Al teatro di Epidauro con alcuni miei ex studenti, oggi quarantenni: un'amicizia nata a scuola, che prosegue nei nostri viaggi in bici |
Ho insegnato dal 1975 al 2010 nei licei classici di Bologna e mi sento in dovere, quasi in obbligo di intervenire sul caso di professore di Saluzzo tenuto agli arresti domiciliari per avere avuto rapporti sessuali con due allieve.
Entro subito in medias res
e, invece di spargere fumo o soffriggere aria già fritta come stanno
facendo molti che sull’argomento biascicano luoghi comuni, cercherò
di chiarire le idee, prima di tutto le mie, sull’argomento.
Dunque ad eventum festīno,
mi affretto ad anticipare la conclusione che è: non è elegante, non
è erotico, non è lecito fare sesso con persone sulle quali si
esercita del potere. Non quello di una promozione, e nemmeno quello
dei soldi. Chiunque vada a letto con una donna o con un uomo pagando
la prestazione in termini di denaro o di carriera, non è una persona
erotica ma un individuo che mercifica il sesso. Se l’oggetto
sessuale poi è una o un minorenne, la circostanza è parecchio
aggravante. Se è un minorenne affidato all’educazione di un
maggiorenne che se ne approfitta per soddisfare le sue voglie,
l’aggravante, giuridica e morale, è doppia. Su questo siamo
d’accordo più o meno tutti.
Non mi si venga però a dire che
il docente non debba avere niente di bello, non debba possedere
alcuna forma di fascino, o, se ce l’ha, che debba tenerlo nascosto,
che non debba fare niente per piacere al discente, che nell’insegnare
non possa mettere il meglio di se stesso, che debba insomma celare il
suo carisma sotto uno straccio unto e bisunto, con una maschera
inespressiva, con parole insignificanti. Ma siamo matti? La bellezza,
la simpatia sprigionate da un uomo o da una donna sarebbero cose
cattive, di cui vergognarsi? Si vergognino e si nascondano quelli che
non sanno nemmeno che cosa è la kalokajgaqiva.
I maestri, i professori, con i
genitori contribuiscono a costruire i nostri modelli, o
contromodelli, fondanti per tutta la vita, e devono dare esempi.
Questi, se sono efficaci, colpiscono la sfera emotiva che, toccata,
sprigiona energia. Credo che tante esistenze di ragazzi che si sono
ammazzati o sono naufragati nella droga, nell’alcol, nella bulimia
o nell’anoressia, si sarebbero potute salvare grazie a bravi
maestri capaci di dare esempi salvifici.
Allora, come deve essere il
maestro bravo?
Prima di tutto preparato, molto
ben preparato nella disciplina che insegna. Se è ancora troppo
giovane per possedere la materia, per averne un’ampia visione
d’insieme, deve dare l’esempio ai suoi discepoli studiando con
impegno diurno e impegno notturno i testi sui quali sceglie di fare
lezione. Quando cominciai a insegnare greco e latino in una terza
liceo classico del Rambaldi di Imola nell’autunno del 1975, dopo
cinque anni di insegnamento di altre materie alle scuole medie, e un
altro anno in un isituto professionale, gli allievi più bravi di
quel liceo classico di provincia, conoscevano le letterature antiche
meglio di me. Quando feci le prime lezioni, ignaro anche di un metodo
di insegnamento, alcuni leggevano il giornale. Io traducevo l’Edipo
re di Sofocle e snocciolavo i paradigmi verbali, poiché non
sapevo fare altro. Loro, giustamente, leggevano il giornale. Mi
sentivo umiliato e mi ammazzai di studio per cambiare la situazione.
Avevo trent’anni ma rinunciai per tanto tempo a ogni attività che
non fosse lo studio.
Quei ragazzi si accorsero presto
che ce la mettevo tutta, che studiavo in continuazione, con
abnegazione totale, e cominciarono ad ascoltarmi, se non altro per
simpatia, o per compassione. Un poco alla volta, a mano a mano che la
mia competenza aumentava, l’attenzione crebbe, e alla fine
dell’anno scolastico prendevano appunti dalle mie lezioni.
In maggio, ricordo, ero stremato
di studio ma avevo acquistato la loro attenzione, la loro stima e il
rispetto di me stesso. “Ce l’ho fatta - mi dissi con le lacrime
agli occhi l’ultimo giorno di scuola - ce l’ho fatta!”
