venerdì 1 febbraio 2013

Diventa quello che sei


La parte conclusiva della prima lezione [1] del mio seminario verterà sul chiarimento del suggerimento pindarico: “diventa quello che sei!” [2].
Trovare e salvaguardare la propria identità è un compito tra i più difficile e pure tra i più necessari e dovuti a noi stessi. Infatti il conformismo, i luoghi comuni, la pubblicità, la pressione possente della massa esigono la rinuncia di ciascuno alla propria individualità. 
Il gregge avverte l’eccezione come pericolosa per il proprio biascicare e ruminare. L’anomalia è ritenuta una colpa. Anche quella in meglio.  
Diventare se stessi dunque è difficile, persino pericoloso, ma non diventare quello che si è significa non vivere la propria vita, bensì quella degli altri.
Sentiamo Seneca: “Niente  dobbiamo fare con cura maggiore che evitare di seguire il gregge di coloro i quali ci stanno davanti, alla maniera delle bestie, dirigendoci non dove dobbiamo andare ma dove si va” [3]
E ancora: “ nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il si dice” [4].
La maggior parte delle persone non vive la propria vita ma quella suggerita dalle mode lanciate il più delle volte astutamente dai profittatori, ma talvolta perfino dagli imbecilli. Scrisse giustamente Oscar Wilde: “credo che accettare i luoghi comuni della propria epoca sia la più rozza forma di immoralità” [5].
E di infelicità aggiungo, poiché il dolore più grande consiste nella discrepanza tra le nostre possibilità e la nostra realizzazione. Questo è lo spread più angoscioso.
L’Asino d’oro di Apuleio fa vedere come si possa perdere l’identità di uomo e quanto sia difficile recuperarla. Nell’ultima parte del romanzo, il protagonista Lucio che era diventato un asino, rivolge una preghiera alla luna, la Regina del cielo apparsa con uno straordinario splendore sulla riva del mare, chiedendole¨” stacca da me l’orribile aspetto di quadrupede, rendimi alla vista dei miei, rendimi al Lucio che sono” [6].
Platone alla fine della Repubblica racconta il mito di Er, secondo il quale dopo la morte torniamo sulla terra ma prima di essere trascinati alla nuova nascita, filando veloci come stelle cadenti, dobbiamo sceglierci il demone della vita che ci aspetta. La scelta è libera. Lachesi, la vergine figlia di Ananche, infatti dice : “non sarà il demone a sorteggiare voi, ma voi a scegliere il demone”  [7] 
Il demone (daivmwn)  è il destino ed è il carattere di ciascuno [8].  Eudaimonía (Eujdaimoniva), felicità è, etimologicamente, l’accordo con il proprio daivmwn. Se non  ricordiamo, non  riconosciamo e non  assecondiamo quel daivmwn liberamente scelto, saremo infelici e saremo colpevoli della nostra infelicità: “ responsabile è chi ha fatto la scelta, il dio non lo è”[9].
Infatti: “Molti provano penosa tristezza perché tra la loro vita e i loro istinti c'è un tale dissidio, un tal conflitto che la loro vita non è affatto una danza, bensì un faticoso e affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si sono accollati"[10].
Allora per diventare se stessi bisogna prendere le distanze da tutto quanto ci distoglie da questo obiettivo, perfino dai genitori nonostante il rispetto comunque dovuto a loro, Non è un suggerimento blasfemo.
Lo dà anche il Vangelo di Giovanni nel quale il Cristo dice alla madre: " tiv ejmoi; kai; soiv, guvnai; -Quid mihi et tibi mulier? " [11] (2, 4), che cosa ho da fare con te, donna?
Ancora più esplicito è il Cristo nel Vangelo di Matteo: “non veni pacem mittere sed gladium. Veni enim separare

Hominem adversus patrem suum 
Et filiam adversus matrem suam” (10, 34-35), non sono venuto a portare pace ma una spada. Sono venuto infatti a separare l’uomo dal padre suo e la figlia dalla madre. 

Nell’ Achilleide di Stazio, il giovanissimo Pelide deve ribellarsi alla madre, che lo aveva fatto travestire da fanciulla perché non andasse alla   guerra di Troia. Ma il ragazzo, attirato dalle armi le dice :“ho obbedito, madre, sebbene tu ordinassi cose non tollerabili, ti ho obbedito troppo: vado alla guerra di Troia sulle navi dei Greci che mi hanno cercato”[12].  

