Prima parte della conferenza che tenuta il 21aprile 2015 nella biblioteca Scandellara di Bologna
Il Satyricon, il ribaltamento dei boni sanctique mores.
Sintesi estrema
Non solo adulterio ma adulterazione totale. Un testo frammentario amato
da Fellini. Romanzo o satira menippea. Bachtin e la letteratura carnevalizzata.
La critica di Huysmans. La parte che ci è arrivata si apre con una discussione
sulla scuola. Encolpio e il maestro di retorica Agamennone fanno un dibattito
sulle cause della corruzione delle scuole di eloquenza. Encolpio muove accuse
agli umbratici doctores , allo stile asiano e alla tecnica pittorica compendiaria.
La decadenza della scuola secondo Agamennone dipende dagli allievi e dai
genitori che rifuggono dalla severa disciplina. Ricordo di Tito Manlio
Torquato. La stessa carenza di serietà lamenta l'oratore Messalla del Dialogus
de oratoribus di Tacito. L'eloquenza e la poesia necessitano pure di grande
cultura. La visita al lupanare. Il realismo magico di Petronio. Tutto è
ribaltato e va a rovescio: "acta retro cuncta ".
Il rovesciamento di un pater
familias humanissimus in un omosessuale violento e frustrato; molto più
avanti c'è il ribaltamento di un'intera città, Crotone, aliquando Italiae
prima, ridotta come un campo appestato da un'epidemia . Fellini e il Satyricon
film. Gitone e Lucrezia.
Il rito orgiastico. Il cinedo
vecchio prefigura Aschenbach. Psiche, Quartilla e Pannichide. La cerimonia
nuziale corrotta. Una scena di voyeurismo. L'assenza di turpiloquio anche nelle situazioni postribolari.
La cena di Trimalchione e il simposio della gente educata. Trimalchione e
il suo puer vetulus. La pacchianeria dell'anfitrione. Il vino, la vita e
la vanitas. Fortunata. Un poco di astrologia. Uno scorpione imperiale: Tiberio.
Trimalchione invece è "un cancro". La chiacchierata di Seleuco. La vanitas.
La virtù delle mosche e il geniale cavallo di Ulrich. Contro i medici: Seleuco
e Proust. Contro le donne, milvinum genus. Filerote e il pastiche
linguistico. I miseri quattrini. Ganimede se la prende con gli edili e i
fornai. Ma la causa più vera della carestia è l'empietà. Le visioni
contrapposte di Sofocle e Lucrezio. Trimalchione e il problema del latifondo.
La cultura letteraria del padrone di casa. Parodie dell'Odissea. Il pene
come carta d'identità. Nicerote racconta un adulterio condito di licantropia.
Le streghe. Di nuovo il puer. La lite delegata ai cani Scylax
(Cucciolo) e Margarita (Perla). Abinna, il lapidarius, sua moglie
Scintilla e Fortunata.
I limiti del realismo antico secondo Auerbach.
Lo scherzo indecente. Il plurilinguismo della Cena . Daedalus
, in Petronio, Lucrezio, Ovidio e l'artista di Thomas Mann. Il testamento di
Trimalchione. Il latino volgare riduce l'uso del neutro anticipando l'italiano.
Gli schiavi sono uomini. La presenza di Seneca, ribaltato ma non sempre.
L'epigrafe funebre di Trimalchione. Il labirinto. La sconcia lite tra Fortunata
e Trimalchione. La carriera di Trimalchione. Nietzsche confronta il Satyricon
con il Nuovo Testamento. Un'attualizzazione del mondo di Petronio: l'elezione
di Mister Italia 2001. Trimalchione si arricchisce con la mercatura poi investe
nella terra. La roba. I latifondi. Il valore assoluto del denaro. La
conclusione della Cena con la marcia funebre di Trimalchione che si
finge morto e l'intervento dei pompieri. La scenata tra i fratres: Gitone
offre la gola ai contendenti come Giocasta, nelle Phoenissae di Seneca,
il ventre. Il par Thebanum e l'accumulo di paradigmi mitici. Ascilto e
Gitone abbandonano Encolpio. Una denuncia della cultura pragmatica. L'amicizia
vera e finta. Il mondo come palcoscenico e la vita come recita. Svetonio e
Shakespeare. Il lamento vicino al mare dell'amante desolato. L'accumulo dei
paradigmi letterari. La confessione dei crimini e la legge eschilea.
