NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 12 settembre 2013

Franco Frabboni, "Le vie della formazione" II parte


Seconda parte della presentazione del libro di Franco Frabboni Le vie della formazione . Scuola e sfide educative nella società del cambiamento.
Edizioni Erickson, Trento, 2013.

Proseguo dopo la serata di presentazione di questo bel libro alla Festa dell’Unità di Bologna. Ne hanno parlato ieri sera nella l’autore e altri relatori, tra cui Rosanna Facchini e Ivana Summa. Anche chi scrive ha fatto un intervento.
Frabboni mette sotto accusa l’istruzione come “banca di trasmissione dei saperi che negano il dubbio” (p. 95).

A questo punto è opportuno un elogio del dubbio
Piccolissimo è quello spirito che non è capace o è difficile al dubbio”1.

Leopardi cita Cartesio a proposito della necessità del dubbio: “Le verità contenute nel mio sistema non saranno certo ricevute generalmente, perché gli uomini sono avvezzi a pensare altrimenti, e al contrario, né si trovano molti che seguono il precetto di Cartesio: l’amico della verità debbe una volta in sua vita dubitar di tutto. Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le verità ch’io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e gli animi vi si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perché sien vere, quanto per l’assuefazione”2.
In molte pagine dello Zibaldone, Leopardi mette in dubbio ogni sistema: anche quelli che ha più cari o che posseggono più rilievo. “Il mio sistema” scriveva già nel settembre 1821 “introduce non solo uno Scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia processo possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero, e si dimostra che la nostra ragione, non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero…, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere”3.
Lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede di legare il suo esercizio al dubbio4, lievito di ogni attività critica…Comporta anche quell’intelligenza che i Greci chiamano métis5, “insieme di attitudini mentali…che combinano l’intuizione, la sagacia, la previsione, l’elasticità mentale, la capacità di cavarsela, l’attenzione vigile, il senso dell’opportunità… “Unico punto pressochè certo nel naufragio (delle antiche certezze assolute): il punto interrogativo”, ci dice il poeta Salah Stétié”6.
C’è una poesia di B. Brecht che costituisce un inno in lode del dubbio: “Sia lode al dubbio!... Oh bello lo scuoter del capo / su verità incontestabili! / Oh il coraggioso medico che cura / l’ammalato senza speranza!... Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai…Tu, tu che sei una guida, non dimenticare / che tale sei, perché hai dubitato / delle guide! E dunque a chi è guidato / permetti il dubbio!”7.
Concludo con Pasolini: “I miei film non mirano ad avere un senso compiuto. Finiscono sempre con una domanda”8.

