Omero, Eschilo, Sofocle, Aristofane, Prodico di Ceo, Platone, Ennio, Cicerone,
Virgilio, Seneca, Giuliano Augusto, Ovidio, Apuleio, Longo Sofista, Ammiano
Marcellino, Francesco d’Assisi, Dante, Shakespeare, Alfieri, Hölderlin,
Foscolo, Manzoni, Ibsen, Freud, T. Mann
Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature loda Dio
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature”,
e,
tra queste, per prima
"
spetialmente messor lo frate sole/lo quale è iorno, et allumini noi per lui./E
ellu è , bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta
significatione".
L'elogio del sole, il dio che vede, ode tutto, e nutre la vita, percorre parte
della letteratura greca e prosegue in quella europea. Voglio indicarne alcune
espressioni.
Già
Omero, nell' Iliade , gli attribuisce la facoltà di vedere e
ascoltare tutto:" jHevliov" q j, o{" pant
j ejfora'/" kai; pavnt j ejpakouvei""[1]
(III, 277); una formula che torna un poco variata in Odissea (XI, 109)
:" jHelivou, o{" pavnt jejfora'/ kai;
pavnt j ejpakouvei"[2].
Nell'Inno "omerico" a Demetra , quando
Persefone venne rapita da Ade , solo Ecate ed Elio signore , splendido figlio di
Iperione ( " jHevliov" te a[nax
JUperivono" ajglao;" uiJov"" v.26),
udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide.
Nel
Prometeo incatenato di Eschilo il titano invoca, tra gli altri,
"to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v.
91), il disco del sole che tutto vede.
Nelle Supplici il coro delle Danaidi
chiede aiuto ai raggi del sole che danno salvezza (kalou'men
aujga;" hJlivou swthrivou", v. 213).
nella Parodo dell’ Antigone di
Sofocle, il coro dei Tebani esprime gratitudine alla luce del Sole per la
vittoria sugli Argivi:" raggio di sole, la luce/più bella apparsa su Tebe
dalle sette porte/tra quelle di prima" (vv. 100-102) e più avanti
la protagonista condannata a morte lo saluta
e rimpiange quale "lampavdo" iJero;n-o[mma"
(vv. 879-880), santo volto di luce.
Nell'
Edipo re il sole è" pavntwn
qew'n provmo"" (660), il primo fra
tutti gli dei, e "th;n..pavnta
bovskousan flovga"(v. 1425), la fiamma
che nutre la vita.
Nell' Edipo a Colono è,
con una ripresa dell'idea omerica,"oJ
pavnta leuvsswn {Hlio"" (v. 869), Elio
che vede tutto.
Nella Parodo delle Trachinie il Coro di donne di Trachis prega Elio,
perché annunzi dove si trova Eracle, invocandolo come "kratisteuvwn
kat j o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come
interpreta lo scoliaste:"w\ nikw'n pavnta"
tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che vinci tutti gli dèi nel potere
visivo.
Sul
sole onniveggente torna Ennio nella Medea (fr. 148, v. 1):"Iuppiter
tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis ", Giove e tu in particolare,
sommo sole che vedi tutto) poi, all'inizio dell'Asino d'oro ,
Apuleio quando Aristomene giura che sta per raccontare la verità (I, 5):"sed
tibi prius deierabo solem istum omnividentem deum ".
Nelle Metamorfosi di Ovidio, il
sole identificato con Febo, vide per primo l’adulterio di Venere con Marte[3].
Infatti videt hic deus omnia primus (IV, 172). Ne ebbe dolore e denunciò
la tresca a Vulcano che incatenò i due amanti i quali si trovarono a giacere
ligati- turpiter (186-187) oscenamente legati. Allora Venere volle
vendicarsi e dice: “Nempe, tuis omnes qui terras ignibus uris/ureris igne
novo, quique omnia cernere debes,/Leucothoën
spectas et virgine figis in una,/quos mundo debes, oculos”
(194-197), certo, tu che con i tuoi fuochi bruci tutte le terre, sei infiammato
da insolito fuoco, e tu che devi vedere ogni cosa, Leucotoe[4]
contempli e fissi solo su quella ragazza gli occhi che devi puntare sul mondo.
