Seconda parte della conferenza che terrò domani 10 aprile dalle 17 alle 19 nella biblioteca San Giovanni di Pesaro
L’esempio
di Antigone
L'Antigone
venne rappresentata per la prima volta nel 442 quando Sofocle aveva all'incirca
circa 55 anni.
Sulla vita di Sofocle riferisco i dati che
possono avere influenzato l'opera o impressionato la critica. Nato nel 497-496
da famiglia agiata[1], nel 480 guidò il coro dei giovinetti che
celebrarono la vittoria di Salamina danzando e cantando un peana ad Apollo.
Fruì di un'accurata educazione ginnica e musicale, tanto che poté recitare nei
suoi drammi, interpretando la parte di Tamiri cui spettava suonare la cetra, e
quella di Nausicaa impegnata a danzare lanciando la palla. Rimase quasi sempre
ad Atene, dove partecipò alla vita politica fra i dirigenti della città. Nel
442 fu ellenotamio, uno degli amministratori della confederazione delio-attica;
nel 441, in seguito al successo dell'Antigone
, fu eletto fra i dieci strateghi, e fu stratego anche una seconda volta,
nel 427, con Nicia. Queste notizie significano che Sofocle non fu
l'intellettuale da tavolino, come sarà lo scrittore postclassico, " l'uomo
alessandrino che in fondo è un bibliotecario, un correttore di bozze e si
accieca miseramente sugli errori di stampa e la polvere delle biblioteche"
[2].
Possiamo identificare costui con l'erudito cui
allude Petronio contrapponendolo proprio ai grandi tragici:" cum
Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum
umbraticus doctor ingenia deleverat " (Satiricon, 2) quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le
quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a
scempiare gli ingegni. Oppure con quel Seneca tacitiano che, per
apparire innocuo a Nerone presso il quale era stato accusato, gli ricorda i
suoi "studia...in umbra educata"[3], studi coltivati nell'ombra[4].
Insomma Sofocle fu
lontano dai dotti dello Zaratustra di Nietzsche: i quali "siedono freddi
nell'ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori, e si guardano
bene dal mettersi seduti dove il sole arde i gradini... aspettano e guardano a
bocca spalancata i pensieri che altri hanno pensato...Essi hanno occhi freddi
ed asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato"[5].
In effetti nell'Antigone attorno al tema centrale della
sepoltura, troviamo uno Stasimo (il
terzo) dedicato a Eros e l'invocazione a Elio come "la luce più
bella" (vv. 100-101). Certo è che Eros è un dio combattivo e invincibile,
e il raggio di sole, l'occhio del giorno d'oro, incalza "travolgendolo in
rotta fuggiasco / con morso più acuto/l'esercito dal bianco scudo/ giunto da
Argo in completa armatura" (vv. 106-109).
Non per niente Ezra
Pound, "il miglior fabbro", secondo T. S. Eliot,
scrisse:"Guardate di starvene sempre nella dura luce sofoclea/E
sopportatene le ferite con animo lieto"[6].
Nel
413, dopo la catastrofe della spedizione in Sicilia, il poeta abbia fatto parte
del collegio dei dieci probuli[7] i quali prepararono il governo oligarchico
dei Quattrocento.
Tucidide racconta che in seguito alla
sconfitta sul fronte occidentale, per
non cedere, ad Atene bisognava, tra le altre cose, nominare una
magistratura di uomini più esperti perché
deliberassero a proposito della situazione presente a seconda
dell'opportunità (" oi{tine" peri; tw'n parovntwn wJ" a]n
kairo;" h'\ probouleuvsousin",
VIII, 1, 3).
Aristotele nella Retorica (1419a) ci informa
che Sofocle, interrogato da Pisandro se istituire i Quattrocento non gli
sembrasse una cosa cattiva, rispose:"Sì, ma non vi era altro di
meglio" (1419a). Comunque in seguito il poeta prese le distanze
dall'operato del regime oligarchico, se è vero, come afferma Canfora[8] che, agli Ateniesi, il giovane e leale
Neottolemo del Filottete doveva ricordare lo stratego Trasillo il quale era stato
"il promotore del giuramento di fedeltà alla democrazia dei marinai di
Samo, il restauratore della democrazia in Atene dopo i mesi dell'egemonia
terameniana, il vincitore, con Alcibiade, ad Abido (i due leoni che debbono
marciare fianco a fianco secondo la profezia di Eracle[9])". Nella
stessa tragedia, del 409, Sofocle allude
con la figura del protagonista FIlottete ad Alcibiade , e con il personaggio di
Odisseo, uomo maturo e senza scrupoli a
Teramene, detto, per la sua ambiguità
politica, il coturno, in quanto si adattava a situazioni diverse come la
calzatura da teatro a entrambi i piedi.
"Gli spettatori
potevano riconoscere in Odisseo il troppo abile e spregiudicato Teramene, prima
(in quanto leader dei Quattrocento) avversario di Alcibiade, quindi promotore
del suo rientro: ma promotore 'deluso', dal momento che al suo decreto
Alcibiade non ha prestato ascolto per quasi due anni[10]".