Da allora non ho più smesso di
studiare per gran parte del giorno, tutti i giorni più o meno. Avevo
trovato la mia identità di studioso e di educatore.
Sono grato a quelle ragazze e a
quei ragazzi. Ci siamo educati a vicenda. Ne ricordo alcuni nomi:
Gioiellieri, Mezzetti, la Pedrini, l’Antonellini. Grazie a loro,
ero diventato uno dei professori bravi, da ascoltare. All’epoca ce
ne erano altri nella scuola italiana .
Che cosa voglio dire? Che molti,
troppi insegnanti oggi sono poco preparati, o distratti, e un docente
serio, capace, appassionato del suo lavoro, aperto al dialogo, è un
prodigio che suscita amore nei suoi allievi. E non può che
contraccambiarlo.
“Socrate era libertino:
da Liside a Fedro, i suoi amori per i ragazzi sono stati
innumerevoli. Anzi, chi ama i ragazzi, non può che amare tutti i
ragazzi (ed è questa, appunto, la ragione della sua vocazione
pedagogica”, ha scritto Pasolini nei suoi Scritti corsari
(p. 258)
Certo, non deve portarseli a
letto.
Digressione sul Socrate di
Platone.
Socrate
non era libertino, anzi raccomandava di tenere a freno il cavallo
nero che rappresenta l’istinto, la parte concupiscibile
(ejpiqumhtikovn1)
dell’anima, di mantenerla sotto il controllo dello qumoeidev~,
la parte irascibile alleata con la razionalità il logistikovn, l’auriga che deve guidare il carro2.
Nell'ultima
parte del Simposio
di Platone, arriva Alcibiade
che fa un panegirico di Socrate (212 c 4-222 b 7). Il giovane mette
l’accento sulla capacità deduttiva di Socrate: lo paragona ai
Sileni esposti nelle botteghe, sia per l'aspetto, sia per il fatto
che all'interno contengono l'immagine del dio; inoltre lo assimila a
Marsia: come il satiro incantava con i flauti, così Socrate, l'uomo
erotico, affascina con le nude parole. Queste del resto avevano messo
il dandy sotto accusa: mi costringono ad ammettere, confessa
Alcibaide, che, pur avendo molte mancanze, trascuro me stesso e mi
occupo invece delle cose degli Ateniesi (ejmautou'
me;n ajmelw', ta; d' JAqhnaivwn pravttw, 216 a). Perciò fuggo da lui, come dalle Sirene, con le orecchie
turate. Socrate non si cura né della bellezza del corpo né della
ricchezza. Alcibiade che era un uomo di successo, bellissimo e molto
corteggiato cercò di sedurre Socrate senza riuscirvi. Lo invitò a
cena proprio come un amante che insidia l'amato. La prima volta la
preda presunta andò via subito dopo avere cenato, ma la seconda
rimase a riposare in un letto vicino a quello del corteggiatore il
quale era stato colpito e morso dai suoi discorsi di filosofia che si
attaccano più selvaggiamente di una vipera (oi}
e[contai
ejcivdnh" ajgriwvteron,
218 a). Alcibiade dunque offrì con garbo i suoi favori a Socrate il
quale rispose com'è sua abitudine mavla
eijrwnikw'"
, molto ironicamente che lo scambio propostogli era troppo impari :"
tu infatti-disse-cerchi di procurarti, invece dell'apparenza, la
verità del bello e davvero pensi di scambiare armi d'oro con quelle
di bronzo3
(218 e). Sicchè Socrate, disprezzò, derise e oltraggiò la
bellezza dell'uomo più avvenente e corteggiato di Atene. Alcibiade
continuò ad ammirarlo lo stesso per le sue qualità e capacità
straordinarie: l'uomo davvero demoniaco e meraviglioso era più
invulnerabile alla ricchezza che Aiace alla spada, aveva una
straordinaria capacità di sopportare fame, freddo e fatiche, ma
sapeva anche godere fino in fondo nelle feste e poteva bere senza
ubriacarsi.