Quindi il Sole va a corteggiare la ragazza
con queste parole :"ille ego sum-dixit-qui longum metior annum,/omnia qui
video, per quam videt omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places !" (IV,
226-228), io sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per
cui vede tutto la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia , mi piaci!".
La fanciulla, vinta dallo splendore del dio si arrese senza lamentarsi
L'espressione si ritrova pure in
Shakespeare:"the all-seeing sun ne'er saw her match, since first the
world begun " , il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da
quando il mondo è cominciato, dice Romeo all’amico Benvolio[5].
Ma torniamo a Ovidio
Quando Circe, figlia del Sole cerca, invano,
di indurre Pico ad unirsi con lei, gli chiede di accogliere come suocero il Sole
che vede tutto con chiarezza ("et socerum, qui pervidet omnia, Solem/accipe
", XIV, 375-376),
Pico era figlio di Saturno e padre di Fauno.
Era bello e sposò la ninfa Canente. Circe lo vide e lo corteggiò. Ma Pico la
rifiutò. Circe si infurò: “laesaque quid faciat, quid amans, quid femina
disces/rebus- ait- sed amans et laesa et femina Circe” (Ovidio,
Metamorfosi, XVI, 384-385), imparerai con i fatti che cosa può fare una
donna amante offesa, disse, e l’amante offesa è Circe.
Quindi trasformò Pico in picchio (pennas
in corpore vidit)
Poi Circe convoca la Notte e gli dèi della
Notte dall’Erebo e dal Caos e prega Ecate con ululati lunghi
Convocat et longis Hecaten
ululatibus orat (405).
Infine trasforma I compagni di Pico in
mostri.
La
luce del sole è sacra per quanti sono iniziati ai misteri nelle Rane di
Aristofane (hJmi'n h{lio"-kai;
fevggo" iJerovn ejstin,-o{vsoi memuhvmeq& ",454-456).
L'"ateo" Prodico di Ceo chiama dèi i quattro elementi[6]
e poi il sole e la luna. Infatti affermava che da questi ha esistenza per tutti
la forza vitalr:"ta; tevssera stoicei'a
qeou;" kalei' ei\ta h{lion kai;
selhvnhn. ejk ga;r touvtwn pa'si to; zwtiko;n e[legen uJpavrcein"[7]
Nella Repubblica di Platone
dove si narra il mito della caverna, la luce del sole nel visibile (e[n
tw̃/ oJratw̃/
fw̃ς ) è generata dall’idea suprema del bene nel campo conoscibile (
ejn tw̃/
gnwstw̃/ teleutaiva hJ tou' ajgaqou'
ijdeva, 517c) che a fatica si vede, ma, una volta vista, va considerata
quale causa per tutti di tutte le cose rette e belle.
E’
questa idea del bene dunque che fa apparire il sole, signore della luce, ed è
lei la signora (kuriva) che
nell’intellegibile (e[n te nohtw̃/)
elargisce la verità e l’intelligenza
Cicerone nel Somnium Scipionis (VI, 17) chiama il Sole"dux et
princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi[8]
et temperatio, tanta magnitudine ut cuncta sua luce lustret et compleat ",
guida e principe e governatore degli altri astri, mente del mondo e principio
regolatore, seguendo un misticismo solare di origine pitagorica, tanto grande da
rischiarare e riempire tutto con la sua luce (cfr. Virgilio, Eneide, IV,
607)
Uno degli autori del romanzo greco, Longo
Sofista (probabilmente del II secolo d. C.) fa del sole un esteta che per
volontà di bellezza spoglia tutti i belli:"ei[kasen
a[n ti"...to;n hJvlion filovkalon o[nta pavnta" ajpoduvein",
Le avventure pastorali di Dafni e Cloe , 1, 23. sembrò che il sole, amante
della bellezza, spingesse tutti a spogliarsi. Il romanzo greco che " ha usato e
rifuso nella propria struttura quasi tutti i generi della letteratura antica"[9]
non ha tralasciato l'elogio del sole.
