Seconda
parte della presentazione del libro di Franco Frabboni Le
vie della formazione . Scuola e sfide educative
nella società del cambiamento.
Edizioni
Erickson, Trento, 2013.
Proseguo
dopo la serata di presentazione di questo bel libro alla Festa
dell’Unità di Bologna. Ne hanno parlato ieri sera nella l’autore
e altri relatori, tra cui Rosanna Facchini e Ivana Summa. Anche chi
scrive ha fatto un intervento.
Frabboni
mette sotto accusa l’istruzione come “banca di trasmissione dei
saperi che negano il dubbio” (p. 95).
A
questo punto è opportuno un elogio del dubbio
Leopardi
cita Cartesio a proposito della necessità del dubbio: “Le verità
contenute nel mio sistema non saranno certo ricevute generalmente,
perché gli uomini sono avvezzi a pensare altrimenti, e al contrario,
né si trovano molti che seguono il precetto di Cartesio: l’amico
della verità debbe una volta in sua vita dubitar di tutto.
Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le
verità ch’io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e
gli animi vi si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perché
sien vere, quanto per l’assuefazione”2.
“In
molte pagine dello Zibaldone,
Leopardi mette in dubbio ogni sistema: anche quelli che ha più cari
o che posseggono più rilievo. “Il mio sistema” scriveva già nel
settembre 1821 “introduce non solo uno Scetticismo ragionato e
dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per
qualsivoglia processo possibile, non potrà mai spogliarsi di questo
scetticismo; anzi esso contiene il vero, e si dimostra che la nostra
ragione, non può assolutamente trovare il vero se non dubitando;
ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza;
e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero…, ma il vero
consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più
che si possa sapere”3.
“Lo
sviluppo dell’intelligenza generale richiede di legare il suo
esercizio al dubbio4,
lievito di ogni
attività critica…Comporta
anche quell’intelligenza che i Greci chiamano métis5,
“insieme di attitudini mentali…che combinano l’intuizione, la
sagacia, la previsione, l’elasticità mentale, la capacità di
cavarsela, l’attenzione vigile, il senso dell’opportunità…
“Unico punto pressochè certo nel naufragio (delle antiche certezze
assolute): il punto interrogativo”, ci dice il poeta Salah
Stétié”6.
C’è
una poesia di B.
Brecht che
costituisce un inno in lode del dubbio: “Sia lode al dubbio!... Oh
bello lo scuoter del capo / su verità incontestabili! / Oh il coraggioso
medico che cura / l’ammalato senza speranza!... Sono coloro che non
riflettono, a non dubitare mai…Tu, tu che sei una guida, non
dimenticare / che tale sei, perché hai dubitato / delle guide! E dunque
a chi è guidato / permetti il dubbio!”7.
Concludo
con Pasolini: “I miei film non mirano ad avere un senso compiuto.
Finiscono sempre con una domanda”8.
Torno
sull’oltrescuola già menzionata sopra. Questa ha bisogno di “città
educative (quartieri, circoscrizioni, paesi) disponibili a censire i
propri fabbisogni culturali per promuovere diffuse opportunità
curricolari per l’infanzia e per l’adolescenza: laboratori,
atelier, campi-gioco e spazi culturali. Questi ultimi in guisa di
Teche: biblioteche, pinacoteche, museoteche, musicoteche, mediateche
et al. Tutto con l’obiettivo di rispondere, per l’intero arco
dell’anno, alla domanda di aggregazione e di formazione delle
giovani generazioni” (p. 97).
Il
modello pedagogico è quello del full time che “opta per un
sistema di istruzione intitolato alla Conoscenza e alla
Cittadinanza”. Il tempo pieno deve usare “due dardi infallibili.
Il primo, è di denuncia; il secondo, di speranza” (p. 98).
La
denuncia accusa i rancidi luoghi comuni del neoliberismo e della
pubblicità suscitando interrogativi e dubbi.
La
freccia della speranza “centra il bersaglio / sì di una Scuola
aperta alla molteplicità delle culture, ai linguaggi dell’ambiente,
all’integrazione delle diversità (disabili, altre etnie)” (p.
