Recensione del libro di Franco Frabboni Le vie della formazione. Scuola e sfide educative nella società del
cambiamento. Edizioni Erickson, Trento, 2013.
L’autore propone una educazione che accompagni e consolidi
la coscienza delle persone attraverso le cinque età generazionali:
infanzia,adolescenza, giovinezza, età adulta e senile, insomma per tutta la
vita.
Gli apprendimenti forniti non devono essere caratterizzati
da una labile tenuta cognitiva, come succede nella scuola nozionistica.
Viceversa è necessario che il sistema di istruzione promuova
i dispositivi mentali superiori di analisi e di sintesi, di induzione[1] e di
deduzione, di metaconoscenza e di problem
solving.
La scuola deve
difendere l’autonomia e la libertà intellettuale dei giovani. Deve fornire non
solo conoscenze ma anche competenze fondate sull’imparare a imparare.
Bisogna trovare un rimedio al neoanalfabetismo di ritorno.
Nel primo capitolo viene citato Massimo Baldacci[2] il
quale suggerisce al pdagogo la necessità di coniugare la teoria con la prassi:”la
teoria senza prassi è vuota, così come la prassi senza teoria è cieca”.
La conoscenza contemplativa deve farsi attiva.
L’allungamento della vita richiede anche una estensione
della prassi educativa.”La lifelong
education assicura al Pianeta della quinta/età un allenamento quotidiano
delle facoltà che presiedono sia i
potenziali cognitivi, sia la salute mentale. Parliamo della memoria,
della comprensione, dell’intuizione e dell’invenzione.
Il footing giornaliero della mente è sicuramente una
medicina miracolosa perché rallenta gli irreversibili processi di perdita della
memoria e delle connessioni nuroniche”(p. 22).
Le metafore di
Frabboni
Uno dei pregi di questo libro di Frabboni è la ricchezza di
metafore
appropriate che rendono visivamente le idee e aggiungono
calore alle pagine
E’ molto importante sapere usare questa forma di
abbellimento . Aristotele nella Poetica
segnala le metafore come necessarie al linguaggio creativo che non può essere
preso in prestito da altri:”eujfui?a~ te
shmei'ovn ejsti: to; ga;r eu\ metafevrein to; to; o{moion qewrei'n ejstin”(1459a,
6-7), ed è segno di talento: infatti trovare buone metafore significa osservare
ciò che è somigliante[3].
La metafora tra l’altro possiede in massimo grado chiarezza
(to; safev~), piacevolezza (to; hJduv) e stranezza (to; xenikovn), ossia originalità, e non è
possibile prenderla da altri (Aristotele, Retorica
, III, 1405a).
“Generando onde analogiche, la metafora supera la
discontinuità e l’isolamento delle cose”[4].
Il neoliberismo selvaggio tende a emarginare le età
infantili e senili in quanto non produttive:”nel nome del contenimento della
spesa pubblica, le Destre eropee-liberiste e senz’anima-hanno progressivamente
chiuso i rubinetti dei finanziamenti ai servizi sociali formativi (assistenza,
salute, scuola, lavoro) per le fasce deboli (infanzia, vecchiaia, disabili,
extracomunitari), povere (disoccupati
ed emarginati sociali) e a rischio
(devianza, tossicodipendenza)…La mannaia neoliberista consacra la”naturalità”delle
disuguaglianze tramite un aberrante teorema discriminatorio: dare-di
più-a-chi-ha-già-di-più-. Spegnere la luce dello Stato sulle politiche
assistenziali e formative significa tradire il diritto al garantismo sociale e
culturale di cui i deboli, i poveri e i soggetti a rischio dovrebbero godere in
collettività democratiche e civili”(Le
vie della formazione, p. 23).
Nel Politico,
Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica consiste nell’ avere
cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia
dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b). Il guidare gli uomini
come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn, tecnica
dell’allevamento, non basilikh;n kai;
politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica. Infatti il
re, comunque l’uomo politico è quello
che si prende cura (ejpimevleian) di
uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn
dipovdwn, 276d).
