giovedì 14 febbraio 2013

Il dialogo tragico (seconda parte) e la pace con cena e musica



Ifigenia
Quanto dici sul mio conto è gratuito e inventato. Quando mai mi sarei comportata in maniera irrazionale e autolesiva secondo te?

Gianni
Per esempio due anni fa, quando avresti voluto conservare il nostro amore e invece l’hai mandato in malora con la tua incapacità fisiologica di controllare gli istinti peggiori

Ifigenia
Come no! Tu saresti il socratico dalla razionalità che prevale sull’istinto? Ma fammi il piacere!
Tu dai i numeri. Tutto  quello che dici è falso.
A quali momenti, a quali episodi immaginati dalla tua mente malata ti riferisci?

Gianni
All’estate del 1979, vedi ti do davvero i numeri, alla seconda metà di luglio e ai primi venti giorni di agosto, quando non hai capito quanto avresti dovuto fare secondo logica, secondo morale e secondo la buona educazione che io esigo dalla mia donna, e tu allora volevi che io ti considerassi la mia donna. Ma non hai capito niente. Non hai capito quando a Debrecen non mi mandasti l’espresso che mi avevi preannunciato con un telegramma, non hai capito che in seguito a quella grave inadempienza avresti perduto ogni credito con me: non hai capito che io non sono il tipo di uomo con il quale si possa non mantenere un impegno preso senza perderne tutta la stima.
 Non capivi e ti dimostravi violenta e volgare quando sulla spiaggia di Pesaro mi tiravi la sabbia negli occhi perché esitavo a soddisfare la tua richiesta di fare l’amore nell’acqua bassa, dove tutti potevano vederci. Quando cercavi di levarmi il costume, il vice bagnino, il vecchio Dante si avvicinava imprecando contro di noi, “anime prave”,  nemmeno fosse stato Caronte. Allora tu lo schernivi per la sua vecchiezza. Se fossi stato lui, ti avrei risposto che gli dèi concedono una doppia giovinezza solo alle persone buone[1], quindi a lui no,  e tanto meno a te avrebbero dato questa seconda possibilità..
Ma il poveraccio non se ne intendeva e tu, improba, avevi buon gioco nel canzonarlo per l’antico pelo.
Non capivi niente quando nei mesi successivi, a Bologna, mi impedivi di vedere i film e qualunque spettacolo mi interessasse, sbaciucchiandomi o parlando in continuazione: davanti al televisore, al cinema e a teatro in mezzo a gente irritata. La tua irrazionalità, quando scoppia, è  volgare, talvolta persino violenta: non trova un limite nell’educazione, nella moralità che non hai ancora acquisito o sviluppato in dosi sufficienti. Tu sei troppo egocentrica e incivile per capire i tuoi doveri, rispettare i limiti imposti dal buon gusto, e accorgerti dei sentimenti degli altri.
Certo, bella sei bella. Anche malvestita e non lavata sei bella.
E vederti colpisce la mia sfera diciamo emotiva, al punto che mi si impenna la volontà di fare cose egregie per meritarti, ma io vorrei che mi si drizzasse anche il sentimento morale[2],  il senso del buono  oltre quello del bello. Invece l’etica, derelitta, si affloscia esangue.