L'invettiva contro gli amanti fuggitivi. I propositi di vendetta. Il modello
eroico ridicolizzato. L'ira funesta di Encolpio viene smontata da un
malandrino.
La pinacoteca. Zeusi Protogene e Apelle. L'arte imita la natura. Il brivido
di Encolpio. Apelle e il Foscolo. Apelle e gli eroi fulminatòri. L'artista
dipinge le anime. L' ekfrasi" . Iuppiter peccaturus . La guerra
santa. Ecce autem Eumolpo, il poeta malvestito. Il mercante, il soldato,
il parassita adulatore, il prostituto se la passano bene mentre l'eloquenza
batte i denti. Eumolpo è un vecchio libertino incallito. Petronio e Huysmans,
Petronio e Verga. Le cause della decadenza dell'arte rispetto ai tempi di Mirone
e Lisippo . L'universale carestia letteraria nell'Anonimo Sul Sublime .
Motivi del decadere della grande oratoria secondo Curiazio Materno potavoce di
Tacito nel Dialogus de oratoribus . La Matrona di Efeso.
Mi accingo a commentare un
capolavoro, quasi sicuramente dell'età di Nerone, come vedremo, e molto
probabilmente di quel Petronio descritto da Tacito nel capitolo 18 del XVI
libro degli Annales.
La sui neglegentia , la noncuranza di sé quale
virtù suprema dello stile, viene attribuite dallo storico a questo elegantiae
arbiter, maestro di buon gusto alla corte di Nerone, l'imperatore che: "nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius
adprobavisset"[1],
niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse
approvato. le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e
manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi
come segno di semplicità
Egli, premette
Tacito, di giorno dormiva mentre passava la notte tra i doveri e i piaceri
della vita, e come gli altri dall'operosità, quest'uomo era stato portato alla
rinomanza dall'indolenza "habebaturque
non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu", ed era considerato non un dissoluto
o un dissipatore, come i più tra quelli che sperperano le proprie fortune, ma
uno dalla voluttà raffinata.
Petronio aveva scelto lo stile della semplicità: " Ac dicta factaque eius quanto
solutiora et quandam sui neglegentiam, praeferentia, tanto gratius in
speciem[2] simplicitatis
accipiebantur"[3]
le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa
noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
“Altri uomini immersi nella voluttà, ma privi del suo gusto,
sono disprezzati e condannati come ganeones
e profligatores. Ma la sua
raffinatezza è accompagnata da una sovrana nonchalance (quaedam sui neglegentia),
e questo gli dà una parvenza di
simplicitas. La notazione, a sua volta raffinata e profonda, non sarebbe
dispiaciuta al “classicista” Petronio: creare con un lavoro raffinato la
parvenza della naturalezza è la grande ambizione del classicismo antico; la
prosa di Petronio non sembra abbia fallito questo scopo”[4].
Del resto come collaboratore di Nerone aveva dato prove di
capacità non solo quale esteta ma anche quale console e proconsole: "Proconsul
tamen Bithyniae et mox consul vigentem se ac parem negotiis ostendit",
si mostrò vigoroso e all'altezza dei compiti. Cicerone nel caratterizzare
l'esteta e dandy Catilina rileva aspetti analoghi e tali da costituire una
sorta di ossimoro psicologico: "Neque ego umquam fuisse tale monstrum
in terris ullum puto, tam ex contrariis diversisque et inter se pugnantibus
naturae studiis cupiditatibusque conflatum… quis in voluptatibus
inquinatior, quis in laboribus patientior?"[5],
io non credo che sulla terra sia mai esistito un tale portento formato dalla
mescolanza di passioni e appetiti naturali tanto contrari divergenti e
contrastanti tra loro… chi è stato più insozzato nei piaceri, chi più resistente
alle fatiche?
