Settembrini, l’ umanista “chiacchierone pieno di frasi”[1] di La Montagna Incantata, il “loquace razionalista e umanista”[2] distingue una u{bri~ buona da un'altra cattiva, e santifica quella di Prometeo in quanto essa è amica dell'umanità:" E che cos’era l’umanesimo? Era amore per l’umanità, nient’altro, e perciò era anche politica…Prometeo! Era stato lui il primo umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva dedicato il suo inno”[3]. Il “vecchio anticlericale bolognese”[4] celebra Satana per il suo essersi ribellato a un despota oscurantista: “Salute, O Satana/ O ribellione,/O forza vindice/Della ragione!”[5].
Ma l'"Hybris" della ragione contro
le oscure potenze è altissima umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi
invidiosi...questa è sempre una rovina onorata. Anche l'azione di Prometeo era
"Hybris" e il suo tormento sulla roccia scita noi lo consideriamo il martirio
più santo. Ma come siamo invece di fronte all'altra "Hybris", a quella contraria
alla ragione, all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta umana?"[6].
Possono esserci dunque due
u{brei~, come due
e[ride~.
Amore per l’umanità dunque che
troviamo già in Omero. Sentiamo quello che dicono Nausicaa a Odisseo e Eumeo
sempre a Odisseo
La principessa dei Feaci Nausicaa,
nel VI canto dell’Odissea (207-208) vuole aiutare Ulisse giunto naufrago
nell’isola di Scheria e dice queste parole alle ancelle in fuga spaventate
dall’aspetto di Odisseo : “ to;n nu`n
crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~
eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”,
questo è un misero naufrago e dobbiamo curarcene: da Zeus infatti vengono tutti
gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro
Le stesse parole (Odissea,
XIV, 57-59) dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca quando Ulisse gli si
presenta travestito da mendicante, irriconoscibile, e il porcaio lo accoglie
ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non
ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno
kakivwn più malconcio di lui.
Eumeo dunque aiuta e onora Odisseo, che presentatosi
come un pezzente e irriconoscibile, suscita la sua compassione:"aujtovn
t j ejleaivrwn"(v.389), perché ho compassione di te, gli dice.
Bisognerebbe che Salvini e la
gente come lui leggessero i classici.
Non dissimile è la situazione di
Edipo giunto a Colono cieco e vagabondo, per giunta malfamato. Teseo, il re di
Atene, lo aiuta poiché, dice “so di essere uomo”(Edipo a Colono, v. 567).
Il sapere di essere uomo che cosa
comporta?
Significa incontrare una creatura
mezza distrutta come è Edipo cieco, esule e mendico, provarne pietà,
incoraggiarla ponendo domande, chiedendo di che cosa abbia bisogno: “kaiv
s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai[7],
duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j
e[cwn,-aujtov" te chj sh; duvsmoro" parastavti"", (Edipo a Colono,
vv. 556-559), e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con
quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e l’infelice che ti
aiuta.
Quindi vuol dire ascoltare,
mettersi nei panni del supplice e comprendere con simpatia poiché siamo tutti
effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte.
" Fammi sapere-continua Teseo-
infatti dovresti raccontarmi misfatti atroci perché mi sottraessi; poiché so che
anche io sono stato allevato da straniero, come te, e in terra straniera ho
affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la mia vita, sicché non
rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu, in quanto so di
essere uomo (e[xoid j ajnh;r w[n,
v. 567) e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a
te"(vv.560-568).
A queste parole si può accostare
l’homo sum di Terenzio :"Homo sum: humani nil a me alienum puto "[8].
Secondo Milan Kundera, la
compassione è il motivo principale, o il motore di tanti miti, come di certi
amori:" Egli provò allora un inspiegabile amore per quella ragazza sconosciuta;
gli sembrava che fosse un bambino che qualcuno avesse messo in una cesta
spalmata di pece e affidato alla corrente di un fiume perché Tomáš lo tirasse
sulla riva del suo letto… Di nuovo gli venne fatto di pensare che Tereza era un
bambino messo da qualcuno in una cesta spalmata di pece e affidato alla
corrente. Non si può certo lasciare che una cesta con dentro un bambino vada
alla deriva sulle acque agitate di un fiume! Se la figlia del Faraone non avesse
tratto dalle acque la cesta con il piccolo Mosè, non ci sarebbero stati l’Antico
Testamento e tutta la nostra civiltà. Quanti miti antichi hanno inizio con
qualcuno che salva un bambino abbandonato! Se Polibo non avesse accolto presso
di sé il giovane Edipo, Sofocle non avrebbe scritto la sua tragedia più bella!"[9].