Giuliano Augusto
l'imperatore calunniato dai Cristiani con l'infamante epiteto di "Apostata"
riassume questi elogi dell'antichità in termini neoplatonici nella orazione A
Helios re dedicata a Salustio. Questo "sermone natalizio" fu redatto alla
fine del 362 d. C. per celebrare il 25 dicembre, dies natalis Solis invicti
. Elio è visto come il signore del mondo intelligente e viene definito dio
mediatore e potentissimo assai simile al Bene preesistente a tutte le cose.
Giuliano cita la Repubblica di Platone dove (508c) si dice che il Sole
è figlio del Bene ("tou' ajgaqou' e[kgonon")
che il Bene generò simile a sè ("oJ;n
tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw'/")
e ciò che è il Bene nel mondo intellegibile rispetto all'intelletto e agli
intellegibili è Helios nel mondo visibile rispetto alla vista e alle cose
visibili (5, 17-21). L’Uno (e{n)
o il Bene (tajgaqovn),
come lo chiama Platone, ha rivelato da sé Elios dio potentissimo del tutto
simile a sé. Quindi Elios viene identificato con Zeus e con Apollo (31)
Alla fine (44) Giuliano prega Elio,
to;n basileva tw̃n
o{lwn, di accordargli una vita
virtuosa, una intelligenza più piena e una mente divina. E alla fine della vita
di congiungersi a lui.
Nelle Storie di Ammiano Marcellino
i vaticini[10]
dicevano che Costanzo sarebbe morto presto e Giuliano si preparava ad
attaccarlo. Gli auspici si traggono dagli uccelli non perché loro conoscano il
futuro sed volatus avium dirĭgit
deus (21, 1, 9).
Anche il rostrum sonans dà segni. Anche
le viscere degli animali (exta pecŭdum)
. Inventore di questa aruspicina fu Tagete che balzò improvvisamente dal suolo
in terra etrusca.
Quando sono in effervescenza (cum aestuant)
anche i corda hominum prevedono il futuro ma per loro bocca parla la
divinità.
Il sole è la mens mundi, ut aiunt physici,
e rende coscienti le nostre menti quando le incendia con maggiore violenza
spargendo da sé come scintille nostras mentes ex sese velut scintillas
diffundĭtans,
cum eas incenderit vehementius, futuri conscias reddit (Ammaini
Marcellini, Rerum Gestarum XXI, 1, 11).
I
segni del Sole sono veritieri: Virgilio, nella prima Georgica
(463-464), afferma la sincerità del sole nel dare segni:"Solem quis dicere
falsum/audeat? ", il sole chi oserebbe chiamarlo falso?
Al
Sole dobbiamo gratitudine: Seneca in una lettera a Lucilio (73,
6) esprime personale riconoscenza al sole e alla luna che pure sorgono per
tutti:"Soli lunaeque plurimum debeo, et non uni mihi oriuntur ". Cfr,
sotto Hölderlin.
Questa riconoscenza per il sole interpretato quale Dio, o quale immagine
visibile di Dio, percorre vari momenti della letteratura europea.
Dante ne fa il simbolo della grazia divina: il sole è il “pianeta/che mena
dritto altrui per ogni calle” (Inferno, I, 17, 18), La luce del sole è il
simbolo della grazia divina e guida verso la salvezza; infatti la lupa simbolo
dell’avarizia risospingeva Dante “là dove il sol tace” (v. 61)
Nel
Purgatorio torna questa identificazione del sole con la grazia divina in
questa preghiera di Virgilio:
" O
dolce lume a cui fidanza[11]
i’ entro
Per
lo novo cammin, tu ne conduci,
-dicea-, come condur si vuol quinc’entro
Tu
scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:
s'altra ragione in contrario non pronta,
essere dien sempre li tuoi raggi duci[12]"(Purgatorio
, XIII, 19-21).