Due parole sul Socrate di
NietzscheNemmeno
il Socrate di Nietzsche era un libertino: in Ecce
homo4
il filosofo ne rivendica al suo pensiero due “ innovazioni
decisive: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco
fra i Greci-il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la
radice una di tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del
socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca,
riconosciuto per la prima volta come tipico décadent.
“Razionalità” contro
istinto. La “razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa
che mina la vita!”5.
L’ amore dunque non comporta
sempre l’atto sessuale. Amare una persona significa potenziarne la
vita. Lo studio, l’apprendimento è uno dei principali fattori di
accrescimento della nostra vita, pur -troppo beve.
Sono dell’idea che se il
professore non piace, non riesce simpatico, non entra in sintonia di
sentimenti con i suoi allievi, non suscita la loro ammirazione,
questi non apprendono bene quanto lui insegna.
Quindi, essere preparato è
necessario ma non sufficiente.
Tutto il comportamento, perfino
l’aspetto dell’insegnante è emblematico per il ragazzo che
scruta le mosse, la postura del corpo, il colorito, l’abbigliamento
del professore e ci riflette, e ne parla, e lo ricorda per tutta la
vita. Frequento la scuola dal primo di ottobre del 1950, quando, a 5
anni, dieci mesi e sedici giorni, una delle mie tre zie maestre, la
Rina, mi portò nella prima elementare di un suo collega alle
Carducci di Pesaro. Poi le medie Lucio Accio, poi il liceo Terenzio
Mariani, sempre di Pesaro, poi l’Università qui a Bologna. Quindi
decenni di insegnamento: dalle medie, all’istituto professionale,
ai Licei Rambaldi, Minghetti, Galvani, alla SSIS di Bologna e
Bressanone, alla TAF di Urbino. Di tutto. La cosa migliore che potevo
fare, la più bella del mondo per me. Ho respirato scuola per tutta
la vita e lo faccio ancora, e ne sono felice. Spero di morire, il più
tardi possibile, facendo lezione. Questo è un altro aspetto del
bravo docente, come del bravo muratore o del bravo regista: che sia
contento del suo lavoro, che lo ami. Solo così può farlo bene.
maestro e discepolo, bassorilievo greco |
Ho scritto sopra che conta anche
l’aspetto e perfino l’abbigliamento. Questi infatti sono parte
dello stile della persona. Dopo avere parlato tanto, fin troppo, di
me, sentiamo altri pareri.
Sto leggendo un bel libro dal
quale ricavo una autorizzazione al mio autobiografismo talora forse
invadente.
“Se
sono andata troppo dentro la mia vita, il lettore mi perdoni, è
l’autobiografismo dei pedagogisti che amano i libri come le
Confessioni
di Rousseau, e trovano molto nobili le ragioni di Montaigne che
dichiara di scrivere per dar modo ai suoi parenti di conoscerlo
meglio”6.
Ora , nel riferire altri autori,
mi avvalgo per giunta di un breve capitolo della mia metodologia, il
discorso sul metodo dell’insegnamento dei classici che ho elaborato
in dieci anni di SSIS dell’Università di Bologna dove ho tenuto un
laboratorio di didattica della letteratura greca dal 2000 al 2009.
Per questa autocitazione utilizzo un altro colore.
Cap. 30. Anche l’aspetto di noi
insegnanti trasmette significati. Il giovane Törless e Hanno
Buddenbrook, le Nuvole di Aristofane
Il
significato dei nostri studi, del nostro studiare, deve restare
impresso persino nell'aspetto di noi insegnanti se non vogliamo
essere rifiutati, quindi rimanere inascoltati e disprezzati dagli
studenti. A tale proposito sentiamo Musil il cui Törless spinto “da
una curiosità un po’ diffidente” va a trovare il giovane
professore di matematica. Il suo “scopo principale non era tanto di
ottenere chiarimenti-segretamente già ne dubitava- quanto i poter
gettare uno sguardo, per così dire, al di là del maestro e del suo
quotidiano concubinato con la matematica…Senza volerlo Törless si
sentì ancora più ributtato dalle proprie osservazioni; non riusciva
più a sperare che quell'uomo fosse davvero in possesso di una
conoscenza significativa, giacché non se ne vedeva traccia nella sua
persona né nel suo ambiente. Ben diversa si era figurata la stanza
di un matematico, in qualche modo espressiva dei pensieri terribili
che vi prendevano forma. Il triviale lo offendeva: lo estese alla
matematica e il suo rispetto cedette il posto a una diffidenza
riluttante7".