Ebbene l' autore del Satyricon
, Petronius Arbiter, attraverso l'io narrante Encolpio, considera la propria
opera caratterizzata da una straordinaria semplicità "novae simplicitatis opus " (Satyricon, 132, 15).
"Che questo Petronio sia il nostro, è più probabile che
possibile. Anzitutto c'è il nome, o, per meglio dire, il soprannome. Il
personaggio di Tacito è un C. Petronio, conosciuto alla corte di Nerone come l'
"arbitro del buon gusto". Il nostro sia nei titoli dei manoscritti
che nelle citazioni dei grammatici è indicato come Petronio Arbitro"[6].
Secondo me questo
personaggio non solo è l'autore del Satyricon ma è l'inventore o per lo
meno il codificatore dello stile della sui neglegentia, la (studiata) noncuranza
di sé che caratterizza nei secoli l'aristocrazia europea.
Aggiungil
Lo stile della neglegentia.
Subito sopra, sempre a proposito degli uomini, Ovidio scrive:
"Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla
tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura
deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507-510),
agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse
senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò
Ippolito e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto
d'amore di una dea.
Lo stile della neglegentia è in ogni caso quello
dell'aristocrazia. Il fascino e l'eleganza sono luce ed emanazione della
persona. Vediamo come hanno cercato di raffigurarli alcuni scrittori europei.
La studiata
disinvoltura , la sui neglegentia ,
l'apparente noncuranza di sé
come mancanza di affettazione, e "apparenza" di naturalezza, quali
virtù supreme dello stile vengono attribuite da Tacito a Petronio, uomo erudito
luxu dalla voluttà raffinata, elegantiae arbiter , maestro di buon
gusto alla corte di Nerone il quale infatti : "nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius
adprobavisset"[7],
niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse
approvato.
Petronio approvava l'apparenza della
semplicità: " Ac dicta
factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam[8],
praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur"[9]
le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa
noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Sembra un manifesto del dandy antico, e in effetti il raffinato autore del Satyricon , Petronius Arbiter, probabilmente
la stessa persona, considera la propria opera caratterizzata da una
straordinaria semplicità "novae
simplicitatis opus " (Satyricon, 132).
Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme
liberata, "La vergine tra 'l vulgo uscì soletta,/non coprì sue
bellezze, e non l'espose,/raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,/con
ischive maniere e generose./Non sai ben dir s'adorna o se negletta, se caso od
arte il bel volto compose./Di natura, d'Amor, de' cieli amici/le negligenze sue sono artifici"
(II, 18).
Può essere interessante notare che di adfectatio
addirittura scolastica viene tacciato Ovidio stesso da Quintiliano che del
resto lo scusa, vista la necessità del poeta delle Metamorfosi di arrivare a sintesi tra cose diversissime: "Illa
vero frigida et puerilis est in scholis adfectatio, ut ipse transitus efficiat
aliquam utǐque sententiam et huius velut praestigiae plausum petat, ut Ovidius
lascivire in Metamorphosesin solet, quem tamen excusare necessitas potest res
diversissimas in speciem unius corporis colligentem " (Institutio
oratoria, 4, 1, 77), c'è invero nelle scuole quella fredda e puerile
affettazione, in modo che il passaggio[10]
stesso forma in ogni modo qualche battuta d'effetto e cerchi l'applauso di
questa specie di illusione, come è solito giocare nelle Metamorfosi Ovidio
che tuttavia può scusare la necessità in quanto egli raccoglie cose
diversissime nella parvenza di un unico corpo.