Verso la fine della vita il poeta venne citato
in giudizio dal figlio Iofonte per demenza senile. Il vecchio recitò il primo
stasimo del suo ultimo dramma, l'Edipo a
Colono , quale prova che non aveva perduto il senno. Naturalmente fu
assolto.
L'episodio è raccontato in modo sintetico e
vivace da Apuleio nell'Apologia: "Sophocles
poeta Euripidi aemulus et superstes, vixit enim ad extremam senectam, cum
igitur accusaretur a filio suomet dementiae, quasi iam per aetatem desiperet,
protulisse dicitur Coloneum suam, peregregiam tragediarum, quam forte tum in eo
tempore conscribebat, eam iudicibus legisse nec quicquam amplius pro defensione
sua addidisse, nisi ut audacter dementiae condemnarent, si carmina senis
displicerent. Ibi ego comperior omnis iudices tanto poetae assurrexisse, miris
laudibus eum tulisse ob argumenti sollertiam et coturnum facundiae, nec ita
multum omnis afuisse quin accusatorem potius dementiae condemnarent "
(37), il poeta Sofocle, rivale di Euripide e a lui sopravvissuto, arrivò
infatti fino alla vecchiaia estrema; allora accusato di demenza dal suo stesso
figlio, come se per l'età oramai vaneggiasse, si dice che abbia presentato il
suo Edipo a Colono , ottima tra le
tragedie, che egli componeva appunto in quel tempo, e l'abbia letta ai giudici,
aggiungendo a propria difesa nient'altro che osassero condannarlo per
pazzia se dispiacevano i versi del
vecchio poeta. Trovo scritto che tutti i giudici si levarono in piedi davanti a
tanto poeta, esaltandolo per la bravura della trama e la grandiosità dello
stile tragico, e non mancò molto che piuttosto condannassero l'accusatore per
demenza.
Sofocle morì nel 406, poco dopo Euripide, per
la cui scomparsa durante il proagone delle Dionisie fece recitare il coro e gli
attori in abito da lutto e senza corona. Dopo la morte fu onorato come eroe
Dexion, l'Accoglitore, poiché aveva
partecipato al culto di Asclepio, il dio risanatore, ospitandone in casa la
statua quando questa fu portata da Epidauro ad Atene. Un segno della sua pietas e della sua
lontananza dalla medicina scientifica.
Il Dioniso delle Rane di Aristofane rivela
che il poeta conservò anche dopo la morte quello spirito equilibrato e sereno
che lo aveva caratterizzato sulla terra: "oJ d j eu[kolo" me;n ejvnqavd j, eu[kolo"
d j ejkei'"(v.82), egli è di buon carattere qua
come lo era là . A commentare questo aggettivo ripetutamente usato dal commediografo
per caratterizzare Sofocle, si presta la seguente riflessione di F. Nietzsche: "Sofocleismo.
Chi ha versato acqua nel vino più dei Greci? Sobrietà e grazia congiunte. Fu
questo il privilegio di nobiltà dell'ateniese al tempo di Sofocle"[11].
Una Vita
anonima conservata da alcuni manoscritti[12] e risalente al tardo ellenismo, ci fa sapere
che :"Gevgone
de; kai; qeofilh;" oJ Sofoklh'" wJ" oujk a[llo" (12), Sofocle fu in rapporti amichevoli con
gli dei quant'altri mai, il che corrisponde alla nostra interpretazione di
poeta religioso, come del resto
quella di autore arcaicizzante un'altra
notizia secondo la quale:"To; pa'n me;n ou\n oJmhrikw'" wjnovmaze (20), chiamava ogni cosa alla maniera
omerica. Infatti, continua la Vita , Sofocle riferisce i miti sulle
orme del poeta, in molti drammi cita l'Odissea,
e spiega etimologicamente il nome di Odisseo seguendo Omero: "ojrqw'" d&
jOdusseuv" eijm j ejpwvnumo" kakoi'":/polloi; ga;r wjduvsanto[13] dussebei'" ejmoiv"[14], giustamente sono chiamato Odisseo dai miei
mali;/molti empi infatti si adirarono contro di me.
Queste parole di Sofocle richiedono una
spiegazione che do volentieri perché mi collegano al precedente lavoro sll'Odissea . Nel XIX canto si trova
un'etimologia (fantasiosa e arbitraria) del nome dell'eroe eponimo del poema:
Autolico chiede alla figlia Anticlea e al genero Laerte di chiamare il loro
figliolo neonato jOduseuv" (v. 409) poiché, disse il nonno materno giunto
a Itaca dal Parnaso:"polloi'sin ga;r ejgwv ge ojdussavmeno" tovd&
iJkavnw,-ajndravsin hjde; gunaixi;n ajna; cqovna polubovteiran"(vv. 407-408), vengo qui provando odio
per molti,/ uomini e donne sulla terra nutrice.