Questa idea di humanitas
è stata e sarà ripresa nei secoli dei
secoli da alcuni capi di Stato.
Marco Aurelio, imperatore (161-180 d. C.) e filosofo,
scrive:”noi siamo nati per darci aiuto reciproco (pro;”sunergivan), come i piedi, le mani, le palpebre, come le
due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura
(to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi”para;
fuvsin)[5].
I neoliberisti probabilmente non conoscono questi testi.
Frabboni analizza e denuncia le insidie della
alfabettizazione elettronica e computerizzata:”insidie che aprono la strada
all’esondazione di saperi catramati”(p. 24).
Aspetto negativo dei prolungati passatempi elettronici è la
drastica riduzione della compagnia umana, ossia della”aggregazione
interpersonale, la convivialità, il solidarismo”(p. 24)
I saperi ricavati da internet sono sbriciolati, privi di
nessi e vanno a formare una”cultura
surgelata”(p. 25), un linguaggio impoverito sia nel parlare sia nella
corporeità. Un sapere insomma che non è sapienza.
Nel Novecento la
Formazione avveniva quasi esclusivamente attraverso la
scuola.
“Nel nuovo Millennio, il gabbiano della conoscenza è sempre
più consapevole che dovrà nidificare sui rami non solo dell’albero scolastico, ma anche nelle piante inedite e sempreverdi di nome Oltrescuola e
Postscuola”(p. 35). Per queste le città devono essere attrezzate di teche e di parchi.
Lo vedremo più avanti.
Il sistema educativo deve ampliarsi e modificarsi
Frabboni è molto critico verso la scuola marchiata dagli
stampi neoliberisti della Moratti e della Gelmini.”i saperi coccodè, stracolmi
di pasticche-quiz e vuoti di pensiero, sono del tutto inefficaci per la
manutenzione della mente adulta e senile”(p. 35)
Le destre non vogliono che i giovani vengano attrezzati con
mezzi critici che li difendano dai governi populisti e regressivi e li mettano
in grado di fare”libere/scelte in mari popolati dalle sirene deduttive della
pubblicità e dei consigli per gli acquisti”(p. 38)
In effetti la pubblicità è un agente diseducativo ubiquo e
capace di impedire la crescita delle facoltà critiche, estetiche ed etiche.
La pubblicità è il cancro del cervello di chi non possiede
la difesa della cultura che sia non solo sapere (sofovn)
ma anche sapienza (sofiva).
Frabboni cita Giovanni Maria Bertin” il padre del
Problematicismo pedagogico”con la riconoscenza dell’allievo al maestro.
La Pedagogia deve fornire strumenti critici e rendere il
giovane kritikov~[6],
ossia capace di giudizio.
La Pedagogia ”non può che incamminarsi - senza se e senza ma
- lungo la strada del dissenso. E
farsi scienza del no”p. 41)
Vediamo allora alcuni di questi no che rifiutano”le discriminazioni, le inibizioni e le solitudini
della sfera socioaffettiva”, quindi”la manipolazion, il conformismo e
l’omologazione della sfera cognitiva”, poi ”il dogmatismo, il filisteismo e
l’indottrinamento della sfera etica”
“Quarto rifiuto. La
Pedagogia è contro la stereotipia, il cattivo gusto e la
massificazione della sfera estetica”
Infine”Quinto rifiuto. La pedagogia è contro l’automazione,
l’alienazione lo sfruttamento della sfera economica quando viene elevata a
dio-maggiore”(p. 41).
La Pedagogia
di Frabboni, come la mia, si parva licet,
si oppone a quella propugnata dal neoliberismo che diffonde l’idea della
necessità”del produrre sempre di più per consumare sempre di più”(p. 43)
L’uomo educato, pepaideumevno~,
per dirla con Platone, è in grado di opporsi ”al binomio liturgico
produzione-consumo”in modo da non pietrificarsi in un individuo senza voce e
senza sguardo.
