mercoledì 30 luglio 2025

Grecia 1981 Capitolo IX. La sera e la notte di Patrasso.

Sbarcati a Patrasso di sera, prendemmo una camera per la notte, poi andammo a mangiare un’insalata greca con un poco di pane e mezzo litro di retzina in un’osteria. Ifigenia si mise in posa anche lì. Da borghese piccina qual era si atteggiava a gran signora fremente di sdegno per il locale modesto. In realtà era un posto adatto ai miei mezzi di poverello da Pesaro tornato in Grecia con l’aspetto di un mendico, come Odisseo.
Un ubriaco ghignava osservando l’assurda, pomposa alterigia della ragazza che trattava con supponenza la cameriera carina e gentile.
 
Mi venne in mente un’altra mia compagna di viaggio che una sera a Patrasso, al ritorno da Delfi nel 1989, fece una scenata per la ragione opposta: l’avevo portata la domenica sera nell’unico locale aperto dove i prezzi erano leggermente più alti che nelle bettole infime. Non avevamo scelta poiché il traghetto per Ancona partiva a mezzanotte con il self service chiuso.
Avevamo pedalato tutto il giorno, digiuni, ed era necessario mangiare.
Ma quella strillò che io sprecavo il denaro. “Si tratta  del mio” risposi.
“Ora mi rinfacci anche le porcherie che mi fai mangiare in questo postaccio esoso oltre che lurido?”, gridò. Era vegetariana per giunta.
Dopo le estati nell’Università di Debrecen, potendo fare i confronti, ho pensato che le donne italiane sono le meno simpatiche d’Europa, siccome vengono viziate e maleducate da uomini imbecilli che si asserviscono ai loro vezzi e capricci. Oppure convivono con dei mascalzoni che le maltrattano e riempiono di botte. Quando non le ammazzano addirittura.
Le vittime vengono indicate come eroine o sante, invece di insegnare alle ragazze a schivare i farabutti appena riconosciuti da certi segni. Le femministe meno intelligenti soffiano sulle fiamme infernali dell’odio tra i sessi rinfocolando l’incomprensione e le sue conseguenze. Gli uomini opportunisti o imbecilli le assecondano scodinzolando. I violenti le picchiano. I criminali le ammazzano.
Immagino che a queste parole seguiranno biasimi e accuse nei miei confronti. Ma come l’eroina Antigone so di essere armonizzato con quelli cui devo piacere. E tanto mi basta molto o poco che sia.