Dopo il poeta latino sentiamo  Erich Fromm: " Rimanendo legato alla natura, alla madre o al padre, l'uomo riesce quindi a sentirsi a suo agio nel mondo, ma, per la sua sicurezza, paga un prezzo altissimo, quello della sottomissione e della dipendenza, nonché il blocco del pieno sviluppo della sua ragione e della sua capacità di amare. Egli resta un fanciullo mentre vorrebbe diventare un adulto"[13].
Achille sceglie la gloria e con essa la morte precoce pur di emanciparsi dalla madre.
"E' forse questo che si cerca attraverso la vita, null'altro che questo, la più grande sofferenza possibile per diventare se stessi prima di morire"[14].
Per questo l'Adriano della Yourcenar ha voluto conquistare il potere sul mondo:"Volevo il potere. Lo volevo per imporre i miei piani, per tentare i miei rimedi, per instaurare la pace. Lo volevo soprattutto per essere interamente me stesso, prima di morire…Ho compreso che ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte. Quell'ossessione di una vita mancata concentrava i miei pensieri su di un punto, li fissava come un ascesso"[15].
Altrettanto l’imperatore Giuliano nella commedia di Ibsen: “E che cos’è la felicità se non il vivere in conformità a se stesso? L’aquila chiede forse delle penne d’oro? Il leone ambisce avere artigli d’argento? O forse il melograno desidera che i suoi chicchi siano altrettante pietre preziose?”[16].  
Diventare quello che si è costituisce una forma particolare di virtù: “esiste una virtù particolare, che altro non è se non la fedeltà assoluta alla nostra natura, al nostro destino e alle nostre inclinazioni”[17].
Cercare il compimento del proprio destino che è una piccola parte del fato universale, significa accettare l’ordine del cosmo. Il fato si compie comunque: bisogna trasformare la necessità in una scelta
 “Il necessario non mi ferisce; amor fati è la mia intima natura, das ist  meine innerste Natur [18].
L’uomo non solo è infelice ma anche disgustoso quando non assomiglia a se stesso. Diventa ajeikhv~, sconveniente, ossia non ejoikwv~ o  eijkov~,  non somigliante.

"Quando è privo di ogni charis  (cavri~[ (19]), l'essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios  (ajeikevlio~) .Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte….Oltraggiare-cioè imbruttire e disonorare a un tempo-si dice aeikizein  (ajeikivzein),rendere aeikes  (ajeikhv~) o aeikelios , non simile"[20]. Non simile a se stesso.

“Nessuna creatura è più squallida e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio”[21].

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1] 5 febbraio 2013, dalle 17 alle 19, via Zamboni, 32, aula Guglielmi dell’Istituto di italianistica e filologia classica

[2] gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II  v. 72).
[3] Nihil ergo magis praestandum est quam ne pecorum ritu sequamur antecedentium gregem, pergentes non quo eundum est sed quo itur (De vita beata, 1, 3)

[4] nulla res nos maioribus malis implĭcat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3)
[5] Il ritratto di Dorian Gray, p. 88.

[6] Depelle quadripedis diram faciem, redde me conspectui meorum, redde me meo Lucio ” (XI, 2),
[7] oujc uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll& uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (Repubblica 617e),

[8] Cfr. h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn di Eraclito, Fr. 91 Diano, il carattere è il destino dell’uomo.
[9] aijtiva eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~ (Platone, Repubblica, 617e)
[10] H. Hesse, Klein e Wagner, p. 126.
[11] T. Mann commenta queste parole, da par suo, nel Doctor Faustus:"In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai" (p.691).
[12] Paruimus, genetrix, quamquam haud toleranda iuberes,/paruimus nimium: bella ad Troiana ratesque/Argolicas quaesitus eo” (II, 17-19)
[13]E. Fromm, La rivoluzione della speranza , p. 80.

[14] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 249.

[15] M. Yourcenar, Memorie di Adriano, p. 84.

[16] L’imperatore Giuliano, Atto III, quadro primo.

[17] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 97.

[18] F. Nietzsche, Ecce homo (del 1888), Il caso Wagner,  p. 92.

[19] Fascino.
[20]J. P. Vernant, Tra mito e politica , pp. 210-211.

[21] Nietzsche, Schopenhauer come educatore, III inattuale (1874), p. 166.

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