Il film di Martone, Il giovane favoloso è deludente: non aggiunge sapere né sentimenti a chi ha fatto una lettura anche solo scolastica del poeta di Recanati.
Non è un gran film e
nemmeno un filmaccio: è piuttosto un filmetto ordinario con qualche parte
discreta, alcune accettabili, altre peggio che scadenti. Discreta, quasi buona,
è l’ambientazione nello studio del palazzo Leopardi di Recanati, mentre gli
esterni recanatesi o pseudo recanatesi sono insignificanti se non proprio
brutti.
Il paesaggio risulta piuttosto nebbioso e confuso: non una
volta che appaia chiaro il fiume[1] nella valle sotto il colle di Recanati.
Non si vedono mai “quinci il mare da lungi e quindi il
monte”[2]
Il paese marchigiano non ha neanche un centesimo della parte
ricevuta dal suo figliolo pur critico e
ribelle nei confronti del “natio borgo selvaggio”[3].
La luna inquadrata spesso, non pende su selva[4]
recanatese, né scende “sovra campagne
inargentate ed acque”[5], né
“di lontan rivela/ serena ogni montagna”[6].
Insomma la “graziosa luna”[7] il
cui volto appariva al poeta “nebuloso e tremulo dal pianto”[8] che
gli sorgeva sul ciglio, la “solinga, eterna peregrina”[9] rimane un
satellite del tutto privo di
significati nel film.
Addirittura ridicola è la scena in cui Germano, pur bravo in altri
momenti, sussurra L’infinito. Non si
capisce perché Leopardi avrebbe dovuto recitare una propria poesia, con tanto
di mosse, sguardi e pose attoriali, in
un prato fosco e umido di nebbia. Altra scena ridicola, con l’aggravante che
vorrebbe essere patetica, è quella di
Silvia, una ragazzotta grassottella, la quale tossisce alla finestra prospiciente quella del
poeta che la osserva accorato. Leopardi vede uno snello tesorino delicato e
prossimo alla morte per tosse[10] in
una forosetta paffuta. La ragazza scelta da Martone non poteva essere meno
adatta al ruolo dalla fanciulla divenuta la più famosa adolescente della
letteratura italiana.
Gli esterni in generale sono malfatti. Una sequenza
grottesca, da Satyricon ottocentesco,
è quella dell’orrendo bordello napoletano dove Ranieri, del resto premuroso, porta l’amico
per farlo sverginare, e poco ci manca che il disgraziato perda la sua castità
anale per opera di un maschio travestito da prostituta. Il poveretto deve fuggire, per giunta sbeffeggiato e
minacciato da una canèa di lazzaroni maligni che gli latrano contro insulti
osceni.
Un’altra parte
pessima è l’amore fiorentino del Recanatese per Fanny Targioni Tozzetti rappresentata da
un’attrice dall’aspetto tutt’altro che identificabile con l’angelica forma[11] che
ha fatto innamorare il Nostro .
Nelle intenzioni del regista questa Aspasia, invero del
tutto improbabile, viene rappresentata quando
la “dotta allettatrice” scocca “fervidi sonanti baci nelle curve labbra dei
suoi bambini”[12] per sedurre il poeta il
quale prima ne soffre assai, poi ci ripensa
e rinnega il proprio sentimento
frustrato. Leopardi-Germano, per significare questa conversione dall’amore dolente
al disprezzo irridente, quando si accorge che Fanny se la intende con Ranieri,
si rannicchia annientato su una riva dell’Arno, come il bambino reietto dalla
madre e abbandonato alla corrente del fiume, poi però in una scena successiva
il salvato dalle acque, recita gli ultimi versi della sua apostasia erotica con un sorriso amaro: “su l’erba/qui
neghittoso immobile giacendo,/il mar la terra e il ciel miro e sorrido”[13].
Abbastanza buona è comunque, tutto sommato la recitazione di
Elio Germano. In particolare quando inveisce contro una Natura rappresentata
d’altra parte, in una scena di cattivo gusto e del tutto inappropriata[14], come un colosso di argilla che, ritto sui
piedi, si sgretola nelle braccia e ha gli occhi della madre del poeta, la
fredda, arcigna, bigotta Adelaide Antici. Giacomo dunque le rinfaccia con alte
grida il fatto di essere “nemica scoperta degli uomini”[15].
Ma il film ribadisco, non accresce conoscenza né commozione
a una lettura anche dilettantesca di
Leopardi.
Vediamo qualche aspetto della trama. Il poeta tenta di scappare
dal palazzo paterno, senza riuscirci, in seguito ottiene il permesso di partire,
e va a Firenze, a Roma dagli zii Antici, e in altri luoghi non chiaramente
riconoscibili, cita alcune frasi delle Operette morali[16], si
trova in contrasto ideologico con i vari credenti in Dio e nel progresso,
quelli delle “magnifiche sorti e progressive”[17], si
aggira per una Napoli afflitta dal colera mangiando come un lupo[18],
finisce in un’osteria ridendo e scherzando con dei popolani compagnoni, viene
portato in un bordello da basso impero, in tante sequenze collegate male tra loro. Molti argomenti senza
approfondimento e una serie disordinata di situazioni. Alla fine c’è un’eruzione del
Vesuvio che sa di finto, e Germano che la osserva e, interpretando il poeta
malato a morte , recita comunque piuttosto bene alcuni versi di La ginestra .