Ifigenia
Ma va’ là buffone! Proprio tu vieni a parlarmi di etica, di senso morale!
Dov’era il tuo senso morale, quale conto facevi dei miei sentimenti nel giugno del 1979 quando io ti amavo come in un sogno e tu mi parlavi delle tue ex amanti di Bologna e di Debrecen?
Ti vantavi di averne più dei tuoi innumerevoli anni![3]
Oppure mi lasciavi giudicare dalle tue zie, vecchio bamboccio infantilmente insensato!
E dopo l’estate, quando io ancora ti amavo e avevo bisogno di te, e tu, per non prenderti la responsabilità della mia educazione, ti sei innamorato, squallidamente, di quella supplente stronza e hai smesso di prenderti cura di me dopo esserti tolto la voglia di fare l’amore con me? Ma fammi il piacere, cialtrone! Le hai dimenticate davvero le tue colossali disonestà, o fingi di non ricordatene, e menti ora, come mentivi allora quando dicevi: “ti amo tanto”, mentre eri innamorato di quell’idiota e meditavi di sposarla perché era vergine e di famiglia borghese?
Poi perché ti ricordava tua sorella e le altre donne di casa tua, e addirittura te stesso stuzzicando con quel sembiante aggraziato il tuo morboso attaccamento  alla razza e il tuo narcisismo E quando studiavi giorno e notte per placare i sensi di colpa che ti perseguitavano, siccome facevi torto e mentivi alla tua compagna, a me, che  mi ero affidata a te quando avevo appena vent’anni e avevo chiesto il tuo aiuto  per crescere, allora la tua razionalità ineccepibile e la tua moralità impeccabile dove diavolo erano? Sì, dove avevi messo la tua famosa onestà e la tua infallibile logica quando venivi a letto con me e pensavi a quell’altra, progettavi di sposarla, mentre lei ti faceva le moine e ti lusingava solo perché si aspettava la tua protezione e il tuoi aiuto di professore bravo nell’ambiente   dove si sentiva a disagio? Non crederai mica davvero di essere una persona per bene, con tutto il male che mi hai fatto?
(le ultime parole le ha dette con pathos dolente, quasi piangendo)

Gianni (con aria triste)
Non stai esagerando?

Ifigenia
No, non sto esagerando, anzi, minimizzo le tue scelleratezze. Durante tutto il secondo anno del nostro “stare insieme”, tu mi hai evitato poiché pensavi che passare il tempo con me significasse sottrarlo alla preparazione delle conferenze con cui volevi affascinare quell’imbecille che probabilmente non ti ascoltava nemmeno, comunque non ti capiva e di sicuro non tin voleva. Io allora ho sofferto moltissimo, molto più di quanto la tua “delicata” sensibilità possa immaginare.
Per giunta sei stato stupido: tu che ti atteggi a genio, non hai capito che facevi uno sbaglio, un errore non solo morale ma anche dell’intelligenza: noi due ci aiutavamo a vicenda, eravamo funzionali alla crescita l’uno dell’altro. Più tardi te ne sei accorto anche tu: troppo tardi perché la tua comprensione valesse qualcosa. A un certo punto io non ne potevo più di soffrire e ho smesso di amarti. Ho cominciato a provare interesse per altri uomini. Allora hai cominciato a soffrire tu, perché, prepara il male a se stesso chi lo infligge a un altro. Me lo hai detto più di una volta, tu che lo hai imparato a memoria[4] senza averlo mai capito, da erudito cretino e disonesto quale sei. E’ stato il dolore che ti ho dato per difendere me stessa, soltanto il dolore che ti ha reso morale[5] e logico, non la tua onestà, né la tua intelligenza.

Gianni (sempre triste, pensoso e calmo)
Sì, c’è molto di vero in quello che dici. Tu in effetti mi hai reso migliore prima con la bellezza e la gioia, poi con il dolore. Per questo ti amo.
Però è anche vero che quando mi sono “perdutamente” innamorato della piccola collega lusingatrice e mi sono messo a studiare come un matto per fare bella figura con lei, l’ho fatto perché tu non mi davi più stimoli: mi annoiavi, mi disturbavi con parole e atti insipidi. Tra noi non poteva andare avanti così. Tu anzi, secondo me, avevi assunto quell’atteggiamento passivo e stanco perché io ti dessi una lezione. Non potevo approvarti: ti avrei fatto del male.
Comunque ora, scusami Ifigenia, ma non c’è più tempo di parlarne (guarda l’orologio)
Sono le otto e mezzo ed è buio. Ora, usciamo, cerchiamo le dracme, a costo di chiedere l’elemosina tendendo la mano in piazza, poi mangiamo. Io ho una fame boia, tu anche suppongo, e parte del nostro astioso nervosismo deriva dalla denutrizione.

Ifigenia
Va bene, Tanto più che non abbiamo niente da aggiungere.