L'etimologia non ha valore scientifico; eppure ne ha uno educativo:
questo bambino nato sotto l'insegna dell'odio, cresciuto con un nome che
contiene l'odio, diviene un atleta in difesa della vita. Un indirizzo ricevuto
in casa allora non è incotrastabile; anzi, se è cattivo, è doveroso
contrastarlo. La Vita di Sofocle prosegue ricordando che uno
scrittore ionico (non meglio identificato né identificabile) disse che il poeta
era JOmhvrou maqhthvn,
allievo di Omero. Indicherò nel testo alcuni aspetti di questo essere suo
"scolarato" che del resto è stato attribuito a non pochi altri autori[15] o da loro stessi vantato[16]. Tutti questi scrittori, affermano la
necessità dell'armonia tra
l'uomo e il mondo che lo circonda. La Vita aggiunge che altri autori hanno imitato i
grandi predecessori ma solo Sofocle seppe scegliere da ciascuno lo splendore ;
per cui era chiamato ape. Egli portò nei suoi drammi mescolate insieme
proporzione, dolcezza, audacia, eleganza (20). Inoltre seppe commisurare
l'azione in modo da esprimere il carattere del personaggio con poche parole. E
nella poesia il massimo è mettere in luce il carattere, ovvero il pathos
(21).
Sofocle
avrebbe scritto più di cento drammi riportando la vittoria una ventina di
volte. Elevò il numero dei coreuti da dodici a quindici, introdusse il terzo
attore e la scenografia. Divise la trilogia in tre drammi autonomi per mettere
in risalto l'individuo.
Rimangono sette tragedie intere (Aiace, Antigone del 442, Trachinie,
Edipo re, Elettra, Filottete (409), Edipo
a Colono rappresentata postuma nel 401 , un migliaio di frammenti , e parti
estese di un dramma satiresco: jIcneutaiv, I cercatori
di tracce .
Il principale carattere espressivo della
poesia sofoclea è l'uso etimologico della lingua. Facendo affiorare l'etimo
accanto al significato usuale, il poeta evoca quella ambiguità della parola
drammatica che costituisce uno degli aspetti della sua densità e significazione
particolare. Non solo: Sofocle fa un uso radicale della parola greca per
arrestarne quel logoramento che corrisponde alla degradazione dello spirito
religioso e alla degenerazione della morale. Un poco come il responso oracolare
del "Signore di cui c'è l'oracolo a Delfi", l'affabulazione dell'Edipo re, "non dice e non nasconde
ma significa"[17]. Il che non vuol dire artificio, se è vero
che il nostro drammaturgo fu il beniamino del popolo, e che la sua carriera
teatrale agli esordi fu propiziata da un personaggio come Cimone[18] che al pari degli altri Ateniesi amava il
bello con semplicità e la cultura senza mollezza[19]. I
Cori presentano le maggiori difficoltà siccome concentrano in sintesi pregnanti, talora vertiginose,
contenuti di fede, elementi di storia, echi di fatti recenti e di tradizioni
antichissime, e per di più la visione del poeta, se è vero che nel dramma la
parte corale costituisce quel famoso "cantuccio" da dove l'autore, ha
migliori possibilità di esprimere il proprio pensiero senza "introdursi
nell'azione"[20]. Come tutti i grandi che hanno molto da dire,
Sofocle non è privo di pecche, le quali, dal punto di vista dell'Anonimo Sul sublime
(33) consistono in uno spegnimento e in una caduta
improvvisa e infelice dell'ardente impeto poetico. Un difetto che, secondo il
critico antico, lo accomuna a Pindaro: "oJ de; Pivndaro" kai; oJ Sofoklh'"
oJte; me; oi|on pavnta ejpiflevgousi th'/ fora'/, sbevnnuntai d&
ajlovgw" pollavki" kai; pivptousin ajtucevstata." Ma l'Anonimo conclude il capitolo
dicendo che nessuno con un poco di senno scambierebbe il solo Edipo re con tutti i drammi di Ione di
Chio.
Del tutto privo di
scorie invece lo giudica Nietzsche:" Shakespeare..paragonato con Sofocle,
è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre
quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da
far quasi dimenticare il suo valore come metallo"[21].
Noi possiamo notare una noncuranza nei confronti
delle ripetizioni di termini; esse appaiono copiose e presenti in tutto il
dramma. " Contro gli innovatori
della lingua. Usare nella lingua neologismi o termini arcaicizzanti,
preferire lo strano e il raro, mirare alla ricchezza di vocabolario invece che
alla limitazione, è sempre segno di gusto immaturo e corrotto. Una nobile povertà, ma anche una magistrale
libertà entro il poco appariscente possedimento, distingue gli artisti greci
della parola: essi vogliono avere meno
di quanto ha il popolo-giacché questo è ricchissimo di antico e di nuovo-ma
essi vogliono avere meglio questo
poco (….) e si ha buon occhio per il
loro leggero e delicato modo di trattare ciò che è ordinario, e ciò che è
apparentemente consunto da gran tempo, in parole ed espressioni"[22].