Anche nel Convivio Dante esprime questa idea:
Nullo sensibile in tutto lo mondo è più
degno di farsi essemplo di Dio che’l
sole (…)
|
Lo sole tutte le
cose col suo calore vivifica (…) così Iddio tutte le cose vivifica
in bontade ” ( III, 12).
|
Manzoni ripete che il Sole è una guida sicura
Nell'Adelchi di Manzoni, il
diacono Martino, raccontando la sua prodigiosa traversata delle Alpi, compiuta
non senza l'aiuto divino ("Dio gli accecò, Dio mi guidò", III, 2, v. 167),
riconosce di essersi avvalso, di fatto, della guida del sole:"Era mia guida il
sole/Io sorgeva con esso, e il suo viaggio/Seguia, rivolto al suo tramonto"(III,
2, vv. 207-209).
F.
Hölderlin nel romanzo epistolare Iperione (1799) scrive:" l'eroica
luce del sole dona gioia con i suoi raggi alla terra"(p.76), e, "il sacro sole
sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e
gratitudine, che spesso, con un solo sguardo, mi ha guarito da un profondo
dolore e ha purificato la mia anima dallo scontento e dalle
preoccupazioni"(p.111).
Foscolo, nell'Ortis , lo chiama"ministro maggiore della natura"(20
novembre 1797) e "sublime immagine di Dio, luce, anima, vita di tutto il
creato"(3 aprile 1798).
Leopardi nello Zibaldone (3833-3834) scrive :"Quando gli Europei
scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di
civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il
culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non
trovarono il culto del sole, quivi(ed erano pur provincie, valli, ed anche
borgate, confinanti non di rado o vicinissime alle sopraddette) una vasta,
intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e
di vita. E generalmente i tempii del sole erano come il segno della civiltà, e i
confini del culto del sole, i confini di essa (5 Nov. 1823.)”.
Nel
Cantico del Gallo Silvestre leggiamo:" Io dimando a te, o sole, autore
del giorno e preside della vigilia: nello spazio dei secoli da te distinti e
consumati fin qui sorgendo e cadendo, vedesti tu alcuna volta un solo infra i
viventi essere beato?"
Il
sole è invocato dalle creature morenti come ultima immagine della vita terrena:
Aiace mentre combatte nella nebbia, prega Zeus di rasserenare il cielo prima di
farlo morire, in modo che la sua fine avvenga
ejn favei, nrlla luce ( Iliade,
XVII, 645-647). L’Anonimo Sul sublime trova altamente poetica questa
preghiera
Anche Alcesti morendo cerca la luce:"
blevyai pro;" aujga;" bouvletai ta;"
hJlivou"(v. 206), vuole rivolgere lo sguardo ai raggi del sole.
Altrettanto i moribondi Foscolo ("perché gli occhi dell'uom cercan morendo/ il
Sole", i Sepolcri , 121) e pure Osvald di Ibsen:"Mamma, il
sole...dammelo, dammi il sole", chiede il giovane nell'ultimo atto degli
Spettri e, chiudendo il dramma, ripete:'il sole, il sole".
Concludo con
Il culto del sole dal faraone della XVIII dinastia Amenofi IV-Ekhnaton al
Romanticismo.
La
venerazione del dio-sole, della quale abbiamo mostrato molte testimonianze nei
testi europei, ha avuto il suo primo apostolo nel faraone Amenofi IV
della XVIII dinastia. Egli sostituì il culto di Ammone con quello del Sole
e cambiò il proprio nome in Ekhnaton, gradito ad Aton, il disco solare. Al
sole il faraone eretico dedicò un Inno e delle immagini. Ecco alcune parole:" le
greggi sono liete nei loro pascoli/quando tu sorgi/gli alberi e le erbe
verdeggiano/gli uccelli svolazzano nei loro nidi/e le loro ali ti elogiano.../i
tuoi raggi penetrano fin nell'intimo del mare".
