lunedì 11 febbraio 2013

Il dialogo tragico nell’albergo di Atene


Proseguo con il racconto della gita semiciclistica in Grecia con Ifigenia.
Una storia di tanti decenni fa.
Ma l’aedo anche da vecchio fa risuonare la memoria e non smette mai di unire le Grazie alle Muse.
 
Sul ritorno a Patrasso andammo a informarci in un ufficio dove ci diedero l’orario sine ira, anzi con gentilezza.
 Quindi prendemmo l’autobus per piazza Omonoia [1] che è il centro della città.
Durante il tragitto, mentre su Atene scendeva la sera, ripensavo alla spiacevole scenata: il comportamento bestiale di quei due barbari mi fece venire in mente le parole di dolore e biasimo indirizzate da Andromaca ai Greci quando le viene detto che i vincitori e distruttori di Troia hanno deciso di ammazzarle il figlio, il bambino Astianatte, per paura che, crescendo, diventi forte e coraggioso come suo padre Ettore.
Ebbene, la madre dolorosa denuncia il crimine orrendo dei massacratori Elleni con queste parole: “o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? [2]
Un filelleno quale sono io non dovrebbe citare questi parole, ma sono state scritte da un greco allattato dalle Muse, poi  quella sera ce l’avevo anche con me stesso.
Mi chiedevo: “bella e appetitosa com’è quella donna, fa bene a girare così seminuda in mezzo a tante belve fameliche?”
Non era una domanda retorica: non sapevo proprio come rispondere, siccome anche io, seppure meno giovane e bello, giravo succinto e discinto, e dopotutto capivo che non era quello il nucleo dei nostri problemi; nel contempo però avvertivo che il nebbioso, confuso risentimento del pomeriggio, proprio in seguito al brutto episodio della stazione, si stava consolidando e indirizzando con precisione sul capo incolpevole di Ifigenia e sul mio che rimuginava ghirigori e vortici di  pensieri caotici: alla prima occasione la nuvola nera e tempestosa avrebbe fatto cadere su entrambi il tonante diluvio di un grave litigio.
L’occasione in realtà me la fornì “l’innocente” prima di cena: quando fummo entrati nella camera dell’albergo trovato dopo lunga e faticosa ricerca sul far della notte, non lontano dalla piazza centrale, adeguato alle mie possibilità finanziarie, eppure decente, poiché ero un professore, dunque un povero, ma avvezzo alla pulizia [3], feci notare alla compagna di viaggio, più taciturna e passiva del solito, che avevamo finito le dracme e dovevamo cambiare le lire [4]  prima della chiusura imminente di tutti gli uffici, altrimenti fino al giorno dopo non si mangiava e forse non si poteva nemmeno dormire poiché eravamo digiuni da ventiquattro ore. Bisognava sbrigarsi: erano già quasi le otto.
Mentre dicevo queste parole, forse, lo ammetto, con nervosismo eccessivo dovuto anche alla fame, quella si pettinava davanti a uno specchio ammirando la propria immagine bella con un’espressione tenera e compiaciuta. Si struggeva di amore di sé [5]. Insomma non sembrava curarsi di quanto le stavo dicendo.
Avrei voluto una sua partecipazione ai problemi comuni e un aiuto almeno morale nell’urgente ricerca di denaro greco e di cibo. Già cercare l’alloggio senza la collaborazione di lei, che anzi aveva elevato qualche protesta sulla categoria non abbastanza elevata dell’albergo, mi aveva dato fastidio. Mi venne in mente quando, pochi giorni prima, avevo fatto una prima volta da solo  la salita da Itea a Delfi, una decina di  chilometri con 750 metri di dislivello e 38 gradi di temperatura, per portare fino all’ombelico del mondo il suo zaino sovrapposto al mio, trovare la camera dove passare la notte amorosa, depositarvi l’opprimente fardello, poi tornare giù a prenderla al porto dove mi aspettava. In discesa fui pure inseguito da un paio di grossi cani che latravano  e digrignavano i denti vampireschi, avidi di azzannarmi le carni. Quando arrivai, Ifigenia dormiva su una panchina. La svegliai e  ripetei la salita con lei,  senza bagaglio. Ricordo che durante la seconda ascesa pensai: “ non verrò più sull’ombelico della terra a pregare, se quanto faccio per questa donna non troverà gratitudine alcuna” [6].  Invece a Delfi sono tornato diverse altre volte con diverse donne, con donne diverse. Gli dèi, grazie a loro, hanno ricompensato la mia devozione e le mie fatiche, umanamente spese.
Poiché non essere tenacemente empi,  pazzi e cattivi  è la salvezza dell’anima e pure del corpo.
Adesso voglio ricostruire il tempestoso dialogo, ricordando, se la memoria mi aiuta, fin le parole violente nelle quali scaricammo tutto il disagio e il risentimento repressi durante quella brutta giornata di nostra vita mortale. 