Ho cercato di rendere in italiano lo spessore
semantico del greco, rispettando in ogni caso le scelte dell'autore, anche
quelle difettose o presunte tali, pure a costo di sacrificare qualche cosa di
quella logica che è tipica, caso mai,
della prosa, e probabilmente avrebbe
mortificato non pochi degli intendimenti di Sofocle.
La
storia dei Labdacidi , quella di Laio, Edipo, Antigone, Eteocle e Polinice, costituiscono,
come quella di Prometeo, "uno dei miti antropologici...che rendono ragione
della condizione umana-condizione ambigua, piena di contrasti, in cui gli
elementi positivi sono inscindibili da quelli negativi e ogni luce ha la sua
ombra, giacché la felicità implica l'infelicità, l'abbondanza il duro lavoro,
la nascita la morte, l'uomo la donna, e l'intelligenza e il sapere si uniscono,
nei mortali, alla stupidità e all'imprevidenza. Questo tipo di discorso mitico
sembra obbedire a una logica che si potrebbe definire, in contrasto con la
logica dell'identità, come la logica dell'ambiguità, dell'opposizione
complementare, dell'oscillazione tra poli contrastanti"[23].
D'altra
parte, là dove il senso italiano è offuscato dalla condensazione o addirittura
dalla sovrapposizione di significati diversi, questi vengono spiegati dalle
note che a volte non sono brevi poiché
ogni parola dell'autore dà numerose risonanze, e il minimo dei segni sofoclei
realizza il massimo degli echi e dell'energia semantica.
Una delle caratteristiche dell'affabulazione
sofoclea dunque è quella dell'ambiguità: "La stessa parola ha significati diversi nell'intenzione di chi la
pronuncia e nell'intendimento di chi l'ascolta, essenzialmente il tiranno e la
fiera figlia di Edipo:"In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole
acquistano significati differenti od opposti, perché il loro valore semantico
non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, comune. Così , per
Antigone, novmo"
designa il contrario di ciò che
Creonte, nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo". Per la fanciulla il termine significa
"norma religiosa"; per Creonte, "editto promulgato dal capo
dello Stato". E in realtà il campo semantico di novmo" è sufficientemente esteso per comprendere,
con altri, ambedue i sensi[24].
L'ambiguità traduce allora la tensione fra certi valori avvertiti come
inconciliabili nonostante la loro omonimia. Le parole scambiate sullo spazio
scenico, anziché stabilire la comunicazione e l'accordo fra i personaggi,
sottolineano viceversa l'impermeabilità degli spiriti, il blocco dei caratteri;
segnano le barriere che separano i protagonisti, fanno risaltare le linee
conflittuali. Ciascun eroe, chiuso nell'universo che gli è proprio, dà alla
parola un senso ed uno solo. Contro questa unilateralità urta violentemente
un'altra unilateralità. L'ironia tragica potrà consistere nel mostrare come nel
corso dell'azione l'eroe si trovi letteralmente "preso in parola",
una parola che si ritorce contro di lui arrecandogli l'amara esperienza del
senso ch'egli si ostinava a non riconoscere[25].
Solamente al di sopra della testa dei personaggi si allaccia tra l'autore e lo
spettatore un altro dialogo ove la lingua ricupera la sua capacità di
comunicazione e per così dire la sua trasparenza. Ma ciò che il messaggio
trasmette, quando è compreso, è appunto che nelle parole scambiate fra gli
uomini esistono zone d'opacità e d'incomunicabilità. Nel momento in cui vede
sulla scena i protagonisti aderire esclusivamente a un senso e, così accecati,
perdere se stessi o dilaniarsi a vicenda, lo spettatore è portato a comprendere
che esistono in realtà due sensi possibili, o più. Il messaggio tragico gli
diviene intelligibile nella misura in cui, strappato alle sue certezze e alle
sue limitazioni antiche, egli riconosce l'ambiguità dei termini, dei valori,
della condizione umana. Riconoscendo l'universo come conflittuale, aprendosi a
una visione problematica del mondo, egli stesso si fa, attraverso lo
spettacolo, coscienza tragica"[26].
Nelle Fenicie di Euripide il
personaggio di Eteocle sostiene, all'imterno di una teoria relativistica, che a
nomi uguali non corrispondono fatti uguali:"nu'n d' ou[q' o{moion oujde;n ou[t' i[son
brotoi'",-plh;n ojnovmasai: to; d'
e[rgon oujk e[stin tovde" (vv. 501-502), non c'è niente dunque
che sia uguale né equivalente per i mortali, tranne che mettere i nomi; ma di fatto questa
uguaglianza non c'è. Quindi egli stesso accosta la somma bellezza
all'ingiustizia se questa viene perpetrata in nome del potere (turannivdo"
pevri-kavlliston ajdikei'n, vv.
524-525); allora la Corifea gli fa notare la discrepanza tra le due parole che
nei fatti non si conciliano: "oujk eu\ levgein crh; mh; ' pi;
toi'" e[rgoi" kaloi'":-ouj ga;r kalo;n tou't ', ajlla; th'/ divkh/ pikrovn" (vv. 526-527), non bisogna dire bene
degli atti non belli: poiché questo fatto non è bello ma è violento nei
confronti della giustizia.
