venerdì 25 luglio 2025

Ifigenia CCXLVI. Il primo maggio. La Futa, il veleno pubblicitario e alcuni versi dell’Antigone di Sofocle come antidoto.

Il primo maggio andammo a Firenze per cambiare aria e vedere i bronzi di Riace. Quando arrivammo però, la sala dell'esposizione era già chiusa. Ci eravamo attardati per strada, stupidamente. 
Durante il viaggio Ifigenia parlò poco: disse che le donne generalmente vengono considerate esseri inferiori dai maschi poiché questi per tutta la vita ammirano il padre e lo imitano quale modello supremo, anche quando è un paradigma di stupidità. Mi venne in mente "Floscio padre di famiglia" 1. Anzi, i pochi uomini liberi e capaci di pensare con la propria testa - continuò la ragazza - sono quelli cresciuti senza l'ombra cupa e opprimente della figura paterna: Leonardo, Mosé, Romolo, Ciro e altri siffatti. L'eroe spesso è un ragazzo sopravvissuto alla malevolenza di un consanguineo adulto. Questa fu l'unica osservazione, se vogliamo interessante, sebbene già sentita da Freud, comunque proprio la sola che fece nell'intera giornata. Tanto che la sera pensai: "costei sciocca del tutto non è, però è ingenerosa".
A Firenze non disse parola, e lungo la via del ritorno, su e giù per la ripida Futa, leggeva le parole scritte nei cartelloni pubblicitari piantati sui margini fioriti della strada tortuosa. Parlava con toni affettati. Oramai non voleva più apparire diversa da quella che era: una guitta e agente pubblicitaria. Per non riceverne troppo dolore, decisi di sganciarmi da quella situazione penosa fissando l'attenzione su qualche cosa di bello, di interessante, di remoto da lei e prossimo a me. Mi vennero in mente alcuni versi dell'Antigone che stavo ritraducendo e commentando. Avrebbe potuto utilizzarli anche lei. Era un altro compito che mi ero fatto assegnare: mi aveva motivato con una lusinga, dicendo che soltanto io sapevo tradurre i tragici greci in maniera da renderli vivi e recitabili.
Quel pomeriggio però la ragazza gracchiava, ignara dell'eroica fanciulla di Sofocle. Continuava ad assordarmi con ripetute letture enfatiche di scritte come "bevete Coca Cola "  e altre schifezze del genere. Se almeno l’avesse confutata con “Ottima è l’acqua” di Pindaro, me ne sarei consolato. Per difendermi, utilizzavo alcuni versi del mio autore che lì per lì mi aiutava a isolarmi dall'istriona strepitante nel vuoto, e mi incoraggiava a intraprendere la via della solitudine per scrivere questo romanzo.

Lettore, voglio proporre anche a te alcune parole dell’Antigone di Sofocle, siccome penso che costituiscano un antidoto al veleno della pubblicità sempre presente nella vita di tutti, e assimilate, possano diventare una forza capace di aiutare la tua parte migliore.
I versi 29 e 30 dunque sono detti dalla sorella che deplora il decreto di Creonte che prescrive di non seppellire Polinice.
"lasciarlo senza lacrime, senza sepolcro, dolce tesoro
per gli uccelli che lo fissano in vista del piacere del pasto2.
Come fanno i voraci che allungano il collo quando vedono arrivare piatti o vassoi stracolmi. “Tali - pensavo - quali avvoltoi, sono i malevoli verso lo spirito umano, quelli che aspettano un suo indebolimento per abolirlo e inghiottire i cadaveri degli uomini mentalmente acciecati. Costei mira a renderti malato e spregevole; stai attento perché se ci riesce, dopo si sentirà giustificata del successivo annientamento con il quale ha deciso di fartela pagare. Infatti neanche tu sei incolpevole. Ma sei addolorato e vuoi rimediare; questa invece vuole distruggere l'immagine e la sostanza umana che cerchi di costruire in entrambi”.
"Dopo avere compiuto un’illegalità santa3ricordai questo efficace ossimoro. Si tratta della cura che si è presa Antigone del cadavere di Polinice. Ripresi a pensare: “Quando agisco contro la stupidità, l'ipocrisia o la violenza degli uomini, pur se questi hanno la preponderanza materiale e l'impunità per soverchiarmi, faccio comunque qualcosa di buono ed esemplare per l'anima dei giovani desiderosi del bene. Devo avere il coraggio di continuare a onorare il cosmo divino e la Giustizia contro i luoghi comuni empi dei più e posso lottare anche da solo: questa, che adesso recita gli imperativi subdoli o perentori dei venditori astuti, in due anni e mezzo mi ha isolato da tutti, e ora mi sta respingendo lontano da sé.
"Poiché è più lungo il tempo nel quale devo piacere ai morti che ai vivi "4, continua il poeta di Colono attraverso la ragazza sororale fino al sacrificio della propria vita.
"In effetti, piacere alla gente usuale, ai presunti vivi che mi giudicano stolto e cattivo per il fatto che studio i classici, mi dedico all’educazione degli adolescenti, amo il sole, la vita e le donne, non mi interessa", pensai.