Questo è l’idolatra.
Il consumista in effetti trae identità dalle cose che
compra, come l’idolatra biasimato nel Salmo della Bibbia:”:"Gli idoli dei
popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non
parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro
nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida”(Salmi,
135, 15-18).
La testa ben fatta
"La prima finalità dell'insegnamento è stata formulata
da Montaigne: è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena… Una testa
ben fatta è una testa atta a organizzare le conoscenze così da evitare la loro
sterile accumulazione"[7].
Viceversa quella chi non sa connettere nulla con nulla (I
can connect/Nothing with nothing[8]) ha
una testa intronata tra spazi ventosi: ”A
dull head among windy spaces"[9].
La persona intelligente è in grado di collegare i saperi
attraverso la suvnesi~,
l’intelligenza che è etimologicamente, appunto, capacità di fare collegamenti,
di individuare i nessi. (cfr. sunivhmi, metto insieme).
Allo sviluppo della capacità critica e dell’intelligenza non
è funzionale l’istruzione solo ”verbalistica, mnemonica e nozionistica” (Le vie della formazione, p. 49)
Alla Scuola come sistema
formale deve affiancarsi l’Oltrescuola quale sistema non-formale. Questi
due settori dovrebbero costituire i due lati uguali di un triangolo isoscele
(p. 50).
La scuola democratica deve ”dare di più a chi ha di meno” (p.
62)
Don Milani ha scritto:”non
c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali fra disuguali”[10].
Frabboni denuncia come diseducativi i governi della idologia
neoliberista, che costituiscono sostanzialmente la facies autoritaria della pubblicità consumistica.
Il neoliberismo impietoso (p. 65) tende a ridurre e
decapitare i doveri e le competenze dello Stato, a partire dalla scuola
statale: ”Siamo all’anti-Stato. A questo, si chiede di auto decapitarsi:
mozzando di netto la propria testa” (p. 65). Il cosiddetto Partito della
libertà è di fatto prono ”davanti a due altari sconsacrati: il Mercato e il Mediatico”(p. 66). E’ di fatto un servo del capitalismo selvaggio e
disumano.
La scuola neoloberista è classista “quando teorizza la
selezione come compito primario dell’istruzione pubblica: dando di più a chi è
in possesso di un copioso patrimonio alfabetico di base”(p. 67)
“E’ nozionistica la
Scuola qundo teorizza l’istruzione un coacervo di saperi in
pillole e non un percorso organico di conoscenze e competenze. Pollice verso,
pertanto, ad apprendimenti stipati in microsaperi da imparare a memoria. Da
spendere nelle prove di valutazione così come sono stati assimilati in funzione
del verdetto dei test/quiz”.
La televisione e la stampa sono spesso alleati e complici di
questa deriva neoliberista che vuole ridurre la Cultura a merce. I totem, gli dèi
déi governi neoliberisti sono il consumo e il consenso. Il veleno che deriva da
tale religione empia tende a mettere fuori uso il pensiero critico e l’affettività,
ossia” un pensiero che pensa e un cuore che sogna”(p. 73).
“Pur se assediata e sotto tiro, la Scuola può ergersi da antagonista
vincente nei confronti di chi mira a inaridire le due sorgenti della cultura: la Lettura e la Scrittura. Come? Rianimando
le parole saporite e i lapis scomodi…Se saporita e scomoda, la Scuola si potrà candidare a veicolo
di solidarietà (di cittadinanza attiva), a motore di conoscenza (di
intelligenze plurali) e a volante di vita interiore (di sentimenti, di passioni
e di sogni) (p. 73).