Altrettanta
ambiguità e impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi in cerca d'autore quando, nella parte prima il padre dice: "Ma
se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti un mondo di cose; ciascuno
un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole
ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me;
mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che
hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intendeci; non ci
intendiamo mai!".
L'interpretazione
più nota dell'Antigone di Sofocle è forse quella di Hegel che la
considera paradigmatica della collisione tragica tra due unilateralità:
"In primo luogo, va particolarmente messo in rilievo il fatto che se il
fondamento vero e proprio delle collisioni è costruito dall'unilateralità del
pathos, ciò significa solo che l'unilateralità è entrata nel vivo agire ed è
quindi divenuta pathos unico di un individuo determinato. Se l'unilateralità
deve essere superata, è dunque questo individuo che, nella misura in cui ha
agito come l'unico pathos , deve
essere soppresso e sacrificato. Infatti l'individuo è solo quest'unica
vita, e se questa non vale saldamente per sé come tale , l' individuo è infranto. Il genere più compiuto di questo
sviluppo è possibile allorquando gli individui in conflitto si presentano,
secondo la loro concreta esistenza, ognuno in se stesso come totalità, cosicché
in se stessi si trovano in potere di ciò che combattono, violando quindi ciò
che, conformemente alla loro esistenza, dovrebbero onorare. Così p. e.,
Antigone vive sotto il potere statale di Creonte; ella stessa è figlia del re e
promessa di Emone, così dovrebbe ubbidienza al comando del principe. Ma anche
Creonte che è dal canto suo padre e sposo, dovrebbe rispettare la santità del
sangue, e non comandare ciò che è contrario a questa pietà. Così in entrambi è
immanente ciò contro cui si ergono rispettivamente, ed essi vengono presi e
infranti da ciò che appartiene alla cerchia stessa della loro esistenza.
Antigone subisce la morte prima di avere gioito della danza nuziale, ma anche
Creonte viene punito nel figlio e nella moglie, che si danno la morte, il primo
per quella di Antigone, l'altra per quella di Emone. Di tutti i capolavori del
mondo antico e moderno-li conosco più o meno tutti ed ognuno dovrebbe e
potrebbe conoscerli-l'Antigone mi pare per quest'aspetto come l'opera d'arte
più eccellente e più soddisfacente. L'esito tragico non ha però sempre bisogno
della morte dei protagonisti per sopprimere le due unilateralità ed il loro
grande onore. E' noto infatti che le Eumenidi
di Eschilo non terminano con la
morte di Oreste o con la rovina delle Eumenidi, queste vendicatrici del sangue
materno e della pietà di fronte ad Apollo, che vuole salvaguardare la dignità e
il rispetto del capo di famiglia e del re e che ha istigato Oreste ad uccidere
Clitennestra; ma ad Oreste la punizione viene condonata e ad entrambe le
divinità è fatto onore"[27].
Hegel comunque
considera l'Antigone "una delle opere d'arte più eccelse e
per ogni riguardo più perfette di tutti i tempi", una tragedia dalla
collisione esemplare dove "la legge pubblica dello Stato è in aperto
conflitto con l'intimo amore familiare ed il dovere verso il fratello".
Il filosofo mette in luce i ruoli della figlia
di Edipo e di Creonte, fortemente e troppo unilateralmente schierati. "L'interesse
familiare ha come pathos la donna, Antigone; la salute della comunità Creonte,
l'uomo. Polinice, combattendo contro la propria città natale, era caduto di
fronte alle porte di Tebe; Creonte, il sovrano, minaccia di morte, con una
legge pubblicamente bandita, chiunque dia l'onore della sepoltura a quel nemico
della città. Ma di quest'ordine che riguarda solo il bene pubblico dello Stato,
Antigone non si cura, e come sorella adempie al sacro dovere della sepoltura,
per la pietà del suo amore per il fratello. Ella invoca in tal caso la legge
degli dèi; ma gli dèi che onora sono gli dèi inferi dell'Ade (Sofocle, Antigone , v. 451: hJ xuvnoiko" tw'n
kavtw qew'n Divkh[28]), quelli interni del sentimento, dell'amore
del sangue, non gli dei della luce, della libera ed autocosciente vita statale
e popolare"[29].
Altro tema
fondamentale del dramma è quello della consanguineità.
Antigone fin dai primi versi sottolinea ed
enfatizza il legame di sangue che, a parer suo, costituisce il vincolo più forte tra le
persone, come chiarirà ai vv.908-912, dove spiega che un parente pur stretto come uno sposo, ma acquisito, una volta morto
si può rimpiazzare, mentre un fratello, defunti i genitori, non è possibile che
nasca di nuovo. Questa è una delle non poche posizioni[30] che accomunano il nostro autore a Erodoto il
quale (in III, 119) esprime il medesimo
punto di vista attraverso la moglie di Intaferne: la donna, potendo salvare uno
solo dei suoi familiari imprigionati dal grande re Dario, scelse il fratello
con la medesima argomentazione della ragazza sofoclea[31].