Uscimmo quasi di corsa. Seguendo l’indicazione preziosa del portiere bene informato, potemmo cambiare le lire in un bugigattolo ipogeo aperto fino alle dieci di sera.  L’ingresso sembrava quello di capo Tenaro[6] aperto sugli inferi, ma risalendo con le dracme per il cibo agognato mi pareva di salire sull’Olimpo, tanta era la fame. Del resto si sa che le montagne incantate hanno le loro radici nel Tartaro. Stavamo uscendo dall’inferno anche mentalmente dopo il dialogo fatto di colpi e contraccolpi[7] di botte e risposte miste di verità e di sofismi cattivi.  Mentre l’usuraio ci cambiava il denaro ci davamo occhiate di sospetto alternate a sguardi di complicità. Questa un poco alla volta si consolidò e prevalse.
Dopo tutto all’epoca eravamo tipi, o tipacci, piuttosto simili.
Dio li fa, poi li accoppia come si dice. Ci diede  una schiarita all’umore tetro del pomeriggio  il cibo mangiato con gusto in una simpatica trattoria vicina all’albergo, il vino resinato, poi  un concerto con la musica rasserenante di Mendelsshon che andammo a sentire nel teatro di Erode Attico sotto l’acropoli chiara di luce lunare. Anche le acropoli delle nostre persone, i nostri cervelli, si andavano rasserenando e rischiarando.
Così potemmo tornare in albergo piuttosto concordi. Ricordavamo con fierezza il gradus ad Parnassum, i voti sull’ombelico del mondo e prospettavamo un futuro di gloria e di gioia per entrambi.
Gli dèi avevano dato un esito inaspettato[8] alla giornata.
 Forse, lettore, anche a te.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it


[1] Euripide, nell’Eracle, fa dire al coro di vecchi tebani: “Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi" kai; sofiva) riguardo agli uomini donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661-669).
Marziale afferma che l’uomo buono che è senza senza rimorsi e gode del frutto della sua vita, accresce lo spazio della sua vita: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7-8).

[2] Cfr. Seneca: “erigitur virtus cum tacta est et impulsa” (Ep., 94, 29) la virtù si drizza quando viene toccata e stimolata

[3] Avevo trentatrè anni ed ero segno di contraddizione (signum cui contradicetur, shmei`on ajntilevgomenon, Nuovo Testamento,  Luca, 2, 34), al pari di Cristo.

[4] Cfr Esiodo:“prepara il male a se stesso l’uomo che lo prepara per un altro,/ e il cattivo progetto è pessimo per chi l’ha progettato”  (Opere e giorni, vv. 265-266).
Ne conservo la memoria. Di questo, di ricordare e citare le frasi belle, non sono pentito.

[5] Cfr. tw`/ pavqei mavqo~, Eschilo, Agamennone, 177.

[6] Il promontorio Tenaro è il punto più meridionale del Peloponneso . Secondo il mito, Eracle scese negli inferi e ne portò sulla terra il cane dell’Ade passando per questa via. Dopo Caronte, non potevo non nominare Cerbero, il cagnaccio dal ringhio metallico, raccontando questa giornata infernale

[7] Cfr. Erodoto: "c'è in Arcadia  Tegea, in luogo piano,/dove due venti soffiano per possente necessità,/ e colpo e contraccolpo, e male su male si posa" (kai; tuvpo" ajntivtupo", kai; ph'm  j ejp  j phvmati kei'tai, Storie,   I, 67, 4).

[8] " Di molti casi Zeus è dispensatore sull' Olimpo (Pollw'n tamiva" Zeu;" ejn jOluvmpw/);/e molti eventi fuori dalle nostre speranze (ajevlptw") portano a compimento gli dèi;/e i fatti attesi non si avverarono,/mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via./Così è andata a finire questa azione"
(Euripide, Medea, vv. 1415-1419). Molto simile è la conclusione dell'Alcesti, dell'Andromaca, dell'Elena e delle Baccanti del grande Euripide

1 commento:

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