Inizio
della conferenza che terrò il 10 aprile dalle 17 alle 19 nella Biblioteca San
Giovanni di Pesaro
Questo lavoro è un
ritorno a Sofocle e al teatro greco in quanto fenomeno letterario più legato
alla vita della povli". La tragedia è il miglior esempio che si
possa prendere per studiare il significato della vita della polis, l'intreccio tra la creazione
letteraria e l'istituzione politica. Il tragediografo ateniese voleva essere
anche l'educatore dei suoi concittadini. Questa è la componente didascalica del
dramma antico il cui autore vuole sempre indicare qualche cosa al pubblico. Sofocle
in particolare intende insegnare il rispetto della religione delfico apollinea
e la santità dei precetti pitici: “Conosci te stesso” e “Nulla di troppo”.
"Non invano il coro della tragedia
sofoclèa parla sempre dell'assenza di misura quale radice di ogni male"[1].
Nell’universo
c'è un ordine, più grande e più vero di quello delle leggi scritte dagli uomini
ed essi devono comprendere e rispettare tale cosmos.
"Il destino dell'uomo è inserito
nell'ordine divino del mondo; e quando l'ordine divino e il disordine umano
vengono al cozzo, si sprigiona la scintilla della tragedia"[2].
Le
parole conclusive contengono la morale del dramma e presentano la quintessenza
del sofocleismo: " Il comprendere (to; fronei'n)
è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere
empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi" (vv. 1347 - 1349).
Comprendere significa capire l'ordine cosmico e assecondarlo, non recalcitrare
né dar di cozzo . In questo lavoro, come nei precedenti, vengono indicate
analogie e diversità tra il mondo della Grecia classica e il nostro, secondo la
convinzione che le letterature antiche e quelle moderne accrescano i loro significati
attraverso un continuo confronto. Infatti "Il latino e il greco
costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come un solo, non
già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che
possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"[3].
In questo dramma Creonte rappresenta la figura
classica del tiranno che cade per la sua prepotenza, empietà e incomprensione
delle leggi del cosmo. Anche il personaggio della ragazza Antigone d’altra
parte non è del tutto esente da una colpa personale: quella della dismisura che
il Coro le attribuisce dicendole: "Avanzando
verso l'estremità dell'audacia, /hai urtato , contro l'eccelso trono della
Giustizia, /creatura, con grave caduta, / del resto sconti una colpa del
padre" (vv. 853 - 856).
Eppure
ella gode tra i moderni di una reputazione di eroina assoluta: "La tua
opinione su Antigone è giusta", scriveva Shelley a John Gisborne
nell'ottobre del 1821 "Che sublime ritratto di donna! e che cosa pensi dei
cori e in particolare del lamento lirico della vittima simile a un dio? e delle
minacce di Tiresia, e del loro immediato compimento? Alcuni fra noi, in una
precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non
troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!"[4].
Una
delle caratteristiche dell'affabulazione sofoclea è quella dell'ambiguità: la
stessa parola ha significati diversi nell'intenzione di chi la pronuncia e
nell'intendimento di chi l'ascolta, essenzialmente il tiranno e la fiera figlia
di Edipo.
L'interpretazione più nota dell'Antigone di Sofocle è quella di Hegel
che la considera paradigmatica della collisione tragica tra due unilateralità. Il
filosofo tedesco comunque giudica questo dramma "una delle opere d'arte
più eccelse e per ogni riguardo più perfette di tutti i tempi", una
tragedia dalla collisione esemplare dove "la legge pubblica dello Stato è
in aperto conflitto con l'intimo amore familiare e il dovere verso il
fratello"[5].
Altro tema
fondamentale è quello della consanguineità.
Antigone fin dai primi versi sottolinea ed
enfatizza il legame di sangue che, a parer suo, costituisce il vincolo più forte tra le
persone, come chiarisce ai vv. 908 - 912, dove spiega che un parente pur
stretto, come uno sposo, ma acquisito, una volta morto
si può rimpiazzare, mentre un fratello, defunti i genitori, non è possibile che
nasca di nuovo. Questa è una delle non poche posizioni[6] che accomunano il nostro autore a Erodoto il
quale (in III, 119) esprime il medesimo punto di vista attraverso la moglie di
Intaferne: la donna, potendo salvare uno solo dei suoi familiari imprigionati
dal grande re Dario, scelse il fratello con la medesima argomentazione della
ragazza sofoclea.
Tale scelta costituisce uno degli aspetti
dell'arcaismo di Sofocle, il quale, sostiene Hauser, "fin da principio
sacrifica l'idea dello stato popolare democratico agli ideali dell'etica
nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il potere assoluto
ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l'idea tribale"[7]. A questo proposito, G. Steiner suggerisce di
commentare il primo verso dell'Antigone
con i "capitoli dedicati a Ulrich e ad Agathe nell'Uomo senza qualità: in entrambi i testi, le voci della
consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici della notte e, allo
stesso tempo, cercano di ritornarvi"[8].
giovanni ghiselli
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[1] Jaeger,
Paideia 1, p. 481.
[2] V.
Ehrenberg, Sofocle e Pericle , p. 40.
[3] Eliot, Che cos'è un classico? , in T.
S. Eliot, Opere, pp. 975 - 976.
[4] G Steiner, Le Antigoni , p 14.
[5] G. W. F. Hegel, Estetica , p. 612.
[6] In
primis la venerazione dell'oracolo delfico e il rifiuto della tirannide.
[7] A. Hauser, Storia sociale dell'arte, vol. I, p. 122.
[8] Le
Antigoni , p. 240.
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