Questa scelta costituisce uno degli aspetti
dell'arcaismo di Sofocle, il quale, sostiene Hauser,"fin da principio
sacrifica l'idea dello stato popolare democratico agli ideali dell'etica
nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il potere assoluto
ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l'idea tribale"[32].
La
posizione contraria troviamo in Euripide
il quale nell'Oreste (vv. 804-806) fa dire al protagonista, in
lode dell'amicizia di Pilade: "acquistate amici, non solo parenti:/poiché
chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad
aversi di mille consanguinei". Si può pensare altresì che già nell'Alcesti
il drammaturgo più giovane rappresenta una sposa la quale sacrifica per
il marito la propria vita dopo che il padre e la madre di lui si erano
rifiutati di donargli la loro.
L'importanza della consanguineità, con annesso
il culto dei morti, è sottolineata, tra
i latini, da Cicerone nel De officiis (I, 55):" sanguinis autem coniunctio et benivolentia devincit homines <et>
caritate; magnum est enim eadem habere monumenta maiorum, eisdem uti sacris,
sepulchra habere communia " del resto il legame di sangue lega gli
uomini con la benevolenza e l'amore, infatti è grande cosa avere gli stessi
ricordi degli antenati, fare uso del medesimo culto, avere le tombe comuni.
A
questo aspetto della civiltà greca impersonato dalla fanciulla Antigone dà
grande importanza S. Mazzarino il quale
scrive:"L'idea dello stato aveva contribuito a spezzare i religiosi
vincoli fra le famiglie nobiliari delle varie poleis elleniche: ma essi tornavano ancora nel mito di Antigone che
pose il ghenos al di sopra delle leggi scritte, e nella
tradizione religiosa". Così Erodoto fa discendere Milziade e Cimone da
Eaco (nonno di Aiace) ed Egina, e spiega che "quel ghenos si è fatto
ateniese allorché Fileo, figlio di Aiace, divenne appunto, primo di quella
casa, ateniese (VI 35)... Possiamo facilmente immaginare che alla prima
rappresentazione dell'Aiace di Sofocle (anteriore al 443) il demo
ateniese correva, col pensiero, al "filaide Cimone", l'uomo politico
che aveva rivelato, appunto, il grande poeta, e che nel 449 morì, avversario
glorioso (e sfortunato) di Pericle...Insomma: una genealogia non era soltanto
lavoro di tavolino; era realtà viva di ogni giorno; la discendenza di Cimone da
Aiace fu, per un ateniese, un fatto certo ed importantissimo”[33].
Infine
Steiner suggerisce di commentare il primo verso dell'Antigone con i
"capitoli dedicati a Ulrich e ad Agathe nell'Uomo senza qualità... In entrambi i testi, le voci della
consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici della notte e, allo
stesso tempo, cercano di ritornarvi"[34]. Ecco, ad esempio, alcune frasi del romanzo
di Musil:"egli si trovava senza dubbio nella propria pelle ma tuttavia si
sentiva attratto fuori di se stesso come se gli venisse assegnato un secondo
corpo molto più bello. Perciò quando si fu raddrizzato disse alla
sorella:-Adesso ho capito chi sei tu: sei il mio amor proprio!-La frase suonava
strana, ma descriveva bene ciò che Ulrich sentiva.-Un vero amor proprio come lo
posseggono gli altri mi è sempre mancato, in un certo senso, -egli spiegò.-E
adesso mi pare evidente che, per errore o per destino, era personificato in te!
- aggiunse senz'altro"[35].
Un'altra
Antigone interessante è quella di Jean Anouilh, scritta nel 1942 "quando la Francia vive l'occupazione tedesca sotto il governo di
Vichy"[36].
In questo dramma i personaggi hanno caratteri diversi da quelli della tragedia
di Sofocle: Creonte non è un
tiranno. "Regnare per lui è un
"lavoro" che svolge senza eccessivo entusiasmo, senza
eccessive illusioni, ma con estrema fermezza e lucidità e determinazione…Egli
cerca con ogni mezzo di persuadere Antigone e di farla desistere dai suoi
propositi…e infine, quando ogni
tentativo sembra vano, distrugge con crudele franchezza l'immagine di Eteocle e
Polinice, annullando così l'essenza del gesto di Antigone. Le sue parole tracciano un ritratto impietoso
di entrambi i fratelli, giovani
meschini e viziosi, corrotti per brama di potere e di denaro, cospiratori che
hanno meritato la loro fine sgozzandosi l'un l'altro "come due teppistelli…per un regolamento di
conti". Se uno vale l'altro, che senso ha morire per uno di loro?
