NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 13 aprile 2015

Concetto Marchesi, "Tacito". Inizio della conferenza che terrò a Catania il 17 aprile

Concetto Marchesi
Inizio della conferenza che terrò a Catania il 17 aprile
Alla Biblioteca storica Principato


Concetto Marchesi
Tacito
(Terza edizione riveduta, Milano Messina, 1944)


L’avvertenza dell’autore dice che ha voluto presentare organicamente la figura di Tacito esaminandone “le basi del pensiero politico e i caratteri dell’opera storica”


Parte prima
Giovinezza di Tacito. Sua rinomanza oratoria. Inizio della sua carriera politica

Non si sa quando nacque né dove, ma fu Romano di spirito e di grandezza.
Nato verso il 54. Studiò eloquenza.
Lettera di Plinio il Giovane VII, 20.
Nel 78 sposò la figlia di Agricola che partì per la Britannia. Agricola morirà nel 93.
“Egli stesso fa troppo rapido e oscuro cenno della sua carriera politica” (p. 12). Nel proemio delle Historiae .

Agricola e la campagna britannica
Nell’84 Agricola veniva richiamato dopo 7 anni di legazione in Britannia
In precedenza c’era stata la rivolta di Budicca.
Agricola dopo l’avanzata in Caledonia e la vittoria su Calgaco presso il monte Graupio (84 d. C.) viene richiamato dalla “malvagia gelosia di Domiziano” contro il generale vittorioso.
Molti atti degli imperatori sono atti di politica personale anzi che generale.
Egli ha la diretta responsabilità di avvenimenti soprattutto militari.
Tacito non parla esplicitamente della gelosia di Domiziano come fatto sicuro però scrive: id sibi maxime formidolosum privati hominis nomen supra principem attolli (Agricola, 39). E nelle Historiae: perdomita Britannia et statim missa (I, 2).
Fu dunque abbandonata la conquista della Caledonia e anche quella dell’Hibernia che secondo Agricola poteva essere conquistata con una sola legione e con il vantaggio di togliere la libertà dal cospetto dei Britanni (24))
Il fatto è che Agricola stabilì la linea di fortificazione più settentrionale raggiunta dai Romani, tra il Firth of Clyde e il Firth of Forth presso Edimburgo, dove più tardi sorgerà il vallum Antonini, l’estremo limite nordico del dominio romano in Britannia.
Più a sud si trovava il precedente vallum Hadriani, il limes britannicus di Adriano che andava dal Solway Firth alla foce della Tyne.
Comunque la battaglia del Graupio (dell’84) nella Caledonia sud orientale, fu un successo cui il richiamo di Agricola tolse i frutti territoriali.
Marchesi va contro contro la communis opinio che attribuisce a Tacito “l’animo dell’apologista” (p. 19) del suocero, e sostiene che invece Tacito “non mise in evidenza, come avrebbe potuto, la fama di quella impresa britannica che aveva commosso e stupito i Romani” (p. 19).
Per la fama dei Britanni estremi, Marchesi cita Virgilio (Ecl. I, 66 penitus toto divisos orbe Britannos) , Catullo (11, 11 - 12) , Orazio (Carm. I, 35, 29 - 30), Giovenale (II, 159, 161) e le Silvae di Stazio (V, 1, 88 ss, con i confini del mondo indietreggiati davanti alle armi romane verso Tule avvolta da una cintura di flutti risonanti).
Nell’88 Tacito ottenne la pretura e fece parte del collegio sacerdotale dei quindecemviri che si occupavano dei giochi secolari ripetuti da Domiziano (Ann. 11, 11)
Quindi lasciò Roma e non fu presente alla morte di Agricola, nel 93.
Forse andò come legato legionario in Germania o come propretore nella Gallia Bellica.
La morte di Agricola a 55 anni suscitò compianto e augebat miserationem constans rumor veneno intercepto (43), ma Tacito dice che non può affermarlo con certezza.
 Cosa che fa Cassio Dione (Agricola visse in disgrazia e in ristrettezze - e[n te ajtimiva/ kai; ejn ejndeiva/ poiché aveva realizzato imprese troppo grandi per un generale meivzona h] kata; strathgovn, 66, 20) e proprio per queste alla fine fu ucciso da Domiziano (tevloς ejsfavgh dij aujta; taũta uJpo; Domitianoũ) sebbene avesse ricevuto da Tito gli onori trionfali,
Secondo Marchesi, Tacito era certo dell’assassinio di Agricola e ne riferì il rumor ma “con giusto scrupolo” (p. 22) non volle confermarla.
Tuttavia dopo la morte di Domiziano beatificò il suocero per la nobiltà della vita e l’opportunità della morte (Tu vero felix, Agricola, non vitae tantum claritate, sed etiam opportunitate mortis, 45).
Accogliesti la morte come se volessi donare al principe l’innocenza.
Nello stesso della morte di Agricola, il 93, Tacito tornò a Roma, ma gli rimase il dolor e il vulnus di avere perduto gli ultimi 4 anni di vita del suocero (45). 


“I rari ricordi personali hanno nelle pagine di Tacito una serietà e una tristezza di cose vissute e sentite: al di là della finzione letteraria” (p. 24).

