di lacrime, disse: "Non so tu, gianni, ma io sono molto disgraziata. Lasciami, se devo rendere tale
anche te". "No - risposi - finché
tu vorrai stare con me, e non mi mancherai di rispetto,
non ti lascerò, poiché ti amo, e sono convinto che la nostra
unione darà altri frutti buoni. Ma da che cosa dipende questo tuo
accesso di dolore?" Non seppe o
non volle rispondermi. Poco dopo,
il suo umore migliorò. Siccome pensavo troppo a me stesso,
credetti che avesse dei sensi di colpa nei miei confronti, forse per avere fornicato. Magari era pure rimasta incinta di un altro e
voleva attribuirmi il bambino. Questo in effetti non si poteva escludere. Mi sarebbe
capitato più di una volta in seguito. Ma non sono cascato mai in tale
tranello. Oppure piangeva poiché temeva,
o aveva capito, di non avere talento. Non sapeva fingere bene, neanche con me. Tornammo a
casa al tramonto. La serata era bella. Bastava una sua gentilezza, un moto
d'affetto anche sporadico nei miei confronti, per rallegrami. Lei invece
era triste. Rimasto solo, pensai al mio dolore della sera prima, al suo del pomeriggio,
alla nube che oscurava da quasi due anni il cielo del nostro
rapporto. Eppure c'era
una volta una ragazza che faceva brillare le lugubri, lunghissime
sere di novembre e dicembre con una luce più vivida di quella
del sole, quando entrava come una giovane dea nel mio talamo,
togliendosi gli stivali ancora innevati. Che cosa ci era
successo? Quando mi fossi messo a raccontare la nostra storia, avrei dovuto scolpire
immagini splendidissime con l'aurea, solida felicità amorosa delle
prime stagioni, e pure estrarre figure significative dall’ oscurità lugubre degli ultimi tempi.
Villa Fastiggi,
26 luglio 2025 ore 10, 25 giovanni
ghiselli
p.s.
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Note 1 “E’ accaduto in silenzio. Una gioia profonda prende il buio davanti alla giovane viva”, Pavese, Poesie, Paternità, vv. 14-15. 2 Cfr. Foscolo, Notizia intorno a Didimo Chierico:"Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana". 3 Trad. it. Bietti, Milano, 1968, parte quarta, capitolo quarto, p.709
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