Che senso ha spargere la polvere su un corpo che forse non è nemmeno quello di
Polinice? Che valore ha l'ostinazione di Antigone? L'Antigone che si erge di
fronte a Creonte è un personaggio creato ex novo da Anouilh , sia nei
tratti fisici, sia nei risvolti psicologici. In contrasto con la bellissima e seducente sorella Ismene, Antigone è una
fanciulla magra[37]
e scontrosa, non particolarmente bella, non particolarmente dotata, una
ragazza che-pur godendo del privilegio di aver conquistato Emone-appare
tuttavia inquieta e insodisfatta, desiderosa di affermazione e di consenso. Le
sue ribellioni si iscrivono nell'universo infantile degli impulsi testardi e
irrazionali. Il colloquio con la nutrice, intessuto di rimbrotti e tenerezze-
una novità rispetto a Sofocle-, mentre richiama alla memoria la scena di
Giulietta con la sua nutrice nella tragedia shakespeariana, serve ad accentuare
il lato acerbo di questa Antigone
"bambina", che antepone il gesto alla riflessione ("non
bisogna riflettere troppo"), ma che si riconosce anche "troppo
piccola" per la grave trasgressione compiuta all'insaputa di tutti… Ma per
quali ideali si sacrifica Antigone? La piccola Antigone che teme di non essere
considerata donna, vuole in realtà
affermarsi con un gesto clamoroso. Polinice è solo un pretesto: Antigone si
batte per Antigone, e Creonte lo sa quando demolisce implacabilmente
tutte le ragioni che la inducono a perseverare ostinatamente nei suoi propositi
ribelli. Se la sepoltura è un rito vano, se il fratello è un miserabile, perché dunque quel gesto, e per chi?
Antigone risponde: "Per me". Dunque, in ogni caso, l'azione
non può essere né gratuita né vana… Creonte sa bene quali insidie si celino
dietro il sacrificio di un giovane che sparge il suo sangue fresco e
prezioso:"una innocenza inestimabile per il partito". Antigone, come
Cristo, si allinea nella pericolosa schiera dei martiri. Il coro l'aveva detto,
il coro aveva ammonito: "Non lasciar morire Antigone, Creonte! Porteremo
tutti questa piaga al costato per dei secoli!".
Dunque,
alla fine, anche in Anouilh, Antigone, con la sua morte assurda e innocente,
finisce per prevalere su Creonte. E in linea di massima questo è il destino del
personaggio nella sua lunga e ancora non conclusa storia post-sofoclea.
Dovunque vi siano discriminazioni razziali, lotte di classe, intolleranze
religiose, dovunque una minoranza oppressa levi la sua voce a reclamare
giustizia, Antigone torna ad assumere
il ruolo che da sempre le è stato imposto, quello della giovane eroina che
sfida i regimi totalitari in nome di una pietas universale che
"si estende dai fratelli di sangue a tutti gli uomini sentiti come fratelli,
superando così ogni ethos tribale-nazionale (Magris)"[38].
Infine
l'Antigone di Bertold Brecht
(Antigone des Sophokles) che nel 1947
ha rielaborato la traduzione di Hölderlin (del 1804). Il dramma di Brecht è
fortemente ideologico. "Il personaggio dominante è senza dubbio Creonte, sovrano autoritario, tiranno senza
scrupoli che, per sete di dominio e di ricchezza, ha intrapreso una
guerra contro Argo allo scopo di
impadronirsi delle sue preziose miniere di bronzo. Per questa guerra
egli mette a rischio Tebe, tutta la gioventù di Tebe, i suoi nipoti, i suoi
stessi figli.
Eteocle
e Polinice non lottano più l'uno contro l'altro per il regno, opposti in
un conflitto che, pur nella sua violenza barbarica, conserva sempre
un'aristocratica grandezza. Ora essi combattono
l'uno accanto all'altro, asserviti a un dittatore, in una guerra di conquista e
di rapina…Eteocle muore, "uno fra molti", e cadendo per la
patria diventa, suo malgrado, un eroe. Polinice, al contrario, si dà alla fuga,
ripudiando l'inutile morte del fratello e la guerra disumana. E Creonte lo
uccide con le sue stesse mani, come pericoloso esempio di viltà, dando poi
seguito anche a una altrettanto esemplare "decimazione" all'interno
dell'esercito, per stroncare ogni volontà di ribellione. Polinice il disertore
diventa così, nell'ottica militaristica di Creonte, il traditore, il nemico
della patria. Mentre, nella realtà, egli si colloca tra le vittime del regime
imperialista, al pari di Eteocle. Questo drastico ridimensionamento del ruolo
dei due fratelli determina un netto squilibrio nel conflitto che oppone
Antigone a Creonte: perché Creonte è,
davvero, un tiranno, e Antigone è, davvero, una vittima che si ribella a una
autorità disumana…Brecht porta dunque all'esasperazione il contrasto Antigone/Creonte,
creando fra di essi una divaricazione estrema, che impedisce ogni dialettica.
Antigone è solo una vittima, Creonte solo un tiranno…Il mondo di Sofocle appare
lontano, l'equilibrio, mirabile nella
sua ambivalenza, delle posizioni conflittuali, è perduto"[39].
Io
trovo che questa interpretazione di Creonte sia vicina al messaggio di Sofocle
dove Creonte è assolutamente un tiranno il quale toglie la liberà di parola,
madre di ogni libertà, e con il suo “non capire” manda in rovina tutta la
propria stirpe.
giovanni
ghiselli
il
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[1]
Ione di Chio, autore di drammi, liriche e
opere in prosa, coetaneo e amico del nostro autore, definisce Sofocle
"ei'j" tw'n crhstw'n jAqhnaivwn"
(in Athen. XIII, 604D), un ateniese di buona famiglia.