Torno sull’oltrescuola già menzionata sopra. Questa ha bisogno di “città educative (quartieri, circoscrizioni, paesi) disponibili a censire i propri fabbisogni culturali per promuovere diffuse opportunità curricolari per l’infanzia e per l’adolescenza: laboratori, atelier, campi-gioco e spazi culturali. Questi ultimi in guisa di Teche: biblioteche, pinacoteche, museoteche, musicoteche, mediateche et al. Tutto con l’obiettivo di rispondere, per l’intero arco dell’anno, alla domanda di aggregazione e di formazione delle giovani generazioni” (p. 97).
Il modello pedagogico è quello del full time che “opta per un sistema di istruzione intitolato alla Conoscenza e alla Cittadinanza”. Il tempo pieno deve usare “due dardi infallibili. Il primo, è di denuncia; il secondo, di speranza” (p. 98).
La denuncia accusa i rancidi luoghi comuni del neoliberismo e della pubblicità suscitando interrogativi e dubbi.
La freccia della speranza “centra il bersaglio / sì di una Scuola aperta alla molteplicità delle culture, ai linguaggi dell’ambiente, all’integrazione delle diversità (disabili, altre etnie)” (p. 99).
Il Tempo pieno “gode di luoghi e di tempi modulari: aperti, poliedrici e multispaziali. Tramite questi ha ridimensionato la dittatura di un’aula/classe per sua natura totalizzante, autarchica e claustrale. Come? Facendola interagire vuoi con altri spazi interni alla scuola, vuoi con botteghe didattiche a lei esterne. Parliamo delle aule didattiche decentrate che Enti locali e Istituzioni private sono chiamati ad allestire e consolidare nei territori urbani e naturalistici (le Teche: biblioteche, museoteche, pinacoteche, musicoteche, ludoteche, ecc.; i Parchi: ecosistemi naturali,fattorie didattiche, agriturismi, ecc.)”. (p. 99)
Di Teche e Parchi ho visto attrezzato bene il Comune di San Lazzaro di Savena, nella cui mediateca terrò presto alcune conferenze sulle donne/ personaggi della letteratura antica, in particolare nella tragedia greca.
I saperi depositari ( nozionistici e ripetitivi) devono essere abbandonati “per sperimentare altre vie cognitive-certo più scoscese e ciottolose-intitolate ai saperi euristici (ipotetici e problematici)” (p. 99). Lo studente insomma deve fare ricerca e trovare (euJrivskein), magari non senza la guida del docente.
Nel tempo pieno devono essere allenate “insieme, l’intelligenza e la fantasia. Le sole in grado di conquistare il doppio prestigioso traguardo deweyano dell’imparare a imparare e dell’imparare a creare” (p. 100).

La scomparsa dei bambini dalle strade
Un aspetto che colpisce la mia osservazione da diversi anni anni è la sparizione di frotte di bambini che giocavano facendo “un lieto romore” nelle piazze e nelle strade delle nostre città. Rispetto ai tempi della mia infanzia e adolescenza, l’infanzia è scomparsa, perfino dai paesi, soprattutto nel centro-nord dell’Italia.
Franco Frabboni ne individua la causa: “il fantasma neoliberista che sogghigna sui tetti di metropoli nemiche della propria cittadinanza. Parliamo di un Belzebù due volte devastante. Sia perché genera città-dei-consumi prive di Piani regolatori per la convivialità comunitaria, sia perché è l’artefice della “scomparsa” dei bambini e degli adolescenti (ma anche degli anziani) in tessuti urbani sempre più ritagliati a-misura di chi lavora e produce: l’Adulto. Parliamo degli anonimi territori metropolitani sepolti da parcheggi, da negozi, da dehors, privi di sorrisi e di parole al vento. Siamo al cospetto di strade e di piazze che idolatrano mondi sregolati e selvaggi fino a riecheggiare un lontano Far West…Per questo urliamo, a tutta- gola, la tragica scomparsa dell’infanzia nella metropoli contemporanea…Nella città/mercato la bambina e il bambino vivono in “gabbia” i loro 700 minuti giornalieri al netto del mangiare e del dormire. L’orologio della loro quotidianità rintocca beffardo, senza mai scomporsi: tot- ore in famiglia, tot-ore a scuola, tot-ore per i compiti a casa, tot-ore per le attività pomeridiane a pagamento per la frequenza in Corsi da status symbol. Poi, il ritorno a casa che regala tot-ore in silenzio davanti al video e al computer” (p. 119).
Sono parole molto vere e molto belle: descrivono una vita che, come la scuola nozionistica, esclude il dubbio, la critica e l’avventura. Una vita sigillata nella bara dell’assicurazione. "I come to bury such life, not to praise her."