Nel quarto episodio dell’Edipo
re, Sofocle contrappone la crudeltà dei genitori alla compassione del servo
tebano che non ha eseguito il loro ordine di uccidere il bambino "katoiktivsa"
" (v. 1178), in quanto ne ho avuto compassione, spiega.
P.P. Pasolini nel suo film Edipo re sottolinea
questa risposta con un primo piano del vecchio pastore tebano che dice di non
avere fatto morire la creatura:"per pietà".
Per lo stesso motivo, e anche lui per grandi mali, si
salvò Cipselo, il bambino che sarebbe diventato tiranno di Corinto, e
padre di Periandro.
Erodoto racconta che per sorte divina il piccolo
sorrise all'uomo dei Bacchiadi che lo aveva afferrato con l'intenzione di
ammazzarlo. Questo se ne accorse, e un qualche sentimento di compassione lo
trattenne dall'ucciderlo (oi\kto~ ti"
i[scei ajpoktei'nai,V,92).
Del resto anche Enea viene salvato
dalla compassione, quella di Didone che pure non viene in alcun modo
ricompensata dall’esule troiano.
In Virgilio c'è una regina, che
prima di decadere a donna abbandonata esprime questo
tw/' pavqei mavqo" :" non ignara
mali miseris succurrere disco ", Eneide, I, 630, non ignara del male
imparo a soccorrere gli sventurati.
Un soccorso che verrà mal
ricompensato dal “pius” Enea, antenato di Augusto, secondo il poeta
cortigiano Virgilio.
L’autore che scrive per piacere al
despota non può avere lo spessore etico, e neppure estetico, di chi scrive con
la prospettiva di un popolo che lo legge o lo ascolta, come avevano i tre
auctores maximi: Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane
L’ humanitas della
compassione viene affermata dalle prime parole del Decameron :"Umana
cosa è l'aver compassione degli afflitti"
[10].
La misericordia non è virtù ignorata né trascurata dai
classici e lo sviluppatissimo senso estetico dei Greci non aveva atrofizzato
quello etico: è del tutto falso dunque che la morale cattolica sia l'unica
vera e buona come afferma Manzoni, per esempio, quando sostiene che " essa è la
sola santa e ragionata in ogni sua parte"[11].
Nelle Trachinie, Deianira prova una compassione
piena di spavento (oi\kto~
deinov" , v. 298),
anche per se stessa, vedendo le ragazze di Ecalia portate schiave da Eracle, e
pensando ai mutamenti della sorte. Quella che suscita in lei la pietà più grande
però è la splendidissima Iole poiché le sembra l'unica che abbia coscienza del
suo stato (vv. 311-312).
Cleopatra prima di morire dice al suo tesoriere
Seleuco che l'ha denunciata a Ottaviano: "wert thou a man, thou wouldst have
mercy on me"
[12], se tu
fossi un uomo, avresti pietà di me.
Nello splendido film di Stanley Kubrick, Paths of
glory, Orizzonti di gloria (1957), l’avvocato difensore e comandante
dei soldati accusati ingiustamente di codardia, poi fucilati, conclude la sua
arringa indirizzando, invano, alla corte marziale questo appello: “I can’t
believe that the noblest impulse of man, his compassion for another, can be
completely dead here. Therefore, I humbley beg you, show mercy to these men”,
io non posso credere che il più nobile impulso dell’uomo, la compassione per il
prossimo, sia completamente morta qui. Perciò, vi prego umilmente, mostrate
pietà verso questi uomini.
All'opposto della chiusura
nell'ego c'è l' Antigone di Sofocle che afferma il suo amore per
l'umanità :" ou[toi sunevcqein ajlla;
sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere
l'odio, ma l'amore. "Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone
di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa,
Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera
dell'uomo"[13].
Umanesimo del resto è anche amore
di se stesso e rispetto della propria identità alla quale Antigone non vuole
rinunciare. E’ la filautiva
dell’eroe
La ragazza non teme l’isolamento: Quando
Ismene impaurita le fa notare : "tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati"
(v. 88), ella risponde : " ajll j oi\d j
ajrevskous j oi|" mavlisq j aJdei'n me crhv" (Antigone, v. 89),
ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia". Sembra
ricordare il “diventa quello che sei” di Pindaro[14],
la somma del suo pensiero educativo.
