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Ancora su
Leopardi.
In attesa del
fil di Martone che commenterò.
La poetica
dell’indefinito
Nello Zibaldone
di Leopardi leggiamo: «le parole lontano,
antico, e simili sono poeticissime e
piacevoli, perché destano idee vaste, e indefinite, e non
determinabili e confuse» (Zibaldone,
1789).
E, più avanti
(4426): «il poetico, in un modo o in altro modo, si trova sempre
consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago».
Il canto corale,
a più voci, entra in questa poetica del vago e dell’indefinito.
Il coro infatti è
"parte di quel vago, di quell'indefinito ch'è la principal
cagione dello charme
dell'antica poesia e bella letteratura. L'individuo è sempre cosa
piccola, spesso brutta, spesso disprezzabile. Il bello e grande ha
bisogno dell'indefinito, e questo indefinito non si poteva introdurre
sulla scena, se non introducendovi la moltitudine" (Zibaldone,
2804).
Elogio della la
brevità
“Quanto una
lingua è più ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno parole
per esprimersi, e viceversa quanto è più ristretta, tanto più le
conviene largheggiare in parole per comporre un’espressione
perfetta. Non si dà proprietà di parole e modi senza ricchezza e
vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza
proprietà” (Zibaldone,
1822).
Il maestro deve
sapere comunicare. Per questo è necessario che si metta nei panni di
chi lo ascolta o lo legge.
“gli scolari
partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla
partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli abbia
quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre
interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’
suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente
riconosciuto che la principal dote di un buon maestro e la più
utile,non è l’eccellenza in quella dottrina, ma l’eccellenza nel
saperla comunicare”1.
E più avanti:
“Ma il gran torto degli educatori è di volere che ai giovani
piaccia quello che piace alla vecchiezza o alla maturità; che la
vita giovanile non differisca dalla matura; di voler sopprimere la
differenza di gusti di desiderii ec., che la natura invincibile e
immutabile ha posta fra l’età de’ loro allievi e la loro, o non
volerla riconoscere, o volerne affatto prescindere…di volere che
gli ammaestramenti, i comandi, e la forza della necessità
suppliscano all’esperienza ec.”2.
Senza uguaglianza
non c’è vera libertà
Leopardi nello
Zibaldone,
commentando l’ Indiké
di Arriano (9, 10 sgg.) riflette sull’assenza della schiavitù tra
gli Indiani. Il Recanatese sostiene che il sistema delle caste
preserva gli Indiani dalla schiavitù: “Perché
sebben liberi, non avevano l’uguaglianza” (919). Tale libertà
però è limitata assai, poiché senza uguaglianza non può esserci
piena libertà. Questa divisione
in caste elimina le speranze di avanzamento e non presenta “i
grandi vantaggi della libertà. Si troverà la quiete e la detta
costituzione sarà adattata ad un popolo, che per qualunque cagione,
sia capace di contentarsi di questo vantaggio, e contenere i suoi
desideri dentro i limiti del tranquillo e libero ben essere, e ben
vivere, senza curarsi del meglio che in verità è sempre nemico del
bene. Ma l’entusiasmo, la vita, le virtù splendide dei popoli
liberi, non pare che si possano compatire con questa costituzione.
Tolte le due molle dell’ambizione e della cupidigia, vale a dire
dell’interesse proprio; tolta quasi la molla della speranza, almeno
della grande speranza; deve seguirne l’inattività, e il poco
valore in tutto il significato di questa parola, la poca forza
nazionale ec. (921)…. una conseguenza immancabile di questa
costituzione, dev’essere, secondo il mio discorso, che un tal
popolo, ancorché libero, e quanto all’interno, durevole nella sua
libertà, e nel suo stato pubblico, tuttavia non possa essere
conquistatore” (922)...
“ nessuna nazione è così atta alla qualità di conquistatrice,
come una nazione libera…così anche è pur troppo vero che il
maggior pericolo della libertà di un popolo nasce dalle sue
conquiste e da’ suoi qualunque ingrandimenti che distruggono appoco
appoco l’uguaglianza, senza cui non c’è vera libertà, e
cangiano i costumi, lo stato primitivo, l’ordine della repubblica”
(923).
L’originalità
si conquista, paradossalmente, moltiplicando i modelli.
Leopardi
dichiara di "aver contratta, a forza di moltiplicare i modelli,
le riflessioni ec. quella specie di maniera o di facoltà, che
si chiama originalità. (Originalità
quella che si contrae? e che infatti non si possiede mai se non s'è
acquistata? Anche Mad. di Staël dice che bisogna leggere più che si
possa per divenire originale. Che
cosa è dunque l'originalità? facoltà acquisita, come tutte le
altre, benché questo aggiunto di acquisita ripugna dirittamente al
significato e valore del suo nome.)
"3
Gli Italiani
reputati all’estero custodi di Musei
Leopardi
considera malinconicamente la reputazione che hanno gli Italiani
all’estero di essere “tanti custodi di un museo”, quando va
bene: “Quegli tra gli stranieri che più onorano l’Italia della
loro stima, che sono quei che la riguardano come terra classica, non
considerano l’Italia presente, cioè noi italiani moderni e
viventi, se non come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e
simili; e ci hanno quella stima che si suole avere a questo genere di
persone; quella che noi abbiamo in Roma agli usufruttuarii,
per così dire, delle diverse antichità, luoghi, ruine, musei ec.
(31 Marzo 1827)”4.
La traduzione
perfetta.