Parini
impiega questo topos a proposito dell'acconciatura del Giovin Signore suo
pupillo: "Ma il crin, Signore,/Forma non abbia ancor da la man
dotta/Dell'artefice suo…Non senz'arte però vada negletto/su gli omeri a cader… Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con
artificio negligente avrai;/Esci
pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati (Il mattino[11],
vv. 1005 e sgg.).
Questo stile della semplicità ricercata è adottato anche dal
seduttore di Madame Bovary: "si scusò di essere anche lui così
trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di
ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di
un'esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell'arte,
il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o
esasperare" (p. 113).
"Il dandismo non è, come molte persone poco riflessive
vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell'eleganza
materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della
superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi
sopra tutto di distinzione , la
perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà,
il miglior modo di distinguersi"[12].
L'elogio della neglegentia
procede parallelamente alla condanna dell'affettazione nella civiltà europea.
Ne do qualche esempio.
Baldassarre Castiglione ne Il cortegiano[13] prescrive
al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente
laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi
ode" (I, 17). Egli deve schivare
"quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la
affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata
disinvoltura, "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir
fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai
la grazia… " (I, 26). Parimenti la perfetta gentildonna "Non mostri
inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di
quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa" .
Infatti "somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la pestifera
affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la
sprezzatura" Quindi la gentildonna non deve mostrare l'artificio: "questi
vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d'altro non nascono
che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il
troppo desiderio d'esser belle" (I, 40).
Anche A. Schopenhauer[14]
negli Aforismi sulla saggezza della vita
prescrive di evitare l'affettazione: "Si deve...mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa
provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno...in
secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una
persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e
mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L'affettazione di una qualità e il
pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua
mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso
coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza,
posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si
vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità,
non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben
tranquillo a questo proposito"[15].
Il conte Alessandro
Manzoni conosce bene la regola dell'affettazione/sprezzatura.
Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon
secentista" definendolo "rozzo
insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza
di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il
proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi
la decisione di "rifarne la dicitura". Viceversa, per quanto riguarda
lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati
dal conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale: "gli
fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino.
Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran
titolo; e che, col solo contegno, con
una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose
grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a
imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della
potenza"[16].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj: " Levin riconobbe le maniere
piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza,
ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai
propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri
dell'interlocutore"[17]
.
Già Cicerone
quando insegna le buone maniere nel De
officiis raccomanda in generale "quae
sunt recta et simplicia " (I, 130), come abbiamo visto, e, per quanto
riguarda la conversazione, consiglia proprio lo stile che Tosltoj attribuisce
alla sua adultera: "maximeque
curandum est, ut eos, quibuscum sermonem conferemus, et vereri et diligere
videamur ...Deforme etiam est de se
ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audentium imitari militem
gloriosum " (I, 136, 137), e soprattutto bisogna stare attenti a
mostrarsi rispettosi e affettuosi con quelli con i quali
parleremo....indecoroso è anche dire bene di se stesso, soprattutto falsamente,
e imitare il soldato millantatore in mezzo allo scherno di quanti ci odono.
Dostoevskij ne I fratelli Karamazov considera
l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia sebbene affascinato da Gruscenka" si domandava con
un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella
strascicasse le parole a quel modo e non
parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava bella
quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione delle
sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio gusto,
la quale testimoniava un'educazione
volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall'infanzia, delle
convenienze e del decoro"[18].
Del principe Myskin, L'Idiota
, Aglaja viceversa dice a Nastasja Filippovna: "Vi devo anche dire che
mai, in vita mia, avevo incontrato fino a quel momento un uomo simile a lui per nobiltà e semplicità d'animo, e
per fiducia illimitata. Udendo le sue parole, capii che chiunque volesse
potrebbe ingannarlo, ed egli, per giunta, lo perdonerebbe"[19].
La semplicità e la negligenza fanno parte dello stile nobile.
Nei Guermantes di Proust, che costituiscono quasi il codice dell'aristocrazia
redatto da un borghese, si legge che "i nobili fraternizzano più
volentieri coi loro contadini che coi borghesi"[20].