Scriverò dunque le alterne battute  precedute solo dal nome di chi le pronuncia e da qualche didascalia.

Gianni (è seduto sul letto. Guarda la ragazza con ostilità. Le parla con nervosismo)

Stammi a sentire, bellezza. Ti ho già detto che abbiamo finito le dracme e che dobbiamo sbrigarci a cambiare le lire, se vogliamo mangiare: i soldi italiani non li prendono nei ristoranti. Io ho fame (guarda l’orologio).
Sono quasi le otto. A quest’ora le banche sono chiuse. Usciamo subito per vedere se troviamo un ufficio di cambio ancora aperto in piazza Omonoia. Se no, ci tocca digiunare. Possiamo chiedere di sotto, al portiere.

Ifigenia
Si pettina e si contempla nello specchio con grande compiacimento. Non manifesta alcun interesse per quanto Gianni le dice. Dopo qualche secondo  fa:
Ah sì?

Gianni
(con nervosismo accentuato, non riuscendo a dissimulare l’ira accumulata)
Sì, puoi darmi una mano Ifigenia, oppure devo andare da solo a cercare le dracme per il cibo, mentre tu ti fai bella?

Ifigenia
(sempre ammirando la propria immagine e senza degnare lui di uno sguardo)
Che cosa dovrei fare adesso, secondo te ?

Gianni
(con fatica evidente riesce a cambiare tono: ne assume uno forzatamente calmo. Vuole apparire del tutto  razionale)
Se sei stanca di questo viaggio, possiamo tornare indietro anche subito: tra un’ora c’è una corriera per Patrasso e i nostri biglietti sono di andata e ritorno

Ifigenia
(si volge di scatto e lo guarda con aria aggressiva)
Sì, è meglio se torniamo a casa, ciascuno alla sua. Si può sapere cos’altro vuoi tu da me?

Gianni
(con irruenza e amarezza. Pensa che le sue faticheumanamente spese siano andate tutte perdute” [7] )
Voglio che tu la smetta di fare la parassita. Non puoi venire in giro con me soltanto per guardarti e farti guardare: tu devi collaborare, aiutarmi. Lo vuoi capire o no che alla tua età non puoi comportarti più come  una bambina ?

Ifigenia
(guardandolo con odio e disprezzo)
Tu non sei mica normale

Gianni
(sforzandosi di parlare con calma)
Che cosa vuoi dire?

Ifigenia
(alzando il tono della voce)
E tu che cosa vuoi da me? Io mi sto rimettendo in ordine dopo tre ore di bicicletta, tre di giri a piedi e tre di corriera. Vuoi lasciarmi respirare un momento? La fretta dannata che ti perseguita, tiella per te e non tormentare anche me

Gianni
(guardando l’orologio con ostentazione)
Tu non hai capito o non hai sentito. Te lo ripeto per la terza o la quarta volta: sono già le otto, fra poco sarà buio e non troveremo aperto neanche lo sportello dell’ usuraio più tardivo. D’altra parte abbiamo una gran fame di cui tu presto certamente ti lamenterai con me, e io non ho una dracma per pagare un boccone. Tu neanche hai le dracme. Ebbene, senza dracme non si mangia e non si beve. E affamati nemmeno si dorme. E non dormire non fa bene alla tua bellezza né al mio equilibrio mentale. Allora, se finalmente hai capito, dobbiamo cambiare le lire, e subito. Quindi bisogna sbrigarsi. Io sarò senz’altro un ansioso e un nevrotico oltre che un  mendicante della tua bellezza, ma questa mia fretta di adesso è razionale, è un pathos che discende da un calcolo elementare che anche tu dovresti saper fare.
Ti fai bella dopo, no? Poi, se vai in cerca di complimenti, sei bella comunque. Anzi, sei molto bella. Altrimenti, figurati se ti sopporterei.