Intanto Ifigenia non si lasciava sfuggire nessuna delle scritte che vedeva lungo la strada: le declamava tutte, stolta e beata, credendo di recitarle con arte. Io continuavo ad amare l'eroina di Sofocle, considerandola l'antitesi della disgraziata  che pure, soltanto due anni prima aspirava alla giustizia e alla bellezza anche lei, povera creatura.
"Hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati5. Sono parole di Ismene che mette in guardia la sorella dall’irrealismo dei suoi affetti. "Sì, se costei continuerà a gelarmi l'anima comportandosi in maniera tanto ingenerosa e abbietta, dovrò scaldarmi scrivendo la storia degli amori remoti e sepolti, il cui ricordo però attizza ancora la fiamma del cuore, altrimenti ghiacciato da questa istriona, volgare mima della pubblicità che insulta il pudore".
"Ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia6 risponde Antigone a Ismene. "Ecco la sintesi del mio atteggiamento, anzi della mia essenza di Uomo diverso. Anche io devo trovare il coraggio di non frequentare i cretini, i malevoli disonesti, i furfanti bigotti, e la fierezza di piacere soltanto ai buoni intelligenti, vivi o defunti che siano".

Intanto eravamo arrivati alla periferia di Bologna. "Se pure ce la farai, ma sei innamorata dell'impossibile7E’ la replica di Ismene alla sorella. "Devo incontrarne una buona, generosa, leale, oppure stare solo. Comunque basta di questa. Anche troppa. Ifigenia voleva diventare una nuova Ingrid Bergman. "Tutt'al più diverrà una Solvi" pensai. Era una tedescona bionda e formosa negli anni Sessanta. Diceva: "Bevi Peroni, sarò la tua birra". Costei è bruna, ma si stava avviando verso esiti altrettanto insulsi. "totum illud formosa nego: nam nulla venustas,/nulla in tam magno est corpore mica salis8
"E sì che le ho insegnato tante cose nobili, compresa la poesia di Sofocle che sto traducendo, anche per aiutarla. Invece di rifletterci sopra, imparerà a memoria la mia traduzione. Oramai è cieca e sorda alla bellezza e all'eroismo. Non è più colpa mia. Da novembre in avanti, sono stato fedele e giusto con lei" 9
Finalmente arrivammo a casa sua dove ci separammo. Così andò il triste primo maggio del 1981.


Villa Fastiggi,  25 luglio  2025 ore 9, giovanni ghiselli


p. s.

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Note

Cfr. J. Joyce, Ulisse, trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 119. Leopold Bloom mentre fa il bagno" vedeva gli scuri riccioli arruffati del pube fluttuanti, fluttuante chioma della corrente attorno al floscio padre di famiglia, languido fiore che galleggia a languid floating flower".  Quinto episodio, “I lotofagi”, il  bagno. 
eja'n d j a[klauton, a[tafon, oijwnoi'" gluku;n-qhsauro;n eijsorw'si pro;" cavrin bora'"" Sofocle, Antigone prologo, 29-30.
 o{sia panourghvsas jAntigone, prologo, v. 74 
"ejpei; pleivwn crovno"-o{n dei' m j ajrevskein toi'" kavtw tw'n ejnqavde", Antigone, prologo,  vv. 74-75.
"qermh;n ejpi; yucroi'si kardivan e[cei"", Antigone, prologo v.88. parole di Ismene.
ajll j o\id j ajrevskusos  j oi|~ mavlisq  j aJdei`n me crhv (v.89) 
eij kai; dunhvsh/ g  j : ajll j ajmhcavnwn ejra/'"", prologo, v.90. Compilando queste note mi accorgo che dai versi citati manca il 523 quello più significativo dell'amore umanistico di cui infatti ero carente ancora. Del resto all’epoca non avevo completato lo studio di questa tragedia. Quando l’ebbi pubblicata ne regalai una copia a Furio Colombo il quale poi mi cooptò nel “Fatto quotidiano” dove lavorai con soddisfazione finché il mio benefattore fu anche il direttore della testata. Lo ricordo per immutata gratitudine a quest’uomo colto e buono. Ecco il verso 523 dunque “ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfilei'n e[fun", non sono fatta per condividere l'odio, ma l'amore.
Catullo, 86, vv.3-4, quel "bella" nel complesso lo nego: infatti non c'è grazia,/non c'è in un corpo tanto grande un granello di sale. 
Cfr. Shakespeare, Giulio Cesare, III, 2:"He was my friend, faithful and just to me", egli era mio amico, fedele e giusto verso di me. E’ Antonio che parla



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