Frabboni riconosce a Don Lorenzo Milani il ruolo di
protagonista della teoria e della prassi pedagogica: ”Deriso e umiliato dalla
stampa padronale (leggasi Marcello Veneziani, “quel santo parroco che sfasciò
l’istruzione”, Libero, 25 settembre
2008), noi lo incoroniamo a stella polare della Pedagogia perché seppe indicare
alla Scuola la strada per tagliare il traguardo del diritto di tutti a una
Formazione dall’elevato profilo democratico e dal profondo spessore culturale” (p.
75).
Ma il tempo in cui noi sessantottini destinati
all’insegnamento leggevamo e ripetevamo le auree sentenze di Don Milani con
l’intenzione di applicarle alla prassi educativa che ci attendeva, è un tempo è
lontano.
“Dopo due lustri di padronale regime ultra/liberista - il
cui eversivo occhio di Polifemo ha avuto nel mirino lo smantellamento di
quattro diritti sociali e civili inalienabili: il Lavoro, la Casa, la Sanità e la Scuola - sarà arduo il
varo di na nuova coalizione politica in grado di ri-sanare il colossale
indebitamento dello Stato e di ri/orientare i suoi interventi strutturali nel
nome della qualità della vita a sud come a nord del Paese”(p. 77).
Dobbiamo esorcizzare i demoni che cercano di levare ai
giovani la capacità critica, quella del dubbio, e vogliono annientare la
curiosità omerica dei”piccoli Ulissi alla ricerca delle colonne d’Ercole”(p.
86).
Socrate nell’Apologia
scritta da Platone afferma che una vita senza ricerca non è vivibile per
l’uomo: ”oJ de; ajnexevtasto~ bivo~ ouj
biwto;~ ajnqrwvpw/”(38a).
Noi ”ragazzi” del Sessantotto speriamo di assistere a una
nuova edizione, magari riveduta e corretta, di quell’anno fatato quando”l’umanità
visse uno di quei rari momenti nei quali la lieta fiducia di sé stessa e del
suo avvenire tutta la riempie, e, ampliandosi nella purezza di questa gioia,
essa si fa buona, e vede attorno a sé fratelli, e ama”[11].
Ogni tanto qualche cosa si muove: ”Aquiloni al vento,
parenti stretti della protesta giovanile del Sessantotto che urlò alle stelle
dell’emisfero boreale (bianco, ricco,alfabetizzato) il diritto di tutti alla
cultura, al lavoro, alla cittadinanza, alla convivenza”(Le vie della formazione, p. 87).
Di recente sono stati ragazze e ragazzi della Secondaria
scesi in piazza a braccetto con gli operai della FIOM a protestare contro l’
emarginazione decretata nei loro confronti dall’oligarchia berlusconiana che ha
inventato il tabù di investire risorse nella scuola.
“Queste giornate di testimonianza e di collera-sempre gioiose,
in omaggio all’anima giovanile-mi hanno riportato alla mente la proposta
utopica di Maria Montessori (la più grande pedagogista/donna del mondo
occidentale) quando, un Secolo fa, sentenziò che”il bambino è il padre
dell’uomo”. Sì, l’idea del cigno marchigiano la facciamo nostra”(p. 87).
L’educazione non può non proporsi obiettivi di ordine etico.
Dobbiamo dunque educare i giovani alla vita sociale e politica, ossia alla
cittadinanza[12], all’impegno e alla pace .
Mi fermo un momento su questo terzo punto, anche in opposizione alla
sbadataggine di troppi giornali e telegiornali che continuano a occuparsi
prevalentemente di Berlusconi quando siamo dentro a una crisi che potrebbe portare
il mondo a una catastrofe.
Prima però una considerazione mia sul caso Berlusconi
confrontato con quello del professore di Saluzzo. Entrambi hanno fatto sesso
con minorenni, sembra. Entrambi hanno abusato del loro potere. Perché uno è in
galera, l’altro è in grado di minacciare la crisi di governo? La legge non
dovrebbe essere uguale per tutti?