99).
Il
Tempo pieno “gode di luoghi e di tempi modulari: aperti,
poliedrici e multispaziali. Tramite questi ha ridimensionato la
dittatura di un’aula/classe per sua natura totalizzante, autarchica
e claustrale. Come? Facendola interagire vuoi con altri spazi
interni alla scuola, vuoi con botteghe didattiche a lei esterne.
Parliamo delle aule didattiche decentrate che Enti locali e
Istituzioni private sono chiamati ad allestire e consolidare nei
territori urbani e naturalistici (le Teche: biblioteche, museoteche,
pinacoteche, musicoteche, ludoteche, ecc.; i Parchi: ecosistemi
naturali,fattorie didattiche, agriturismi, ecc.)”. (p. 99)
Di
Teche e Parchi ho visto attrezzato bene il Comune di San Lazzaro di
Savena, nella cui mediateca terrò presto alcune conferenze sulle
donne/ personaggi della letteratura antica, in particolare nella
tragedia greca.
I
saperi depositari ( nozionistici e ripetitivi) devono essere
abbandonati “per sperimentare altre vie cognitive-certo più
scoscese e ciottolose-intitolate ai saperi euristici
(ipotetici e problematici)” (p. 99). Lo studente insomma deve fare
ricerca e trovare (euJrivskein), magari
non senza la guida del docente.
Nel
tempo pieno devono essere allenate “insieme, l’intelligenza e la
fantasia. Le sole in grado di conquistare il doppio prestigioso
traguardo deweyano dell’imparare a imparare e dell’imparare
a creare” (p. 100).
La
scomparsa dei bambini dalle strade
Un
aspetto che colpisce la mia osservazione da diversi anni anni è la
sparizione di frotte di bambini che giocavano facendo “un lieto
romore” nelle piazze e nelle strade delle nostre città. Rispetto
ai tempi della mia infanzia e adolescenza, l’infanzia è
scomparsa, perfino dai paesi, soprattutto nel centro-nord
dell’Italia.
Franco
Frabboni ne individua la causa: “il fantasma neoliberista che
sogghigna sui tetti di metropoli nemiche della propria cittadinanza.
Parliamo di un Belzebù due volte devastante. Sia perché genera
città-dei-consumi prive di Piani regolatori per la convivialità
comunitaria, sia perché è l’artefice della “scomparsa” dei
bambini e degli adolescenti (ma anche degli anziani) in tessuti
urbani sempre più ritagliati a-misura di chi lavora e produce:
l’Adulto. Parliamo degli anonimi territori metropolitani sepolti da
parcheggi, da negozi, da dehors, privi di sorrisi e di parole al
vento. Siamo al cospetto di strade e di piazze che idolatrano mondi
sregolati e selvaggi fino a riecheggiare un lontano Far West…Per
questo urliamo, a tutta- gola, la tragica scomparsa dell’infanzia
nella metropoli contemporanea…Nella città/mercato la bambina e il
bambino vivono in “gabbia” i loro 700 minuti giornalieri al netto
del mangiare e del dormire. L’orologio della loro quotidianità
rintocca beffardo, senza mai scomporsi: tot- ore in famiglia, tot-ore
a scuola, tot-ore per i compiti a casa, tot-ore per le attività
pomeridiane a pagamento per la frequenza in Corsi da status
symbol. Poi, il ritorno a casa che regala tot-ore in silenzio
davanti al video e al computer” (p. 119).
Sono
parole molto vere e molto belle: descrivono una vita che, come la
scuola nozionistica, esclude il dubbio, la critica e l’avventura.
Una vita sigillata nella bara dell’assicurazione. "I come to bury
such life, not to praise her."
“ L’antagonista numero 1 dell’infanzia e
dell’adolescenza -oggi - è la perversa filosofia della
deregulation… Dunque, i bambini e i giovani rischiano di
scomparire: ovvero di vivere desaparecidi senza le chiavi
della città” (p. 121).