Il raffinato Saint-Loup appariva di
un'eleganza " libera e trascurata"[21]
che si adattava perfettamente a "quel
corpo, non opaco e oscuro…ma limpido e significativo". Un corpo
attraverso il quale " le qualità tutte essenziali dell'aristocrazia
…trasparivano, come si manifesta in un'opera d'arte la industre ed efficace
potenza che l'ha creata, e rendevano i movimenti di quella corsa leggera… intellegibili
e pieni di grazia come quelli di un cavaliere su un fregio architettonico"[22].
Si può avvicinare a questa descrizione quella che Plinio il correggil Giovane
dà di Aciliano che propone come sposo per la figlia di un amico: "Est
illi facies liberalis, multo sanguine, multo rubore suffusa; est ingenua totius
corporis pulchritudo" (I, 14), ha una faccia nobile, inondata di molta
vita e molto colore; è schietta la bellezza di tutto il corpo.
Addirittura i tratti del volto di questi
aristocratici suggeriscono una parentela antica con la natura: "il
naso a becco di falco e gli occhi penetranti" sono
"caratteristici...di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo
in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente
ornitologica: perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una
dea con un uccello"[23].
Il paragone tra la donna e l'uccello è già presente nel Perceval
di Chrétien de Troyes quando il protagonista, novello cavaliere , entra nel
castello di Biancofiore e gli "si avvicina la donzella più graziosa, più
elegante e più viva di sparviero e pappagallo"[24].
La connessione con Ovidio sta nel mito di Leda raffigurato
da Aracne: "fecit olorinis Ledam recubare sub alis " (Metamorfosi
, VI, 109), la rappresentò stesa sotto ali di cigno.
Questo trovare l'unità e la "parentela di tutto ciò che
esiste al mondo, cose ed esseri viventi corrisponde alla sola certa filosofia
delle Metamorfosi…Col racconto cosmogonico del libro I e la professione
di fede di Pitagora dell'ultimo, Ovidio ha voluto dare una sistemazione teorica
a questa filosofia naturale, forse in concorrenza col lontanissimo
Lucrezio"[25].
Ovidio nel XV libro delle Metamorfosi dà voce a Pitagora il quale
proibisce di mangiare gli animali: nella fortunata età dell'oro le
bocche umane non erano contaminate dal sangue (v. 98). Inoltre il filosofo di
Samo vieta di sacrificare creature viventi agli dèi, e insegna che l'anima non
muore ma trasmigra in altri corpi e altre regioni: "Cuncta fluunt,
omnisque vagans formatur imago" (v. 178), tutto scorre e ogni immagine
si forma fluttuando.
Ma torniamo a Proust che descrive gli atti di questi nobili
per mostrare quanto essi fossero nello stesso tempo naturali e "graziosi
come il volo d'una rondine o l'inclinazione della rosa sul suo stelo" (p.
475). Il Guermantes nel dare la mano "che si dirigeva verso di voi
all'estremità di un braccio teso per tutta la sua lunghezza, aveva l'aria di presentarvi
un fioretto per una singolar tenzone; e quella mano era insomma a una tal
distanza da quel Guermantes in quel momento che, quand'egli inchinava poi la
testa, era difficile distinguere se salutasse voi o la propria mano (p. 481).
Manifestazione di intelligenza era la parola salata, "giacché lo spirito
dei Guermantes giudicava i discorsi prolungati e pretenziosi[26],
sia nel genere serio sia nel burlesco, come un segno della più insopportabile
stupidità" (p. 498). Più avanti ( p. 534) Proust nota " l'abitudine…dei
nobili che fraternizzano più volentieri coi loro contadini che coi
borghesi". E ancora: " quel famoso lusso… non era soltanto
materiale…ma anche un lusso di parole cortesi, di atti gentili, tutta
un'eleganza verbale alimentata da un'autentica ricchezza interiore"(p.