Carine e brave, se vogliamo salvare qualche cosa oltre gli
interni recanatesi e certe espressioni del buon Germano, sono le due Paoline,
la sorella del poeta e la sorella o “suora di carità”[19] di
Ranieri.
Insomma il film può essere visto per curiosità o per una
prima, generica informazione su Leopardi, ma la vita del “pover’uomo” come lo
chiama Fanny nel film e nel ricordo di Ranieri che ebbe maggior successo
dell’amico con la donna e nel resto, è trattata senza profondità, e a tratti
anche con cattivo gusto. Mi dispiace. Mi aspettavo molto, come lettore amantissimo
del Leopardi e anche come marchigiano[20].
Pare che la regione abbia messo parecchi soldi nel film. A proposito di tagli
agli sprechi. Sarebbe stato più produttivo da ogni punto di vista impiegare quel
denaro nella organizzazione di una serie di conferenze su Leopardi. Ci sono
tante persone, giovani e non giovani, desiderose, anzi affamate di cultura.
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. La quiete dopo la tempesta, 7.
[2] Cfr A Silvia, 25
[3] Le ricordanze, 30.
[4] Cfr. Alla luna, 4
[5]Cfr. Il tramonto della luna, v. 2
[6] La sera
del dì di festa, 3-4
[7] Alla luna, 1.
[8] Alla luna, 6
[9] Canto notturno di un pastore
errante dell’Asia, 61
[10] L’innamorato beffeggiato da Lucrezio stravede in modo
opposto "Ischnon eromenion tum fit,
cum vivere non quit/prae macie; rhadine verost iam mortua tussi ", De rerum natura, IV, 1166-1167), diventa
uno snello tesorino, quando non può vivere per la magrezza; poi è delicata
quella che crepa dalla tosse
[11] Aspasia, 18.
[12] Cfr. Aspasia, vv. 19 ss.
[13] Aspasia, vv. 110-112
[14] Nel Dialogo della natura e di un islandese è “una forma smisurata di
donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una
montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e
di capelli nerissimi”
[15] Dialogo della natura e di un islandese
[16] Per esempio dal Dialogo
di Tristano e di un amico dove Tristano-Leopardi definisce quest’opera: “ “un libro di sogni poetici, d’invenzioni e
capricci malinconici, ovvero come un’espressione dell’infelicità dell’autore”
Nello
Zibaldone (1394) invece aveva scritto a proposito sempre delle Operette morali:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo,
io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando”
Nel film C’è un accenno anche
all’Elogio degli uccelli.
[17] Verso citato in La ginestra (51) dal cugino pescarese
Terenzio Mamiani che aveva premesso queste parole nella Dedica dei suoi Inni sacri (1832). Martone fa vedere
Tommaseo che in una serata promossa da
Viesseux a Firenze infama Leopardi il quale a sua volta, racconta Ranieri “mi
dettò spiattellatamene che Vincenzo Monti usava d’esclamare, in un significato
singolarissimo: mi dolgono i Tommasei” (Sette
anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, XXVII)
[18] “Le cose dolci, ed
assolutamente, i gelati. Bramosissimo delle une e degli altri, egli, lasciata
dall’un dei lati ogni apprensione, perseverava i più incredibili eccessi: il
caffè, sciroppo di caffè; la limonea, sciroppo di limonr; il cioccolate,
sciroppo di cioccolate (e non senza le vaniglie, rigorosamente vietategli); e
così via” (Antonio Ranieri, Sette anni di
sodalizio con Giacomo Leopardi, cap. XXV.
[19] Vedi il capitolo XV di Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi,
un libello di Antonio Ranieri a tratti encomiastico, a tratti invece
diffamatorio nei confronti del poeta
[20] Non mi trattengo dal
vantarmi, forse con cattivo gusto anche io, di una mia parentela, pur solo
acquisita con Leopardi: la sorella della mia bisnonna materna, Tommasa
Carancini, ha sposato Rodolfo Antici, nipote di Adelaide. Quest’estate sono
andato in bicicletta da Pesaro a Recanati per rivedere i luoghi che ho
conosciuto e bazzicato fin da bambino. Ho rivisto il palazzo Leopardi,
ovviamente, il palazzo Antici, il palazzo Carancini tutti dentro il paese, e a
tre chilometri da Recanati, verso Loreto, il “Palazzo bello” che era la
residenza estiva dei Carancini ed è nominato nella prima pagina dello Zibaldone del nostro poeta.
Anche io ho trovato il film insignificante e inutile. Peccato
RispondiEliminaAlessandro
ottima recensione ,ricca colta e molto chiara ,la condivido in tutto .grazie per le preziose note che mi spingono a rileggere il libro di Ranieri sul nostro grande e amatissimo Leopardi.
RispondiEliminaMargherita