Gli
autori del libro che ho consultato[13]
riportano un'immagine del faraone con la moglie, la regina Nefertiti, e le
figlie illuminati e benedetti dal sole, e la commentano così:"Questo bozzetto
familiare raggiante sotto la benedizion del dio-Sole, Aton, è uno dei frammenti
di calcare, provenienti dalla tomba del Faraone, illustranti la felicità che il
culto del dio elargisce ai suoi regali adoratori. Il fluire delle linee incide
nel calcare i corpi agili, sinuosi contrapposti l'un l'altro in un vivace
conversare animato dall'infantile gestire delle gaie, sottili principessine. Il
disco solare forma con le sue braccia raggianti[14]
un triangolo secondato dalla posizione dei corpi e quasi concluso in basso".
Freud fa di questo faraone illuminato l'inventore del monoteismo e il
predecessore della religione ebraica. "Durante la gloriosa diciottesima
dinastia, sotto la quale l'Egitto per la prima volta divenne un impero mondiale,
salì al trono intorno all'anno 1375 a. C. un giovane faraone, che
dapprima si chiamò Amenofi (IV) come il padre, ma poi cambiò nome, e non solo
nome. Questo re tentò di imporre ai suoi sudditi una nuova religione...Si
trattava di un rigoroso monoteismo, il primo tentativo del genere nella
storia mondiale, per quanto ne possiamo sapere...In due inni ad Atòn, serbatici
dalle iscrizioni sulle tombe rupestri e probabilmente da lui stesso composti,
il sole come creatore e conservatore di tutti gli esseri viventi dentro e
fuori l'Egitto, è celebrato con tale fervida fede quale si ritrova molti
secoli più tardi nei Salmi in onore del dio ebraico Yahweh. Non gli
bastò tuttavia anticipare sorprendentemente la scoperta scientifica dell'effetto
della radiazione solare. Non v'è dubbio che egli fece un passo avanti,
onorando il sole non come oggetto materiale, bensì come simbolo di un essere
divino la cui energia si manifestava appunto nei raggi del sole...Vorrei
adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu egizio e se egli trasmise agli
Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhnatòn, la religione di
Atòn...Entrambe sono forme rigide di monoteismo...Mosè non diede solo una
nuova religione agli Ebrei; con pari sicurezza si può affermare che egli
introdusse presso di loro la consuetudine della circoncisione...Erodoto, il
"padre della storia", ci informa che la consuetudine della circoncisione era da
lungo tempo familiare in Egitto[15]...e
la supposizione...è tale da darci il coraggio di trarre la seguente conclusione:
se Mosè diede agli Ebrei non solo una nuova religione, ma anche il precetto
della circoncisione, egli non era ebreo, ma egizio, e allora la religione
mosaica fu probabilmente una religione egizia, e precisamente, a cagione del
contrasto con la religione popolare, la religione di Atòn, con cui si accorda
anche la religione ebraica posteriore in alcuni punti degni di nota"[16].
Hauser sostiene che questa riforma religiosa portò il naturalismo
nell'arte:"Amenothes IV, che legò il suo nome al grande rivolgimento spirituale,
non è solo-come tutti sanno- il grande riformatore religioso, lo scopritore
dell'idea monoteistica; non è solo, come fu chiamato, il "primo profeta" e il
"primo individualista" della storia universale[17],
ma è anche il primo consapevole rinnovatore dell'arte, il primo che fa del
naturalismo il proprio programma e lo contrappone come una conquista allo stile
arcaico...Ciò che l'arte gli deve e che gli artisti hanno appreso da lui,
è-evidentemente-il nuovo amore della verità, la nuova nervosa sensibilità, che
conduce a quello che si potrebbe definire l'impressionismo dell'arte egiziana.
Alla sua lotta contro le tradizioni religiose fossilizzate e svuotate di ogni
senso, corrisponde il superamento del rigido stile accademico da parte dei suoi
artisti. Sotto la sua influenza il formalismo del Regno Medio lascia il posto,
nella religione come nell'arte, all'amore della vita e della natura, al piacere
di nuove scoperte"[18].
Concludo questo omaggio al faraone profeta del sole citando Gombrich:"Soltanto
un uomo riuscì a scuotere le ferree sbarre dello stile egizio. Fu un re della
diciottesima dinastia...Questo re, chiamato Amenofi IV, era un eretico.