590). I gran signori, insomma,
"sono quasi le sole persone dalle quali si può imparare come dai contadini:
la loro conversazione si adorna di tutto ciò che riguarda la terra, le
abitazioni come erano abitate una volta, le antiche usanze, tutto ciò che il
mondo del denaro ignora profondamente"(p.595).
Ecco dunque un
apprezzamento della rusticitas.
Saint-Loup aveva
innanzitutto il pregio della naturalezza che si vedeva fino negli abiti "di un'eleganza disinvolta, senza nulla di 'pretenzioso' né di
'compassato', senza rigidità e senza appretto." Quel giovane ricco
era apprezzabile" per il modo
negligente e libero che aveva di viver nel lusso, senza 'puzzare di
soldi', senza darsi arie di importanza"; il fascino della naturalezza si trovava
"perfino nell'incapacità che Saint-Loup aveva conservata...d' impedire al
proprio viso di riflettere un'emozione"(p. 334). Si vedeva in lui
"l'agilità ereditaria dei grandi cacciatori...il loro disprezzo per la
ricchezza" la quale serviva solo per festeggiare gli amici. Ma, continua
l'autore: "Vi sentivo soprattutto la certezza o l'illusione che avevano
avuto quei grandi signori di essere 'più degli altri' e grazie alla quale non
avevano potuto lasciare in legato a Saint-Loup quel desiderio di mostrare che
si vale 'quanto gli altri', quella paura di sembrare troppo premurosi che rende
così rigida e goffa la più sincera amabilità plebea"(p.337).
Saint Loup aveva "un
modo di concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé e moltissimo
del 'popolo'; insomma tutto l'opposto dell'orgoglio plebeo (p. 351). Suo zio
Palamède "in ogni circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole,
più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano"(p. 351).
Questo dunque è il nobile
proustiano, dotato, per natura si direbbe, di stile e fascino; più avanti però
l'autore riduce la portata della sua ammirazione e smonta tanta naturalezza, almeno in parte apparente
o esibita, affermando che" Di fronte a quella d' un grande artista,
l'amabilità di un gran signore, per quanto affascinante essa sia, ha l'aria di una
mimica d' attore, di una simulazione.
Saint Loup cercava di piacere, Elstir amava dare, darsi"(p. 431).
L'elogio della "magnifica negligenza" si trova anche nel
grande romanzo di Musil: " Una casta dominante rimane sempre un poco
barbarica...Erano invitati insieme in residenze campestri, e Ulrich notò che vi
si vedeva sovente mangiare la frutta con le mani, senza sbucciarla, mentre
nelle case dell'alta borghesia il cerimoniale con coltello e forchetta era
rigidamente osservato; la stessa osservazione si poteva fare a proposito della
conversazione che quasi soltanto nelle case borghesi era signorile e distinta,
mentre negli ambienti aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza
pretese, alla maniera dei cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e
razionali. Nei castelli patrizi d'inverno si gelava; le scale logore e strette
non erano una rarità, e accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano
camere da letto basse e ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la
servitù. Ma, a guardar bene, c'era
proprio in questo un senso più eroico, il senso della tradizione e di una
magnifica negligenza!"[27].
Il conte Leinsdorf, promotore della grande Azione Patriottica, l'Azione
Parallela, "del "popolo" pensava fermamente che fosse
"buono"…era fermamente convinto che il vero socialismo concordava con
le sue opinioni…E' chiaro come il sole che soccorrere i poveri è un dovere
cavalleresco, e che per la vera nobiltà non c'è poi una così gran differenza
tra un fabbricante e un suo operaio"[28].
Il motto che riassume
questo stile potrebbe essere l'affermazione di Pericle: "filokalou'mevn te ga;r met& eujteleiva"
kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Tucidide, II, 40, 1). in
effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Più avanti Tucidide indica
la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle
guerre civili: a causa di queste
("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni
genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità di cui per lo
più la nobiltà ha parte: "kai; to; eu[hqe" , ou'J to; gennai'on
plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1). Sembra
l'elogio funebre della nobiltà che è anche, forse soprattutto, semplicità,
ingenuità e schiettezza.