Ifigenia
(oramai il tono di entrambi è quello del litigio)
Capirai quale piacere mi fanno i tuoi complimenti! Tu in realtà ce l’hai con me per altri motivi: qualcosa che ti ha dato fastidio ma che non vuoi dire, forse nemmeno a te stesso. Probabilmente la scenata della corriera ti ha fatto pensare che io non dovrei girare in calzoncini. E’ vero?
Oppure che se fossimo venuti qua in bici quel brutto episodio non sarebbe successo. Se volevi girartela tutta con la tua amata bicicletta la tua amata Grecia, dovevi venirci da solo. Così potevi accarezzare i tuoi fantasmi con mano diurna e pure notturna.
Guarda che io sono stanca delle tue esplosioni di irrazionalità!

Gianni
Ah sì, l’irrazionale sarei io?

Ifigenia
Sì, proprio tu, molto più di me, anche se ti sforzi di apparire razionale da quando apri gli occhi la mattina a quando li chiudi la notte.
Poi magari dai di matto nel sonno, ma non te ne accorgi.
Tu hai degli abissi paurosi di follia dentro di te e devi stare sempre in guardia per non caderci a capofitto. Al tuo interno hai delle caverne piene di mostri che ti graffiano il petto e devi tenerli a bada perché non te lo squarcino. Quando perdi il controllo, io sento ululare, ringhiare, latrare branchi di cagne furiose dentro di te; tu non le vedi ma io le vedo [8]; vedo i loro ceffi maligni nel tuo sguardo che quando ti conobbi era bello, intelligente e buono. La tua continua esaltazione del logos è un tentativo di modificare il tuo carattere innato.  Quando la tua vera natura  si libera dalle catene della logica con cui cerchi di tenerla imprigionata e nascosta, allora abbaia, infuria, morde e distrugge i malcapitati che le sono vicini.
Ebbene, stai certo che io non ci sto a lasciarmi devastare da quelle tue  cagne rabbiose.

Gianni
(con tristezza e calma acquisita ascoltando le parole di Ifigenia e riflettendoci sopra)
   C’è qualcosa di vero in quello che hai detto. La parte squilibrata del mio carattere, come tu hai detto, fa parte della mia natura, ma non mi piace e ho il diritto di incepparla, di rifiutarla, anzi di redimerla: di trasformare le maledizioni in benedizioni, le Erinni in Eumenidi, come avviene nell’Orestea di Eschilo. Credo di averne la forza. Come ho avuto la forza di migliorare il mio aspetto che quando avevo la tua età era piuttosto modesto. Allora non avrei avuto il coraggio nemmeno di rivolgere un’occhiata a una donna bella come te. Poi con la volontà, l’esercizio, una continua ascesi mentale e pure somatica, l’ho reso accettabile, anzi piacente, fino a piacere a una  giovane  bella come sei tu.
Nello stesso modo, con una disciplina costante, con un continuo esercizio di logica e di morale, spero di migliorare il mio carattere, di renderlo accettabile e piacente, prima di tutti a me stesso, poi a quelli cui voglio piacere. E ci riuscirò Ifigenia, ti assicuro che ci riuscirò, perché la sensibilità, l’intelligenza e soprattutto la volontà non mi mancano, non mi sono mancate mai. Il mio caos interno io non mi accontento di reprimerlo o celarlo: voglio superarlo moralmente. E se è vero che non ho ancora conseguito una vittoria definitiva sulla mia irrazionalità, è pure vero che riesco a tenerla sotto controllo.
Tu invece dalla tua ti lasci travolgere, o quanto meno indurre a commettere errori enormi che possono compromettere la tua felicità. (continua

Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it

P. S.

Ricordo il programma del mio seminario


Dott.ssa Leila Falà – Università degli Studi di Bologna
Dipartimento di Filologia classica e Italianistica -Ficlit
Via Zamboni 32, 40100 Bologna
Tel . : 051 20 98528

Vi invio il programma del seminario

Come il testo antico parli ai lettori di oggi"  

che il Prof. Giovanni Ghiselli terrà presso il Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, dell’Università di Bologna, via Zamboni 32,
tutti i martedì dal 5 febbraio al 5 marzo, ore 17- 19, aula Guglielmi.