Sentiamo
anche le impressioni del giovinetto Hanno Buddenbrook di T. Mann: "I maestri supplenti o tirocinanti che lo istruivano in quelle prime
classi, dei quali sentiva l'inferiorità sociale, la depressione
spirituale e la poca cura dell'esteriorità fisica, gli ispiravano,
oltre il timore della punizione, un segreto disprezzo"8.
Tonio
Kröger
si
sentiva diverso
dai
bravi scolari e di solida mediocrità, ("Die
guten Schüler und die von solider Mittelmäbigkeit"), quelli che non trovano ridicoli gli insegnanti ("Sie
finden die Lehrer
nicht
komisch")9.
Perfino
il colorito del volto dell’insegnante significa qualche cosa per il
ragazzo che rifiuta l’umbraticus
doctor.
Petronio
contrappone
tale erudito deleterio ai grandi tragici la cui pagina aveva il
sapore della vita: "cum
Sophocles aut Euripides invenerunt10
verba quibus deberent loqui,
nondum
umbraticus doctor ingenia deleverat"11
quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano
parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare
gli ingegni.
Il maestro pallido, ossia tedioso,
desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche
fisica nel giovane discepolo.
Fidippide, il figlio di
Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori, i maestri lazzaroni della
scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro,
malsano: "aijboi', ponhroiv
g' oi\da. tou;" ajlazovna"-tou;"
wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei"
(Aristofane,
Nuvole,
vv. 102-103), puah! Quei furfanti, ho capito. Tu dici quei
ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Aristofane
fa dire a Strepsiade che nessuno degli uomini del pensatoio di
Socrate per economia si è mai fatto tagliare i capelli o si è unto
il corpo o è andato nel bagno a lavarsi: "oujd
j eij" balanei'on h\lqe lousovmeno""
(Nuvole12
, v. 837). Il Coro degli Uccelli
13più specificamente qualifica Socrate come a[louto" (v. 1553), non lavato.
Il
discepolo ama il maestro che gli fa vivere la scuola non come una
caserma dove lui esercita il caporalato dell’intelligenza, bensì
come un locus
amoenus dove le sue
capacità vengono individuate e potenziate.
E
il maestro non può non amare il discepolo che lo stimola con la sua
attenzione, con le sue domande.
Questo
tipo di amore reciproco, l’amore che incoraggia e incentiva la vita
è un bene, un grande bene. Guai se non c’è.
Male,
un male enorme è lo sfruttamento, l’uso, l’imposizione del
potere con il fine della strumentalizzazione, sessuale,
intellettuale, o di qualsiasi altro genere.
Sarebbe
auspicabile una educazione alla sessualità, una paideia
capace di spiegare
i tanti significati di Eros. Ma per oggi basta.
La
prossima volta scriverò contro un altro male enorme che affligge
l’umanità da sempre e ora ci minaccia molto da vicino: quello
della guerra.
Lo
ha già fatto papa Francesco mettendo il suo fascino, il suo carisma,
tutta la sua bella persona al servizio della vita e della pace.
Ha
fatto molto bene, e, si
parva licet componere magnis14,
se si possono paragonare le cose piccole con le grandi,
ci proverò anche io.
Giovanni
Ghiselli
P.
S.
Incollo
e copio alcuni commenti che sono arrivati sul mio blog dove ho messo
questo pezzo. Due di questi, Monica e Stefano sono miei ex alunni
cui facevo scuola negli anni Ottanta. Sono ancora miei allievi. Vi
saluto e vi ringrazio, ragazzi.
Stefano
Mannacio
Sottoscrivo le tue parole in toto nella piena convinzione che mi
ritengo fortunato, anzi fortunatissimo, ad avere avuto te come
insegnante e maestro.
Marina
Pisante
sono assolutamente in sintonia con lei.
Alberto
Monti
Le affermazioni di Ghiselli sono molto opportune e andrebbero
meditate anche tra i “ non addetti “.
Ho l’impressione che gli insegnanti, più che una casta ostile al cambiamento, siano oggi una categoria di persone che occupa una trincea abbandonata.
Ho l’impressione che gli insegnanti, più che una casta ostile al cambiamento, siano oggi una categoria di persone che occupa una trincea abbandonata.