L’italiano,
come il greco, è un aggregato di lingue
“La perfezion
della traduzione consiste in questo, che l’autore tradotto, non sia
p. e. greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in
italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese. Questo è
il difficile, questo è ciò che non in tutte le lingue è possibile”
(Zibaldone,
2134). La lingua italiana la quale è “piuttosto un aggregato di
lingue che una lingua, laddove la francese è unica”, ha maggiore
facoltà rispetto alle altre “di adattarsi alle forme
straniere…Queste considerazioni rispetto alla detta facoltà della
nostra lingua, si accrescono quando si tratta della lingua latina, o
della greca. Perché alle forme di queste lingue, la nostra si adatta
anche identicamente, più che qualunque altra lingua del mondo: e non
è maraviglia, avendo lo stesso genio, ed essendosi sempre conservata
figlia vera di dette lingue, non solo per ragioni di genealogia e di
fatto, ma per vera e reale somiglianza e affinità di natura e di
carattere” (Zibaldone,
964 e 965).
“Chi vuole
vedere un piccolo esempio della infinita varietà della lingua greca,
e come ella sia innanzi un aggregato di più lingue che una lingua
sola, secondo che ho detto altrove, e vuol vederlo in uno stesso
scrittore e in uno stesso libro; legga il Fedro di Platone. Nel quale
troverà, non dico tre stili, ma tre vere lingue, l’una nelle
parole che compongono il Dialogo tra socrate e Fedro, la quale è la
solita e propria di Platone, l’altra nelle due orazioni contro
l’amore, in persona di Lisia e di Socrate; la terza nell’orazione
di questo in lode dell’amore.” (Zibaldone,
2717)
Amiamo il bello
con semplicità
Leopardi avverte
che la semplicità viene fraintesa dagli imbecilli: “E’ curioso
vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere
semplici, e che sempre le maniere semplici sono prese per indizio di
poco merito. (Firenze, 31 Maggio 1831)”5.
“La semplicità
è quasi sempre bellezza sia nelle arti, sia nello stile, sia nel
portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto ama il semplice…La
semplicità è bella perché spessissimo non è altro che
naturalezza; cioè si chiama semplice una cosa, non perch’ella sia
astrattamente e per se medesima semplice, ma solo perché è
naturale, non affettata, non artifiziata, semplice in quanto agli
uomini, non a se stessa, e alla natura”6.
La bellissima
negligenza degli autori sommi.
Sulla
“negligenza” dei sommi scrittori, da Omero in avanti, Leopardi dà
un giudizio positivo: “ Così i poeti antichi non solamente non
pensavano al pericolo in cui erano di errare, ma (specialmente Omero)
appena sapevano che ci fosse, e però franchissimamente si
diportavano con quella bellissima negligenza che accusa l’opera
della natura e non della fatica. Ma noi timidissimi, non solamente
sapendo che si può errare, ma avendo sempre avanti agli occhi
l’esempio di chi ha errato e di chi erra, e però pensando sempre
al pericolo…non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall’esempio
degli antichi e dei Classici…ma da quelle regole (ottime e
Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in
voli bassi né mai osiamo alzarci con quella negligente e sicura e
non curante e dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria
nelle somme opere dell’arte, onde pel timore di non fare cose
pessime, non ci attentiamo di farne delle ottime, e ne facciamo delle
mediocri…insomma non c’è più Omero Dante l’Ariosto, insomma
il Parini e il Monti sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto”
(Zibaldone,
9-10).
Ancora:
“Non solo, come ho spiegato altrove, si fa male quello che si fa
con troppa cura, ma se la cura è veramente estrema, non si può
assolutamente fare, e per giungere a fare bisogna rimettere alquanto
della cura e della intenzione di farlo (24 Agosto 1821)”
(Zibaldone,
1854).
Condanna
dell’affettazione, della posa, dello snobismo che è maleducazione.
“Grazia del
contrasto. Conte Baldessar Castiglione, il libro del Cortegiano…Ma
avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia,
lasciando quegli che dalle stelle l’hanno, trovo una regola
universalissima; la qual mi par valer circa questo in tutte le cose
umane, che si facciano, o dicano, più che alcun altra; e ciò è
fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso
scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in
ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte, e dimostri,
ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza
pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia”
(Zibaldone,
2682).
“L’affettazione
è la peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà, perciò appunto che
la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli
atti della vita umana, è la naturalezza (28. Feb. 1821)7.
Elogio del dubbio
Leopardi cita
Cartesio a proposito della necessità del dubbio: “Le verità
contenute nel mio sistema non saranno certo ricevute generalmente,
perché gli uomini sono avvezzi a pensare altrimenti, e al contrario,
né si trovano molti che seguono il precetto di Cartesio: l’amico
della verità debbe una volta in sua vita dubitar di tutto.
Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le
verità ch’io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e
gli animi vi si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perché
sien vere, quanto per l’assuefazione”8.
Concludo questa
parte con Leopardi: “Piccolissimo è quello spirito che non è
capace o è difficile al dubbio”9.
Le discussioni di
Socrate iniziavano e finivano sempre con delle domande10
giovanni ghiselli
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il blog giovanni
ghiselli blog è arrivato a 185504
1
Zibaldone, 1376.
2
Zibaldone, 1473.
4
Zibaldone, 4267.
5
Zibaldone, p. 4523.
6
Zibaldone, 1411-1412.
7
Zibaldone 705.
8
Zibaldone, 1720.
9
Zibaldone, 1392.
10
“I miei film non mirano ad avere un senso compiuto. Finiscono
sempre con una domanda” ( Pasolini, Tutte le Opere, Saggi sulla
politica e sulla società, p. 1319 )
Partecipo all'elogio del dubbio,.....con qualche dubbio! A volte il dubbio è necessario, a volte bisogna essere frecce che l'arco scocca e andare dritti all'obbiettivo senza indugi o tremori. Giovanna Tocco
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