Il motto che riassume
questo stile potrebbe essere l'affermazione di Pericle: "filokalou'mevn te ga;r met& eujteleiva"
kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Tucidide, II, 40, 1). in
effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
In fondo J. J. Winckelmann
non ha fatto che echeggiare questa dichiarazione del Pericle di Tucidide quando
ha scritto: "Infine, la generale e principale caratteristica dei
capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella
posizione che nell'espressione…La nobile semplicità e la quieta grandezza delle
statue greche costituiscono il vero segno caratteristico degli scritti greci
dei tempi migliori"[29].
Più avanti Tucidide indica
la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle
guerre civili: a causa di queste
("dia; ta;" stavsei""),
fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la
semplicità cui per lo più la nobiltà partecipa: "kai; to; eu[hqe" , ou'J to; gennai'on plei'ston metevcei,
katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1). Sembra l'elogio funebre
della nobiltà che è anche, forse soprattutto, semplicità, ingenuità e
schiettezza.
Faccio qualche esempio di elogi della negligenza.
Parini
impiega questo topos a proposito dell'acconciatura del Giovin Signore suo
pupillo: "Ma il crin, Signore,/Forma non abbia ancor da la man
dotta/Dell'artefice suo…Non senz'arte però vada negletto/su gli omeri a cader… Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con
artificio negligente avrai;/Esci
pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati(Il mattino[30],
vv. 1005 e sgg.)
Questo stile della semplicità ricercata è adottato anche dal
seduttore di Madame Bovary: "si scusò di essere anche lui così
trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di
ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di
un'esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell'arte,
il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o
esasperare" (p. 113). "il dandismo non è, come molte persone poco
riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e
dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un
simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi,
desiderosi sopra tutto di distinzione
, la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in
realtà, il miglior modo di distinguersi"[31].
"[32].
L'elogio della neglegentia
procede parallelamente alla condanna dell'affettazione nella civiltà europea.
Ne do qualche esempio.
Baldassarre Castiglione ne Il cortegiano[33] prescrive
al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente
laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi
ode" (I, 17). Egli deve schivare
"quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la
affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata
disinvoltura, "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir
fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai
la grazia… " (I, 26). Parimenti la perfetta gentildonna "Non mostri
inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di
quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa" .
Infatti "somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la pestifera
affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la
sprezzatura" Quindi la gentildonna non deve mostrare l'artificio: "questi
vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d'altro non nascono
che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il
troppo desiderio d'esser belle" (I, 40).
Insomma la sprezzatura è virtù contraria al vizio
dell’affettazione.
Anche A. Schopenhauer[34]
negli Aforismi sulla saggezza della vita
prescrive di evitare l'affettazione: "Si deve...mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa
provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno...in
secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una
persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e
mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L'affettazione di una qualità e il
pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua
mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso
coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza,
posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si
vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità,
non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben
tranquillo a questo proposito"[35].
Il conte Alessandro
Manzoni conosce bene la regola dell'affettazione/sprezzatura.
Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon
secentista" definendolo "rozzo
insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza
di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il
proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi
la decisione di "rifarne la dicitura". Viceversa, per quanto riguarda
lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati
dal conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale: "gli
fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino.
Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran
titolo; e che, col solo contegno, con
una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose
grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a
imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della
potenza"[36].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj: " Levin riconobbe le maniere
piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza,
ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai
propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri
dell'interlocutore"[37]
.
Un correlativo stilistico letterario di questa
neglegentia è l'ajmevleia che l'Anonimo Sul
sublime [38] attribuisce a Omero e ad altri grandi della
letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. L'autore annovera Omero
tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti ("oujk
ojlivga...aJmarthvmata") i
quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale
noncuranza ("paroravmata di' ajmevleian eijkh'/") e prodotte distrattamente dalla loro
stessa grandezza (33).