Monica
Bresciani
Un insegnante come te merita rispetto poichè, a parte l'alto livello
culturale, fa sentire i suoi alunni degni di essere stimati ,sa
potenziare le loro capacità anzichè sminuirle come fanno tanti
docenti assolutamenti privi di empatia e professionalità.
Mauro
Conti
Bravo Gianni, e grazie
circa
un'ora fa
tramite cellulare
Simone
Salandra
Gianni complimenti,sempre esaustivo e preciso
circa un'ora fa
A
Maria
Luisa Scarpa,
Alberto
Monti
e Adriana
Pedicini
piace questo elemento.
Il blog
è
arrivato a 92790, 219 giorni dopo che è stato aperto. A centomila
festeggerò.
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1
Nel
Fedro
di Platone l’appetitus
è raffigurato nel cavallo nero che è brutto: skoliov~,
storto, poluv~,
grosso, eijkh'/
sumpeforhmevno~,
ammassato a casaccio, kraterauvchn,
di collo grosso, bracutravchlo~,
dal
collo corto, simoprovswpo~,
dal
muso schiacciato, melavgcrw~,
di pelo nero, glaukovmmato~,
dagli
occhi chiari (grigio-azzurri), u{faimo~,
sanguigno,
u{brew~ kai; ajlazoneiva~ eJtai'ro~, compagno
della prepotenza e della iattanza, peri;
w\ta lavsio~ ,
villoso intorno alle orecchie, kwfov~,
ottuso,
mavstigi
meta;
kevntrwn
movgi~
uJpeivkwn,
una bestia che a stento si assoggetta a una frusta con pungoli (253
E).
2
Nel Fedro, Platone
racconta che l’anima umana consta di tre parti ed è
assimilabile alla potenza connaturata di una biga alata e di un
cocchiere (246A) : l’uriga deve guidare un cavallo buono, di
colore bianco, ben fatto, amante di gloria e di temperanza; e un
cavallo nero, contorto massiccio, messo insieme a casaccio
(eijkh`/,),
amico della protervia e dell’impostura 253e. Il bianco è
obbediente all’auriga (oJ
me;n eujpeiqh;~ tw`/ hJnivovcw/, 254a) ed
è tenuto a freno dal pudore e si trattiene dal balzare addosso
all’amato. L’altro invece si porta avanti skirtw`n
de; biva/ , balzando con violenza.
L’auriga e il bianco vengono trascinati e si sentono costretti a
cose vergognose e inique. Giunti vicino all’amato, l’auriga
ricorda la natura del Bello e lo vede collocato con la Temperanza
(meta; swfrosuvnh~,
254b) su un piedistallo immacolato. Sicché l’auriga tira indietro
le redini e i due cavalli devono piegarsi sulle cosce; il riottoso
contro la sua volontà. Quando riprende fiato, il cavallo nero
lancia insulti con ira (ejloidovrhsen
ojrgh`/, 254c)
contro l’auriga e il compagno accusandoli di viltà e debolezza.
Quindi riprende a tirare (met
j ajnaideiva~ e{lkei (254d), trascina con
impudenza. Ma l’auriga tira indietro il freno dai denti del
cavallo protervo con maggior forza e insanguina la lingua maldicente
e le mascelle e gli fa piegare a terra le cosce. Dopo che questa
mossa si è ripetuta più volte il malvagio fa cessare la sua
protervia, umiliato dalla previdenza dell’auriga, e quando vede il
bello si sente venir meno per la paura: kai;
o{tan i[dh to;n kalovn, fovbw/ diovllutai
(254e).
4
Del 1888.
6
Grazia Gotti, A scuola con i libri, Avventure
di una libraia maestra, BUR ragazzi,
Milano, 2013, p. 94
10
Invenerunt
e il successivo deberent
significano da una parte inventiva e fantasia, dall'altra la non
meno necessaria disciplina che più avanti infatti viene rimpianta.
Carissimo Gianni, sono pienamente d'accordo: infatti è grazie al modello che ho visto in te che ho scelto di fare l'insegnante di greco e latino, spero non indegnamente, e di condividere (e continuare a farlo) i nostri viaggi in bicicletta.
RispondiEliminaCon affetto e stima
alessandro