Eliminò molte consuetudini consacrate da un'antica tradizione, e non volle
rendere omaggio alle numerose divinità del suo popolo, così bizzarramente
raffigurate. Per lui soltanto un dio era sommo, Aton, e lo adorò e lo fece
rappresentare in forma di sole. Dal nome del dio volle chiamarsi Ekhnaton e
trasferì la corte per sottrarla all'influenza dei sacerdoti degli altri dèi,
nell'odierna Tell el-'Amarna. I dipinti che egli ordinò devono aver colpito i
suoi contemporanei per la loro novità. In essi non sopravviveva nulla della
solenne e rigida dignità dei precedenti faraoni. Si era fatto raffigurare
nell'atto di prendere la figlioletta sulle ginocchia e di passeggiare in
giardino con la moglie, appoggiato al bastone. Alcuni ritratti ce lo mostrano
brutto: forse voleva che gli artisti lo riproducessero in tutta la sua umana
fragilità oppure era così convinto della sua eccezionale importanza come profeta
che riteneva essenziale attenersi alla somiglianza"[19].
Da
Steiner gli Ebrei sono visti come gli inventori e i propagatori di ideali
troppo duri e scomodi per i popoli dell’Europa occidentale, insomma per noi. Il
primo vulnus inferto all’Europa pagana fu quello del monoteismo. Steiner
cita Nietzsche: “ Nel politeismo consisteva la libertà dello spirito umano, la
sua poliedricità creativa. La dottrina di una singola divinità…è “il più
mostruoso di tutti gli errori unani” (“die ungeheuerlichste aller
menschlichen Verirrungen”)”[20].
Seguì il marxismo.
Nietzsche non si limitò a questo. Egli vide negli
Gli Ebrei un popolo sacerdotale, il “popolo
della più latente sete di vendetta sacerdotale”. E ancora: “Con gli Ebrei si
inizia la rivolta degli schiavi nella morale”.
C’è una ostilità culturale piuttosto che
razziale-biologica, come fa notare T. Mann: “Quando Socrate e Platone
cominciarono a parlare di verità e di giustizia egli dice una volta ‘non furono
più greci, ma ebrei, o che so altro’. Orbene, gli ebrei, grazie alla loro
moralità, si sono dimostrati buoni e tenaci figli della vita. Con la loro fede
in un Dio giusto, essi sono sopravvissuti ai millenni, mentre il piccolo,
dissoluto popolo greco di esteti e di artisti è presto scomparso dalla scena
della storia. Ma Nietzsche, pur lontano da ogni odio razziale antisemitico, vede
nel giudaismo la culla del cristianesimo e in questo, a ragione ma con
aborrimento, il germe della democrazia, della rivoluzione francese e delle
odiate “idee moderne” che la sua parola squillante marchia con il nome di
‘morale del gregge’…ciò che egli disprezza e maledice in queste idee è
‘utilitarismo e l’eudemonismo, il loro far della pace e della felicità terrena i
beni più desiderabili ed alti, mentre l’uomo nobile, tragico, eroico, calpesta
questi valori molli e volgari”[21].
Certamente non è l’eudemonismo la quintessenza
della cultura ebraica. Piuttosto essa è contrassegnata dal monoteismo.
Ebbene, il rifiuto del monoteismo importato in Europa dagli Ebrei si trova in
diversi autori. Sentiamo, per esempio, Vittorio Alfieri: “Nel trattato
Della tirannide (del 1777) l’Astigiano distingue la religione cristiana
dalla pagana rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La
religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del
cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato[22],
e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti,
assai favorevole al vivere libero…La cristiana religione, che è quella di quasi
tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica
religione riesce incompatibile quasi col viver libero…Ed in fatti, nella pagana
antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti
comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religion
cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già
intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza;
non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli)
interamente assimila a Dio” (I, 8).
Anche qui l’obiettivo polemico è il popolo ebraico, origine della malattia
monoteistica, come si vede.