L’antagonista numero 1 dell’infanzia e dell’adolescenza -oggi - è la perversa filosofia della deregulation… Dunque, i bambini e i giovani rischiano di scomparire: ovvero di vivere desaparecidi senza le chiavi della città” (p. 121).
E questa è un fatto che stringe il cuore
Rimane del resto la speranza: “Il nostro immaginario pedagogico dà le ali ad una città laboriosa, disinquinata, abitabile” (p. 121).
Per fortuna Bologna in questi termini se la cava. Io sono immigrato qui da Pesaro nel 1963 e non ne sono pentito, anzi.
Di questa città apprezzo le offerte culturali, dovute anche ai tanti studenti la cui presenza la popola assai meglio di una Venezia o una Firenze o la stessa Roma sovrappopolate di turisti, mi piace la cineteca, mi piacciono le biblioteche, i collegamenti ferroviari e aerei. Mi piacciono meno il clima, il cibo e soprattutto la mancanza del mare. Ma non si può avere tutto. Non cambierei Bologna con nessun’altra città. Ma ora basta di questo.

I bambini comunque non i vedono più nemmeno nelle nostre strade che pure pullulano di studenti già almeno adolescenti
Al cospetto della santificazione del tandem consumo/profitto, denunciamo l’itteperibilità dell’infanzia nelle strade e nelle piazze delle metropoli contemporanee. In quanto Faust dai calzoni corti, i bambini sono obbligati a un patto con Mefistofele. A rinunciare alla città come libro-di-lettura e quaderno di scrittura…E’ in marcia un’anonima, muta e spettrale età generazionale popolata di bambine e di bambini coca-cola!” (p. 123)
Questo, aggiungo, dipende di certo dal Belzebù pubblicitario, ma non solo: gli è complice l’ignoranza dei genitori che non dissetano i bambini con l’acqua. Ottima è anche l’acqua di rubinetto, qui a Bologna e, oltretutto, non fa diventare i bambini obesi come la coca cola.
Ma torniamo a parlare di scuola.
Frabboni spera che dopo la rovina e gli insulti ignobili di incolti Ministri dell’istruzione9, questa rinasca in una scuola aperta all’Ambiente (p. 130) e che si arricchisca con l’interdisciplinarità e l’interculturalità. Le conoscenze devono essere problematizzate, la logica va aperta al contrasto come nei dissoi; lovgoi, i discorsi contrapposti dei sofisti.
I bambini attraverso questi confronti potranno sviluppare la Ragione che contiene lovgo~ e pure pavqo~, o per lo meno il pavqo~ come elemento della Ragione10: “equipaggiati sì di fantasia-sentimento-lievità esistenziale, ma corredati anche di corporeità-logica-cultura antropologica” (p. 145)
In conclusione, Frabboni intravede “sette identità che nobilitano le città postideologiche, postindustriali e postmoderniste. Sono metropoli attraversate da idee plurali, laiche e democratiche” (p. 146)
Queste identità sono anche stelle luminose, che illuminano
La prima è la Convivialità che comporta incontro, dialogo e rapporti umani
La seconda è l’Intergenerazionalità
La terza è l’Intercultura
La quarta è il Lavoro
La quinta è la Scienza
La sesta è la Cultura
La settima è l’Educazione che deve accompagnarci per tutta la vita.
L’abito pedagogico che indossiamo rende forse partigiana la seguente tesi: la settima stella - l’ultima del timone dell’Orsa minore che intitoliamo all’Educazione - prende il nome di Stella Polare”(p. 147) 

 
Giovanni Ghiselli

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1 Zibaldone, 1392.
2 Zibaldone, 1720.
3 P. Citati, Leopardi, p. 56.
4 Montaigne che cita Dante: “Che, non men che saver, dubbiar m’aggrata”, Divina Commedia, Inferno XI, v. 93.
5 M.Detienne, J.-P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, tr. It. Laterza, Roma-Bari 1984.
6 E. Morin, La testa ben fatta, pp. 16-17 e 55.
7 B. Brecht (1898-1956), Lode del dubbio.
8 Pasolini, Tutte le Opere, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1319
9 “la Scuola non va finanziata, perché con lo studio i giovani non riempiono la propria pancia”,
10 "Il pathos in tal senso è una potenza in se stessa legittima dell'animo, un contenuto essenziale della razionalità e della volontà libera", Hegel, Estetica , Tomo I, p. 306

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