Pittore di Menelao, la Sfinge, circa 440 a.C. |
La
Sfinge e il suo indovinello
Apollodoro
(Biblioteca, 3, 5, 7-8) ci informa
che l'enigma era: "Che cosa è quella che, senza cambiare nome, può essere
di quattro, due e tre piedi?" Chi non azzeccava la risposta veniva
abbrancato e divorato dalla Sfinge che stava sul monte Ficio, presso Tebe e
proponeva l'indovinello ai miseri abitanti della città.
Secondo
Esiodo che usa la forma beotica Fivx (Fi'k j(a) in Teogonia 326), costei era un mostro femminile, nata
dall’accoppiamento di Orto con la propria madre, la luttuosa Echidna, e
costituiva una rovina esiziale per i Cadmei. Essa era dunque sorella del leone
nemeo, e sorellastra (oltre che figlia) di Orto, il cane bicefalo di Gerione,
di Cerbero, il cane di Ades dal ringhio metallico, dell'Idra di Lerna, consapevole
solo di atroci azioni, e della Chimera tricipite, spirante indomabile fiamma;
nati tutti da Echidna e Tifone. Un bel guazzabuglio di ibridi mostruosi.
“Ma
potrà allora essere un caso che nella Theogonia esiodea[1],
la Sfinge sia
detta figlia di Echidna e del figlio di lei, Orto? Propositrice di enigmi, enigma vivente essa stessa, la Sfinge è anche il risultato
di una unione incestuosa. Propositrice di enigmi che si lascia
sconfiggere da un futuro incestuoso, la Sfinge è essa stessa-nella sua nascita, nella sua
forma, nella sua funzione-un condensato
dell'intero mito di Edipo” [2].
Euripide
nel terzo stasimo delle Fenicie (vv.1018
e sgg.) la chiama:"Oh alata, parto della terra e dell'infernale Echidna,
rapace dei Cadmei, assassina, causa di molto pianto", e così via, in un
crescendo di epiteti volti a definire la natura micidiale dell'orrendo flagello
dagli artigli omicidi.
Le
Fenicie di Seneca la definiscono:"saeva Thebarum lues/luctifica coecis verba
committens modis "(vv.131-132), l'atroce flagello di Tebe che
inanellava parole funeste con tenebrosi enigmi.
Nell’
Oedipus il protagonista viene definito dall'ombra di Laio:" implicitum malum,/magisque monstrum Sphinge
perplexum sua" (vv. 638-639) male aggrovigliato e mostro
contorto più della Sfinge sua. La
Sfinge è il brutto senza semplicità.
Compito
degli eroi (primi fra tutti Eracle e Teseo) è quello di confutare la
mostruosità per affermare la civiltà umana; anche Edipo fa un tentativo in
questo senso, e, rispondendo"l'uomo", coglie il bersaglio. Il suo
momentaneo successo può essere interpretato in vari modi.
E.
Fromm ((Il mito di Edipo in Il linguaggio dimenticato, pp.188-220)
sostiene che il figlio di Laio non ha il merito di avere risolto un enigma
difficile, ma quello di avere svelato il senso latente della domanda, ossia
l'importanza e la centralità della creatura umana.
“Qualunque
dodicenne intelligente potrebbe indovinare che chi cammina prima su quattro,
poi su due e infine su tre, è l’uomo (…) In se stesso l’enigma che per essere
risolto non richiede altro che un po’ di intelligenza, serve soltanto a velare
il significato latente della domanda, cioè l’importanza dell’uomo”[4]
Eppure
la salvezza raggiunta e donata alla città non è sicura; nel corso del prologo
apprendiamo che Tebe, dopo essere stata raddrizzata (v.39) sta cadendo di nuovo
(v.50). Edipo insomma non ha conseguito una vittoria definitiva.
P. P. Pasolini nel suo film Edipo re fa gridare alla
Sfinge:"L'abisso in cui mi spingi è dentro di te". Il vincitore
temporaneo si è accoppiato con Giocasta dopo avere ammazzato Laio: non è
riuscito a staccarsi dalla madre, trovando una propria identità autonoma da
lei, né ad avere un rapporto positivo con il padre. Il caos primordiale, pieno
zeppo di animali schifosi e maligni, infatti coincide con la confusione della
coscienza dove bisogna mettere ordine e gettare luce per diventare uomini. Il
re di Tebe si è fermato a metà. La soluzione positiva si trova nell'ultimo
dramma, quando il cieco comprenderà di avere agito senza l'uso supremo della
coscienza che decide e sceglie: " ejpei; tav g j e[rga mou-peponqovt j ejsti;
ma'llon h] dedrakovta"[5]
, e allora gli dei che lo avevano abbattuto, lo rimettono in piedi (v.394).
La
lotta dei mostri fra loro, e dell'ordine contro di loro, è il tema di tanta
parte della cultura greca del quinto secolo. Tale conflitto è rappresentato
anche in pietra nel frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia: Apollo,
la figura centrale diritta e serena, sovrasta una barbarica zuffa di Lapiti e
Centauri contorti dall'odio e dal dolore. I maledetti nubigeni acri e bimembri,
e i loro avversari, significano l'orrore e il disordine tanto del mondo quanto
dell'anima umana; Febo impersona e indica la santa misura dell'uomo civile e
colto, pepaideumevno".
Per
concludere,
Ha
ragione Calvino quando afferma che è necessaria una grande delicatezza d'animo
per essere un vincitore di mostri[6]
Vediamo
infine come T. Mann dscrive la
Sfinge egiziana; “Che cosa diceva quell’enigma? Non diceva
assolutamente nulla. Consisteva nel silenzio, nel silenzio imperturbabile ed
ebbro con cui quell’essere mostruoso …mirava con sguardo selvaggio e veggente
lontano, oltre colui che interrogava e nello stesso tempo veniva
interrogato…Era una Sfinge, cioè un enigma e un mistero; e precisamente un
mistero selvaggio, con branche di leone, cupido di sangue giovane, pericoloso
per il figlio di Dio…Su quel petto di roccia, tra le branche di quel drago
femmina, non si sognavano sogni di promessa, e tutt’al più sogni ben miseri”[7].
giovanni
ghiselli
i contatti ora sono 181866
il 13 ottobre inizierò il mio corso
all’Università Primo Levi di Bologna sugli archetipi della cultura europea.
il 24 ottobre terrò una conferenza sull’ Edipo re di Sofocle e l’Oedipus di Seneca comparati nella
libreria Il catalogo di Pesaro
il 30 ottobre terrò una conferenza nella
biblioteca Scandellara di Bologna presentando il libro Generazioni di Remo Bodei.
[1]
326 sgg. cfr. anche 309.
[2]
M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di
Seneca, "Dioniso", 1983, pp. 152-153.
[3]
Ne traggo un esempio da Erodoto:"dievdexev te ejn touvtoisi oJ qeo;" wJ"
a[meinon ei[h ajnqrwvpw/ teqnavnai ma'llon hj; zwvein" , I, 31, 3) fece vedere in questi (Cleobi e Bitone) il dio che per
l'uomo è meglio essere morto che vivere.
[4]
Fromm., Il linguaggio dimenticato, p.
202.
[5] Edipo a Colono,
vv.266-267. Le mie azioni piuttosto che averle fatte io le ho sofferte
[6] Lezioni
americane,
p. 10.
[7]
T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli,
vol. III, Giuseppe in Egitto, p. 100.
lo consiglio ai miei studenti
RispondiEliminaalessandro
L'importante è non essere sfinge a noi stessi...i miei studenti sono troppo piccoli, ma cresceranno....Giovanna Tocco
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