Steiner mette anche in rilievo il fatto che Freud cercò di scagionare gli Ebrei
dalla “colpa” del monoteismo : “In una delle sue ultime opere, L’uomo Mosè e
la religione monoteistica, Freud attribuì questo “errore” a un principe e
veggente egiziano del casato disperso degli Ikhnaton. Molti si sono chiesti
perché abbia cercato di togliere dalle spalle del suo popolo quel supremo
fardello di gloria… Quando, durante i primi anni di regime nazista, Freud
cercava di scaricare su spalle egiziane la responsabilità dell’ “invenzione” di
Dio, stava facendo, pur forse senza averne piena coscienza, una disperata
mossa propiziatoria, sacrificale. Stava tentando di strappare il parafulmine
dalle mani degli ebrei. Troppo tardi. La lebbra della scelta di Dio-ma chi aveva
scelto chi?-era troppo visibile su di loro”[23].
Il
faraone Amenhotep (Amenophi IV) nel romanzo di T. Mann Giuseppe e i
suoi fratelli: “Guarda qui!” disse a Giuseppe. “Avvicinati e guarda!” E
scostando la batista dall’esile braccio gli mostrò le vene azzurre nella parte
interna dell’avambraccio. “Questo è il sangue del Sole!”[24].
Giovanni Ghiselli
Il culto del Sole 12 ottobre 2014
[1] E’
Agamennone che prega nel sancire i patti prima del duello tra Menelao e
Paride.
[2] Qui
parla Tiresia dopo avere bevuto il sangue della vittime sgozzate da
Odisseo per evocare i morti. Gli dice che deve lascire intatte
nell’isola di Trinachia le floride greci del Sole che tutto vede e tutto
ascolta.
[3] Viene
raccontato da Demodoco nell’VIII canto dell’Odissea (vv. 266 ss.)
[4]
Principessa persiana, figlia di Orcamo
[5]
Romeo e Giulietta
(I, 2). Quando il sole si accieca la
scena assume "an atmosphere of Juliet's tomb"[5],
un'atmosfera da tomba di Giulietta (T. S.Eliot, Portrait of a
Lady, Ritratto di Signora, del 1917
[6] Fuoco,
aria, acqua, terra.
[7]
Frammenti da Scritti incerti in Sofisti Testimonianze e Frammenti
, a cura di Mario Untersteiner, fasc. II, p.195
[8] Cfr.
Seneca, Naturales quaestiones, I, 13. Quid est deus? Mens
universi
[9]
M. Bachtin, Estetica e romanzo , p. 235.
[10] Siamo
nel 361 d. C.
[11] Cfr.
Solem quis dicere falsum/audeat? ", citato sopra
[12] Cfr.
Infermo, XXVI. Ulisse dice ai compagni “vecchi e tardi”, come lui:
“non vogliate negar l’esperienza,/di retro al sol” (vv. 116-117)
[13]
Ciotti-Marzi-Kiernek, Storia dell'arte , p. 8.
[14]
Cfr. Empedocle, Poema fisico , 30 Diels-Kranz:"
e[nq& ou[t& hjelivoio dieivdetai
wjkeva gui'a ", là non si scorgono nemmeno le rapide membra del
sole.
[15]
Erodoto, II, 104.
[16]
S. Freud, L'uomo Mosè e la religione monoteistica , in Freud
Opere 1930-1938 , pp. 350 e sgg.
[17]
J. H. Breasted, A History of Egypt , 1909, pp. 356-377.
[18]
Storia sociale dell'arte , p. 65.
[19]
La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich , pp. 54-55.
[20] G.
Steiner Nel castello di Barbablù Note per la riedifinizione della
cultura, p. 39.
[21]
Nobiltà dello spirito.
[22] Il
predominio del fato non risparmia nessuno: il Prometeo di Eschilo,
afferma consolandosi del suo martirio, che nemmeno Zeus "potrebbe in
alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (th;n
peprwmevnhn)"(Prometeo incatenato, v. 518). Ndr.
[23]
Gerorge Steiner, Nel castello di Barbablù, p. 41
[24]
Giuseppe il nutritore (IV volume), p. 204.
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