Il seminario è aperto anche ad un pubblico esterno.

Cordiali saluti,
Leila Falà


I Lezione martedì 5 febbraio. Istituto di italianistica e di filologia classica. Via Zamboni, 32.  Aula Guglielmi 17-19.
Metodologia.
Come leggere gli autori greci e latini con la prospettiva della cultura europea.
Questa lezione metodologica farà subito riferimento ad alcuni dei testi che verranno letti e commentati nelle lezioni successive. In queste darò maggiore spazio  ai testi e agli autori per i quali gli ascoltatori avranno mostrato maggiore interesse e gradimento.

II lezione martedì 12 febbraio. Aula Guglielmi 17-19.
La poesia epica come antecedente della storia. L’Odissea di Omero e le varie riapparizioni di Ulisse. Lettura dei primi versi del poema omerico.
Il poema di Apollonio Rodio. Virgilio e Ovidio.

III Lezione martedì 19 febbraio. Aula Guglielmi 17-19.
La storiografia. Quintessenze di Erodoto, Tucidide, Senofonte, Plutarco, Polibio, Sallustio, Tito Livio,  Tacito.
Lettura del proemio di Erodoto, di quello di Tucidide e di alcuni capitoli metodologici della storia politica di questo autore che, in campo storiografico, “legiferò”.

IV Lezione martedì 26 febbraio. Aula Guglielmi 17-19
La tragedia. Eschilo, Sofocle, Euripide, Seneca . Lettura di alcuni versi, dell’Edipo re di Sofocle, della Medea di Euripide  e, a richiesta, di altre tragedie.

V Lezione martedì 5 marzo. Aula Guglielmi 17-19
La presenza dei poeti, degli storiografi, dei filosofi greci e latini nell’opera di Nietzsche e in altri autori moderni.

Ogni lezione può durare un’ora abbondante ed essere seguita da domande di chiarimento e di sviluppo .
A chi ne farà richiesta, verrà inviato, ovviamente gratis, il file con il materiale che per ragioni di tempo non è stato possibile esporre a lezione.

Giovanni Ghiselli   g.ghiselli@tin.it



[1]   JOmovnoia significa “concordia. Un toponimo quasi ironico rispetto a quello che segue.
[2] w\ bavrbar j ejxeurovnte~   [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion ; ( Euripide, Troiane, 764-765),
[3] Cfr. Manzoni,  I promessi sposi, XIV.
[4] Siamo nella tarda estate del 1981. La morte della stagione bella non era tranquilla.
[5] Cfr. Ovido, Metamorfosi, III, 464: “ uror amor mei ”, brucio di amore di me. E’ Narciso.
[6] Avevo in mente i vv.897-902 del secondo stasimo dell’Edipo re di Sofocle:"Non andrò più all'intangibile/ ombelico della terra a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a Olimpia, /se queste parole indicate a dito/ non andranno bene a tutti i mortali".   
[7] Cfr. Shakespeare, The tempest IV; 1) : “my pains, humanely taken, all, all lost, quite lost. Parla Prospero che non è riuscito a raddrizzare Calibano, un diavolo incarnate.
[8] uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd  j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo"( Eschilo, Coefore, 1061). Le Furie  incalzano Oreste che ha ucciso la madre: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi quale epigrafe di Sweeny agonista (1930), :" You don’t see them, you don’t-but I see them: they are hunting me down, I must move on”.
Nel dramma La Riunione di famiglia (1939)   Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.
Secondo l'autore di The waste land  bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.
Tutto questo lo dico a te lettore, a Ifigenia, nella concitazione non lo dissi. Magari lo avrebbe capito.

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