martedì 29 luglio 2025

Grecia 1981 Capitolo III. Ancona. Il traghetto. Il monte Conero. Il cazzotto schivato.

La osservavo pensando accorate parole:
“Bella sei bella, sei l’idea stessa della bellezza venuta qui sulla terra a dare spettacolo. Di questa tua luminosa venustà corporea vorrei salvare almeno una scintilla, dalla rovinosa caduta nell’abisso buio posto al termine della processione macabra che ogni giorno avvicina noi mortali condannati a morte all’esecuzione della sentenza implacabilmente assegnata secondo l’ordine del tempo.
Sei bella, ma non sei più l’Ifigenia che conobbi meravigliosamente quasi tre anni or sono. Piuttosto ti sei rivelata una creatura con la bellezza contaminata da un egoismo incapace di frenare brame brutte, deleterie e meschine .
In un primo tempo con i piaceri del corpo e dello spirito mi hai elevato l’anima fino alla pianura della Verità dove splende la luce del Bene, ma dopo qualche mese, mi hai trascinato in burroni scoscesi. Oramai abbiamo poco da dirci: io voglio imparare dell’altro, tu vuoi drammatizzarti da sola. Faresti bene a indagare te stessa prima delle tue recite. Dovresti cercare di salvarti dai buchi neri del tuo carattere che tendono a risucchiare la parte migliore di te lasciandoti dentro soltanto l’inferno. Io voglio scrivere, ma prima dovrò studiare, osservare imparare, capire.”
 
Intanto eravamo giunti al porto di Ancona. Mangiammo un frutto dell’autunno incipiente e, sempre senza parlare, entrammo nel traghetto greco.
Ifigenia si calò quattro anni quando le fu chiesta l’età dal marittimo che controllava i biglietti per assegnarci la cabina. Non l’aveva fatto apposta, credo, ma con un lapsus comunque non casuale. Era fuoriuscito il suo desiderio latente di cancellare anni di perdite. E si era evidenziata la sua paura di un avanzare degli anni che fanno arretrare lo splendore corporeo senza  la compensazione  del genio espressivo che le mancava. Mi sentii in colpa pensando che non avevo fatto abbastanza per aiutare la sua crescita umana, quando nei primi otto mesi traevo vantaggi non piccoli dalla fresca vitalità di quel giovane corpo di cui mi beavo succhiandone gli umori più saporiti.
Ero stato un avido buco nero anche io con lei.
Subito dopo l’imbarco andammo nella cabina, a dormire ognuno nella sua cuccia. Un paio di ore più tardi, ci alzammo e salimmo sul ponte. La nave costeggiava le pendici del monte Conero che mi sembrava una balena spiaggiata.
Ci eravamo seduti a poppa per prendere il sole.
Osservavo la scia bianca della nave sul mare. Mi vennero in mente le “umide vie” e “il mare canuto” di Omero che aveva anticipato alla lettera quanto vedevo. Da studente rimasi sensibilizzato dall’Odissea la cui lettura intera preparata parola per parola era stata l’impresa richiesta dal primo esame di greco.
“Ecco un’umida via canuta” pensavo, ma non potevo dirlo a lei per non farla infuriare, come era accaduto pochi giorni prima con una tale che se la prese con me credendo che nel dire quelle parole riferite al mare un poco mosso io alludessi copertamente alle sue braccia  muscolose sudate e ai primi capelli già bianchi della sua testa balzana.
“Darò un pugno nel grugno a ghiselli, il maligno cacciatore di femmine giovani” gridò quella megera e sferrò un colpo. Per fortuna riuscii a schivare il cazzotto.
 
Dopo la meravigliosa parentesi dei primi anni Settanta, quelli delle tre finlandesi intelligenti, colte, belle e fini, e dei cari amici incontrati a Debrecen, era tornato il costume dell’antipatia tra gli umani, soprattutto tra quelli di sesso diverso. Si preparava il trionfo dei due massimi “diritti civili”: aborto generalizzato e omosessualità quali segni di libertà e supremazia.
Ripetei solo tra me la metafora omerica pensando che l’artista legge il libro dell’Universo e sa riconoscere la parentela dell’intera natura con se stessa, l’affinità di tutte le cose tra loro.
Nemmeno questo potevo dire all’Erinni che mi tiravo dietro e con la sua furia mi faceva scontare tutti i  peccati che già allora non erano pochi.
“Giovanni peccator sono stato nel talamo” mi dissi.
Non feci nulla per incoraggiare, Päivi a mettere al mondo la nostra bambina con l’aiuto del padre.
Quando nomino il mio santo protettore, il battezzatore e precursore del Cristo,  figlio di una ragazza che, pur senza la presenza di un padre, non abortì, lo distinguo da me stesso chiamandolo sempre “l’onesto Giovanni”.
 
Villa Fastiggi, 29 luglio 2025 ore 12, 24 giovanni ghiselli

p. s.
Amen dico vobis: Non surrexit inter natos mulierum maior Ioanne Baptista” (N. T. Matteo, 11, 11)

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