E
questa è un fatto che stringe il cuore
Rimane
del resto la speranza: “Il nostro immaginario pedagogico dà le ali
ad una città laboriosa, disinquinata, abitabile” (p. 121).
Per
fortuna Bologna in questi termini se la cava. Io sono immigrato qui
da Pesaro nel 1963 e non ne sono pentito, anzi.
Di
questa città apprezzo le offerte culturali, dovute anche ai tanti
studenti la cui presenza la popola assai meglio di una Venezia o una
Firenze o la stessa Roma sovrappopolate di turisti, mi piace la
cineteca, mi piacciono le biblioteche, i collegamenti ferroviari e
aerei. Mi piacciono meno il clima, il cibo e soprattutto la mancanza
del mare. Ma non si può avere tutto. Non cambierei Bologna con
nessun’altra città. Ma ora basta di questo.
I
bambini comunque non i vedono più nemmeno nelle nostre strade che
pure pullulano di studenti già almeno adolescenti
“Al
cospetto della santificazione del tandem consumo/profitto, denunciamo
l’itteperibilità dell’infanzia nelle strade e nelle piazze delle
metropoli contemporanee. In quanto Faust dai calzoni corti, i bambini
sono obbligati a un patto con Mefistofele. A rinunciare alla città
come libro-di-lettura e quaderno di scrittura…E’ in marcia
un’anonima, muta e spettrale età generazionale popolata di bambine
e di bambini coca-cola!” (p. 123)
Questo,
aggiungo, dipende di certo dal Belzebù pubblicitario, ma non solo:
gli è complice l’ignoranza dei genitori che non dissetano i
bambini con l’acqua. Ottima è anche l’acqua di rubinetto, qui a
Bologna e, oltretutto, non fa diventare i bambini obesi come la coca
cola.
Ma
torniamo a parlare di scuola.
Frabboni
spera che dopo la rovina e gli insulti ignobili di incolti Ministri
dell’istruzione9,
questa rinasca in una scuola aperta all’Ambiente (p. 130) e che si
arricchisca con l’interdisciplinarità
e
l’interculturalità.
Le conoscenze devono essere problematizzate, la logica va aperta al
contrasto come nei dissoi;
lovgoi, i
discorsi contrapposti dei sofisti.
I
bambini attraverso questi confronti potranno sviluppare la Ragione
che contiene lovgo~
e pure
pavqo~,
o per lo meno il pavqo~
come elemento della Ragione10:
“equipaggiati sì di fantasia-sentimento-lievità esistenziale, ma
corredati anche di corporeità-logica-cultura antropologica” (p.
145)
In
conclusione, Frabboni intravede “sette identità che nobilitano le
città postideologiche, postindustriali e postmoderniste. Sono
metropoli attraversate da idee plurali, laiche e democratiche” (p.
146)
Queste
identità sono anche stelle luminose, che illuminano
La
prima è la Convivialità che comporta incontro, dialogo e rapporti
umani
La
seconda è l’Intergenerazionalità
La
terza è l’Intercultura
La
quarta è il Lavoro
La
quinta è la Scienza
La
sesta è la Cultura
La
settima è l’Educazione che deve accompagnarci per tutta la vita.
“L’abito
pedagogico che indossiamo rende forse partigiana la seguente tesi: la
settima stella - l’ultima del timone dell’Orsa minore che
intitoliamo all’Educazione - prende il nome di Stella Polare”(p.
147)
Giovanni
Ghiselli
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4
Montaigne che cita Dante: “Che, non men che saver, dubbiar
m’aggrata”, Divina Commedia, Inferno XI,
v. 93.
5
M.Detienne, J.-P. Vernant, Le
astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia,
tr. It. Laterza, Roma-Bari 1984.
9
“la Scuola non va finanziata, perché con lo studio i giovani non
riempiono la propria pancia”,
10
"Il
pathos in tal senso è una potenza in se stessa legittima
dell'animo, un contenuto essenziale della razionalità e della
volontà libera", Hegel, Estetica
, Tomo I, p. 306
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