[2]
Nietzsche, La nascita della tragedia
, 18, p. 127.
[3]
Tacito, Annales , XIV, 53.
[4] A proposito della dicotomia cultura vita si può
ricordare un iperbolico proposito del Manifesto
del Futurismo di Marinetti:"
vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori,
d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari".
[5] Così parlò Zaratustra , p. 151 e p.
352.
[7]
Aristotele, Retorica 1419a25.
[8] Storia Della Letteratura Greca , p.
167.
[9] Sofocle, Filottete , v. 1436.
[10]
L. Canfora, Storia Della Letteratura
Greca , p. 167.
[12]
P. e. nel Venetus Marcianus (V) con il titolo Sofoklevou" gevno", e nel Vaticanus (R) con il titolo Gevno" Sofoklevou".
[13]
Aoristo di ojduvssomai
etimologicamente imparentato con il latino odium
.
[14]
Fr. 965 Pearson, dimetri giambici.
[15]
L'Anonimo autore del trattato Sul sublime passa in rassegna gli autori
"omericissimi" che sono Erodoto, Stesicoro, Archiloco e soprattutto
Platone il quale anzi non sarebbe diventato così grande filosofo e poeta se non
si fosse messo a gareggiare con Omero (13).
[16]
"Secondo quanto riferisce Gor'kij, lo stesso Tolstoj disse di Guerra e pace :" Senza falsa
modestia, è come l'Iliade ", da
G. Steiner, Tolstoj o Dostoevskij ,
p. 81.
[17]
Eraclito:"oJ a[nax, ou'J to;
mantei'ovn ejsti to; ejn Delfoi'", ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla;
shmaivnei", fr. 120 Diano.
[18]
Cfr. Plutarco, Vita di Cimone , 8.
[19]
Cfr. Tucidide, Storie , II, 40,
1:""filokalou'mevn te ga;r
met& eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva"",
amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza. Questa
celebre affermazione dell'epitafio tucidideo
mi sembra emblematica non solo dell'Atene di Pericle ma di tutta la
cultura greca, anzi di tutta la migliore cultura europea:
[20]
Cfr. A. Manzoni, Prefazione a Il
conte di Carmagnola .
[21] Umano, troppo umano II, , Opinioni e
sentenze diverse, 162
[22] Nietzsche, Umano,
troppo umano II , Il viandante e la sua ombra, 127.
[23]
J. P. Vernant, Tra mito e politica ,pp. 30-31.
[24]
Benveniste (Noms d'agent et noms d'action
en indo-européen , Paris 1948, pp. 79 sgg.) ha dimostrato che némein
racchiude l'idea di un'attribuzione regolare, di una spartizione
regolata dall'autorità del diritto consuetudinario. Questo senso rende conto delle due grandi serie
nella storia semantica della radice *nem .
Novmos , attribuzione regolare, regola
d'uso, consuetudine, rito religioso, legge divina o civica, convenzione; novmos , attribuzione territoriale
fissata dalla consuetudine, pascolo, provincia. L'espressione tà nomizovmena designa l'insieme di ciò che è
dovuto agli dei; tà nomivsmata le consuetudini o la moneta avente corso in
una città.
[25]
Nell'Antigone , a v. 481, Creonte
condanna la giovane che ha trasgredito "i novmoi
stabiliti". Verso la fine del dramma, al v. 1113, preoccupato per
le minacce di Tiresia, egli giura di rispettare d'ora in poi "i novmoi
stabiliti". Ma, da una formula all'altra, novmos ha mutato
senso. A v. 481, Creonte l'adopera come sinonimo di khvrugma, editto pubblico proclamato dal capo della città; al
v. 1113, il termine ha ritrovato, in bocca a Creonte, il senso che Antigone gli
dava all'inizio: legge religiosa, rituale funebre.
[26]
J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito
e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89-90.
[27]
Hegel, Estetica , pp. 1612-1613
[28] Giustizia che convive con gli dei di laggiù
[29]
G. W. F. Hegel, Estetica , p. 612.
[30] In primis la venerazione dell'oracolo delfico e il
rifiuto della tirannide.
[31]
Troverai spiegazioni più ampie nel commento ai versi in questione.
[32]
A. Hauser, Storia sociale dell'arte,
vol. I, p. 122.
[33] S.
Mazzarino Il pensiero storico classico , vol. I,
p.182 .
[34] Le Antigoni , p. 240.
[35] R.
Musil, L'uomo senza qualità , p. 871.
[36]
Maria Grazia Ciani (a cura di) Sofocle,
Anouilh, Brecht, Antigone Variazione sul mito, p. 12.
[37]
"Sono nera e magra. Ismene è rosa e
dorata come un frutto.
[38]
Maria Grazia Ciani, op. cit., pp. 13-14.
[39]
Maria Grazia Ciani, op. cit., pp.
17-18.
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