Nell’81 cominciano gli anni cupi di Domiziano, il tiranno la cui avidità era fondata sul bisogno (inopia) e la crudeltà sul metus (Svetonio, Dom. 3)
Le grandi spese edilizie richiedevano denaro ricavato da “confische inique e caccia ai testamenti”.
Plinio nel Panegirico a Traiano (95) scrive che quell’insidiosissimus princeps aveva dichiarato il suo odio ai buoni cittadini.
Tacito ricorda che il suocero morì in tempo per non assistere alla fortuna dei più scellerati delatori (Agricola, 45).
“Comincia il terrore” (p. 25). Ma il tiranno timet timentes, è il primo a temere.
Tacito
Un doppio ruolo sintetizzato bene da Creonte nell'Oedipus di Seneca: " Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem redit " (vv. 703 - 704), chi tiene crudelmente lo scettro con dura tirannide, teme quelli che lo temono; la paura ricade su chi la incute.
Svetonio racconta che molti senatori furono messi a morte come istigatori di rivoluzioni - molitores rerum novarum (Dom. 10).
Alle congiure scoperte contro i principi - diceva l’imperatore - non si crede mai se non dopo che i principi sono stati uccisi (Dom. 20): conditionem principum miserrimam aiebat.
Tra i delatori più odiosi Valerio Catullo Messalino, il mortifer Catullus della IV satira di Giovenale, quella sul rombo di Ancona
Poi Bebio Massa: optimo cuique exitiosus (T. Hist, 4, 50), flagello della gente onesta (26). Poi Aquilio Regolo che l’onesto
 Erennio Senecione chiamò vir malus dicendi imperitus.

Senecione aveva scritto la vita dell’ostinato repubblicano Elvidio Prisco mandato a morte da Vespasiano. Gliel’aveva chiesto Fannia, vedova di Elvidio, figlia di Trasea Peto e Arria minore, nipote di Cecina Peto e Arria maggiore, ribelle superstite di una famiglia di ribelli e di vittime,
Erennio Senecione fu condannato a morte e il suo libro bruciato, Fannia all’esilio e alla confisca dei beni.
Altra vittima Giunio Aruleno Rustico che fu condannato a morte per avere pubblicato l’elogio di Trasea Peto e il suo libro bruciato
Poi Elvidio Prisco minore, figlio del maggiore condannato da Vespasiano.
“Il pensiero fu perseguitato, i filosofi banditi da Roma” (p. 30)
Epitteto fuggì in Epiro. Dione Crisostomo andò vagando quasi mendico. Aveva portato con sé il Fedone e un’orazione di Demostene.
Giovenale osserva che l’uccisione dei più alti cittadini passò impunita, ma quando cominciò a fare paura ai cerdones, artigiani, i liberti e i bassi ministri di corte, Domiziano pagò con la vita (IV, 151 sgg.).
Il terrore durò dal 93 al 96.
Nei primi capitoli dell’Agricola, Tacito ricorda le condanne a morte di
Rustico, Senecione e il rogo dei libri
 Aruleno Rustico[1] ed Erennio Senecione[2]
Neque in ipsos modo auctores, sed in libros quoque saevitum” (Agricola, 2), non si incrudelì solo sulle persone ma anche sulle loro opere.
I triumviri capitali ricevettero l’ordine di bruciarle pubblicamente nel foro.
Domiziano non fu il primo a dare quest’ordine: Augusto lo aveva fatto con Tito Labieno, e Tiberio con Cremuzio Cordo.
A questa notizia segue il commento dello storiografo: “Scilicet illo igne vocem populi Romani et libertatem senatus et conscientiam generis humani aboleri arbitrabatur, expulsis insuper sapientiae professoribus atque omni bona arte in exilium acta, ne quid usquam honestum occurreret”, evidentemente con quel fuoco credevano di sopprimere la voce del popolo romano e la libertà del senato e la coscienza del genere umano, espulsi per giunta i maestri di filosofia e cacciata in esilio ogni forma di cultura, perché non si incontrasse in alcun luogo alcunché di bello e morale.
Quindi l’autore nota che l'estremo della schiavitù è non poter parlare né ascoltare: come l'antica età vide quid ultimum in libertate esset, il culmine della libertà, "ita nos quid in servitute: "adempto per inquisitiones etiam loquendi audiendique commercio" (Agricola, 2), così noi l'estremo della servitù poiché per mezzo di spie fu tolta anche la facoltà di parlare e di ascoltare.
La parresia è la colonna portante della democrazia. Cfr. Euripide Ione e Fenicie.
Il capitolo 2 dell’Agricola si chiude con la considerazione che la memoria tuttavia non può essere abolita né si può sopprimere con la volontà: “Memoriam quoque ipsam cum voce perdidissemus, si tam in nostra potestate esset oblivisci quam tacere”, avremmo perso anche la stessa memoria con la voce, se fosse in nostro potere dimenticare quanto tacere. Cfr. il film Anita B di Faenza.

“Chi vuole vedere quali sieno e pensieri de’ tiranni, legga Cornelio Tacito, quando referisce gli ultimi ragionamenti che Augusto morendo ebbe con Tiberio[3].
“Insegna molto bene Cornelio Tacito a chi vive sotto a’ tiranni el modo di vivere e governarsi prudentemente, così come insegna a’tiranni e modi di fondare la tirannide” (Ricordi, 18)
 Pasolini afferma che" il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi"[4].



[1] Fu condannato a morte da Domiziano perché aveva scritto un elogio di Trasea Peto .
[2] Fu condannato a morte da Domiziano perché aveva scritto un elogio di Elvidio Prisco, richiesto dalla vedova Fannia.
[3] F. Guicciardini, Ricordi, 13.
[4] Scritti corsari , p. 113.

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