Analoga valutazione
estetica si trova nel Prologo dell'Andria dove Terenzio si difende dall'accusa
di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto Ennio: " quorum
aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum obscuram diligentiam"
(vv. 20-21), dei quali preferisce cercare di eguagliare la negligenza piuttosto
che la buia diligenza di costoro, ossia del malevolo vecchio poeta (vv. 6-7)
Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.
giovanni ghiselli
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[1] Annales, XVI, 18.
[2] Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme
liberata, "le negligenze sue
sono artifici" (II, 18).
[3]
Annales , XVI, 18.
[4]
A. La Penna, Aspetti del pensiero storico
latino, p. 193.
[5]
Pro M. Caelio (del 56 a. C.), 5, 12.
[6]
V. Ciaffi (a cura di) Satyricon di Petronio, Utet, Torino, 1967, p. 56.
[7]
Annales, XVI, 18.
[10] Dal prooemium all' expositio
.
[11]
Pubblicato nel 1763.
[12].
Curiosità estetiche del 1869. Trad. it. in Il Sistema Letterario , Ottocento
, di Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p. 1150.
[13]
Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne
pubblicato nel 1528.
[14]
1788-1860.
[15]A.
Schopenhauer, Parerga e paralipomena
, trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[16]
I promessi sposi , capitolo XIX.
[17]
Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[18]
I fratelli Karamazov, (1880), Trad. it. Milano, 1968, p. 208.
[19]
L'idiota (1869), Trad. it. Milano, 1973, p. 719.
[20]
I Guermantes, (1920). Trad. it. , Torino, 1978, p. 534.
[21]
M. Proust, I Guermantes, p. 96.
[22]
M. Proust, I Guermantes, p. 448.
[23]
I Guermantes , p. 82.
[24]
Perceval il gallesese, cap. IV.
[25]
I. Calvino, Perché leggere i classici, p. 39.
[26]
In All'ombra delle fanciulle in fiore
Proust scrive che la signora di Villeparisis giudicava severamente alcuni pur
grandi scrittori come Balzac e Victor Hugo "proprio perché avevano mancato
di quella modestia, di quel ritegno, di quell'arte sobria...di quelle qualità
di moderazione nel giudizio e di semplicità, in cui le avevano insegnato che
risiede il valore vero"(p. 308).
[28]
R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 84.
[29]
J. J. Winckelmann, Pensieri sull'imitazione dell'arte greca, p. 32.
[30]
Pubblicato nel 1763.
[31]C.
Baudelaire, Curiosità estetiche del 1869. Op. cit., pp. 1150-1151
[32]Curiosità estetiche , trad. it. in Il Sistema Letterario , Ottocento , di Guglielmino/Grosser,
Principato, Milano, 1992, p. 1150.
[33]
Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne
pubblicato nel 1528.
[34]
1788-1860.
[35]A.
Schopenhauer, Parerga e paralipomena
, trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[36]
I promessi sposi , capitolo XIX.
[37]
Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[38]
Trattato, anonimo appunto, generalmente attribuito a un retore fiorito verso la
metà del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che
ebbe tra gli allievi anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva
l'anomalia e l'elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva al
discorso
Sinceramente ,oggi, non solo l'affettazione va stupidamente di moda,ma ,spesso, dimentica il sapone sul bordo del lavabo....non parlo del sano sudore dello sportivo e del lavoratore. La nostra è un'epoca che manca (per fortuna non del tutto)di valori morali,così si declama e si certifica quello che ,in realtà, non si possiede.Si placca tutto.....si esalta la copia fino all'esasperazione: non posso averti ,compro una cosa che ti somiglia ...fino al punto dove l'ostentazione diviene quasi un lavoro e la "copia" diviene d'autore .Il valore non è più intrinseco,ma schiavo della legge del mercato .Purtroppo ho perso la tua lezione Gianni ,ma spero ,in futuro ,di avere altre occasioni di approfondire con te questa opera così bella e sempre attuale. Giovanna Tocco
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