Ora però torniamo all’agosto del 1981.
Quando la cena frugale fu consumata e Ifigenia ebbe terminato la sua quotidiana particina teatrale nella bettola, tornammo all’albergo da due soldi e ci stendemmo abbastanza distanti nel grande letto guardando il soffitto e i fasci di luce intermittenti che provenivano dal traffico della strada. Cercavo di farla parlare rivolgendole domande dirette, ma quella ribatteva con astio nervoso o con accuse offensive che mi inducevano a troncare il discorso. Il solito capo di accusa è che l’avevo prima illusa con una generosità simulata, quindi delusa con la mia vera natura di egoista e narcisista, sempre teso alla supremazia, pur essendo un pezzente e un avaro per giunta.
“Se non fossi stato bravo a scuola e fiero di esserlo - replicai - fin da bambino mi avrebbero schiacciato come uno scarafaggio. I maschi di casa mia erano le pezze da piedi di femmine imperiose. Dovevo piacere alla nonna e alle zie che avevano tutto il potere. Se non mi avessero aiutato loro, assai contente dei  miei successi scolastici, ora vivrei sotto un ponte perché con il mio stipendio non potrei pagare l’affitto, comprare i libri, andare al cinema, a teatro e nemmeno mangiare atro che pane burro e patate ingrassando come un maiale.
Voi donne non perdonate l’insuccesso dell’uomo e in fondo avete ragione. Allora io devo impiegare tutte  le forze che ho per primeggiare, almeno a scuola nella considerazione degli allievi. E nelle corse. So che se non piaccio a me stesso, se non mi amo per primo, tanto meno potrebbero amarmi gli altri”.
“Amati da solo dunque: io non posso amare un uomo come sei tu”
“Come sarei secondo te?”
“Immaturo, vanesio, incapace di amare. Di te non mi fido”
“C’è del vero - pensai - io mi sono meritata questa sfiducia, ma lei, poveretta, quali crimini ha commesso per diventare siffatta? Da giovane donna entusiasta, nel volgere di poche stagioni si è capovolta in un’istriona aggressiva, calcolatrice, bugiarda, oziosa. Ora è molto infelice: non ha perduto fiducia soltanto nella mia persona oramai sparita dai suoi progetti e dalle sue prospettive, ma non si fida più di se stessa, dell’amore, della vita. La metamorfosi cui ho assistito del resto probabilmente ne echeggia altre e ne prefigura altre ancora”.
Questo pensiero però non potei manifestarglielo neppure in maniera coperta: non l’avrebbe capito e avrebbe fatto una scenata tremenda. Forse non sarebbe più venuta a Delfi. Invece, se il dio ci favoriva con un buon vento da ovest, la sera del giorno seguente saremmo già stati in grado di vedere la luce del santuario annidato sul pendio occidentale del Parnaso, montagna sacra ai poeti.
Pregare insieme sull’ombelico del mondo forse ci avrebbe schiarito la mente torbida di pensieri cupi e angosciosi.
Però invocare Apollo provando rancore per la donna distesa con il suo povero fianco mortale nel letto dove tardavo a prendere sonno, sarebbe stata una preghiera nera.
Sicché dissi: “Buona notte Ifigenia. Posso avere sbagliato. Ma ora ho capito: tu mi hai fatto capire. Non ho mai ripetuto lo stesso sbaglio. Se mi dai un’altra possibilità, non fallisco”
“Mi dispiace, gianni. L’amore quando cade si sporca, si rompe e non si raccatta, non si riscatta. Buona notte”.
Ricordava un verso di Eschilo: in questo almeno le ero servito.
“Buona notte Ifigenia. Prima di dormire però ti dico un’ultima cosa. Non pensare male quando mi vedi prendere appunti. Tu sei la mia Musa: dunque non sospettare che scriva sempre parole brutte sul tuo conto”.
Non dissi “lo farò ora sì ora no”, ma lei intese anche la parte  latente nella reticenza.
Infatti non rispose e volse il viso accigliato verso il muro, come mastro don Gesualdo malato a morte.
Temetti che non sarebbe mai arrivata sull’ombelico del mondo: se lungo la costa settentrionale del golfo di Corinto da attraversare con un battello siccome il ponte  in quel tempo ancora non c’era, il vento fosse stato contrario inasprendo le parti in ascesa sui saliscendi continui da San Nicolas a Itea, Ifigenia non ce l’avrebbe fatta, a giungere sull’ombelico del mondo: allora il nostro viaggio nell’Ellade sarebbe stato soltanto un inutile, assurdo massacro mentale oltre che fisico.
 
Villa Fastiggi  30  luglio 2025 ore 15, 54 giovanni ghiselli

p. s.
Da quando ho aperto questo blog nel 2013 attribuisco molta importanza al numero dei miei lettori. Forse faccio male. Del resto scrivo per essere letto, al punto che  se non lo fossi non scriverei.
Leopardi in vita non ebbe il  successo che meritava, sicché nella lettera a Pietro Giordani del 16 gennaio 1818,  scrive: “né io sarò meno virtuoso né meno magnanimo (dove ora sia tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalista parlarne”.
Ho scritto molti libri stampati da editori scolastici e no, sono stato pubblicato  da riviste, da atti di convegni importanti  e  mi rivedo a parlare in diverse conferenze filmate ora presenti in You-Tube, ma i grandi numeri di lettori da quasi ogni parte del mondo li ho raggiunti con questo blog che ha il contatore. Facebook non ce l’ha ma  in compenso vi trovo diversi commenti ogni giorno.

Nessun commento:

Posta un commento