Né ha paura della morte la ragazza. Infatti aggiunge:
“ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda:
io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente" ((w{ste
mh; ouj kalw'" qanei'n, Antigone, v97).
Il kalw'~ qanei'n
è l’aspirazione di eroi (Aiace di Sofocle[15])
ed eroine (Polissena nell’Ecuba
[16],
Ifigenia nell’Ifigenia in Aulide di Euripide) della tragedia. Nella
storiografia abbiamo la Cleopatra di Plutarco[17]
ripresa quasi parola per parola da quella di Shakespeare che lo leggeva nella
traduzione di Thomas North[18].
Non bisogna trascurare la
componente estetica della civiltà ellenica che si distingue dalle altre anche
per il culto della bellezza; secondo Nietzsche i Greci hanno vinto l'orrore del
caos e rovesciato la triste sapienza silenica, la quale rifiuta la vita,
attraverso la giustificazione estetica dell'esistenza umana, creata dall’arte:
"Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter
comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita
sognata degli dèi olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della
natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l'avvoltoio
del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la
maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio,
insomma tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la
quale perirono i melanconici Etruschi, fu dai Greci ogni volta superata, o
comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico
intermedio degli dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero,
per profondissima necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo
senz'altro immaginarlo così, che dall'originario ordinamento divino titanico del
terrore fu sviluppato attraverso quell'impulso apollineo di bellezza, in lenti
passaggi, l'ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo che le
rose spuntano da spinosi cespugli… Così gli dèi giustificano la vita umana
vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il
chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il
vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa,
soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo
la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la
cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta
risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi
e il mutare della stirpe umana come le foglie[19],
per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe
bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[20].
Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così
impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il
lamento si trasforma in un inno in sua lode"[21].
Neottolemo, il figlio schietto dello
schietto Achille, svaluta il suvmferon
(utile) e apprezza il kalovn (bello,
e bello morale) contrapponendosi al subdolo Odisseo del Filottete :"
bouvlomai d' ,
a[nax, kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon
h] nika'n kakw'" " (vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con
nobiltà che avere successo nella volgarità.
Giovanni Ghiselli
p. s.
Ne parlerò durante la conferenza di Siracusa
Il blog-giovanni ghiselli bog è arrivato a 232757
[1] T.
Mann, La Montagna incantata , vol. II, p. 148.
[2] T.
Mann, Introduzione alla “Montagna incantata” , in T. Mann,
Nobiltà dello spirito e altri saggi, p. 1517.
[3] T.
Mann, La montagna magica, p. 231
[4]
Ibidem, p. 231.
[5] A
Satana, vv. 97-100.
[6]
T. Mann, La Montagna incantata , vol. II,
p. 18.
[8]
Heautontimorumenos ,77.
[10] Che
nella fattispecie sono in particolare le donne innamorate.
[11]
Osservazioni sulla morale cattolica (del 1819), Prefazione
[12]
Shakespeare, Antonio e Cleopatra, V, 2.
[13]
E. Fromm, La disobbedienza e altri saggi , p. 63.
[14]
gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica
II v. 72).
[15] il
Telamonio prima di suicidarsi per non sopravvivere alla degradazione :"ajll
j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai- to;n eujgenh' crhv" ma
il nobile deve vivere con stile, o con stile morire. (vv.479-480).
[16]
La principessa troiana dice alla madre: per chi non è abituato a mali
oltraggiosi è meglio morire: "to;
ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno"" (v.378), infatti vivere senza
bellezza è un grande tormento.
[17]
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione
della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce l'ancella
Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le
ha domandato : "kala; tau'ta
Cavrmion ;" è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista
me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn"
(Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una
donna che discende da re tanto grandi.
[18]
Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare,
all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima
domanda retorica (Charmian, is this well done?) , replica : "It
is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal
kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana
discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
[19] Cfr. Iliade,
VI, 146:"oi[h
per fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n", proprio quale la
stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini. (n. d. r.)
[20] Cfr. Odissea ,
XI, vv. 488-491. (n. d. r.)
[21] F. Nietzsche, La
nascita della tragedia, p. 33.
bellissimo ! Giovanna Tocco
RispondiEliminaL'asserto nietschiano è ancora oggi più che mai potente e ricco di fascino..Una lettura avvincente e almeno in parte convincente del carattere naturale della civiltà ellenica matura.
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