Ma
veniamo alla pace e alla guerra: ”Vengono nascosti - non si raccontano - sia il
volto crudele e tragico della guerra, dove tutto scarseggia (cibo, acqua,
medicinali), sia gli occhi sbarrati dei bambini e degli anziani. Pur al cospetto
di scenari agghiaccianti, noi pensiamo che questa galleria di maschere tragiche
non vada occultata alle giovani generazioni. Se vogliamo che - crescendo -
diventino profeti di pace (p. 94)
Nascondere gli orrori della guerra, le violenze perpetrate
sui civili significa coprire le responsabilità criminali di chi scatena le
guerre.
Lo faceva Polibio, prima fautore del polo benestante della
Grecia del suo tempo, la lega Achea, quindi portavoce degli imperialisti
Romani.
Nelle tragedie, Le sofferenze dei vinti, in particolare
delle donne, vengono rappresentate dalle immagini topiche dei capelli sciolti e
dei seni scoperti per suscitare compassione in chi assiste alle
rappresentazioni.
Ebbene, tali descrizioni quando entrano nella storiografia,
vengono fortemente biasimate da Polibio lo storico ”antitragico” il quale è
sempre critico nei confronti dei colleghi che danno spazio alle lacrime nelle
loro opere per suscitare la partecipazione sentimentale di chi le legge. Il suo
obiettivo polemico è soprattutto Filarco[13]
considerato uno storico ”tragico” poiché ha cercato di colpire la sfera emotiva
dei lettori, adoperandosi per invitarli alla compassione e renderli partecipi
dei suoi sentimenti riguardo a quanto viene raccontato. Egli dunque introduce
abbracci di donne (periploka;”gunaikw'n)
e chiome scarmigliate (kovma”dierrimmevna"[14])
e denudamenti di seni (mastw'n
ejkbolav"), e, oltre questo, lacrime e lamenti di uomini e donne (davkrua kai; qrhvnou”ajndrw'n kai; gunaikw'n)
trascinati via alla rinfusa con figli e vecchi genitori (Polibio, Storie, II, 56, 7). Ci fu per esempio
l'eccidio di Mantinea. Nel 223, durante la guerra cleomenica, questa cittadina
dell’Arcadia fu conquistata dai Macedoni alleati degli Achei: secondo Filarco e
Plutarco (Vita di Arato 45, 6-9) essa
subì un massacro che Polibio tende a nascondere o minimizzare. In II 54 lo
storico di Megalopoli si limita a dire che Antigono Dosone dopo essere stato
nominato capo delle forze alleate della lega ellenica costituitasi contro
Sparta e gli Etoli[15],
riuscì a sottomettere prima Tegea poi Mantinea, che nel 229 erano state prese
da Cleomene. Filarco viene biasimato per avere ”faziosamente” descritto le
sofferenze di questa gente.
Una critica del genere veniva fatta da alcuni personaggi
della nostra televisione a chi raccontava gli orrori della guerra in Iraq: per
esempio Giuliano Ferrara che di fronte alle prove fotografiche della tortura
fornite dalle stesse autorità americane, sproloquiava di ”episodi circoscritti”
(almeno venticinque prigionieri morti per le sevizie dei militari Usa!), e del
virus che “ci indebolisce nella guerra”
Altra cosa è comunque, ovviamente, Polibio da Giuliano
Ferrara.
Giovanni Ghiselli
[1] Che procede dal particolare all’universale. Il
contrario è la deduzione.
[2] La dimensione
metodologica del curriculum, Milano FrancoAngeli, 2010; Trattato di pedagogia generale, Roma, Carocci, 2012
[3]
Intelligenza in greco si dice suvnesi,
una parola che tradotta radicalmente significa capacità di mettere insieme cose
distanti, di vederne le somiglianze, e se è vero, come afferma il Menone di Platone, che ”la natura è
tutta imparentata con se stessa, ”th' fuvsew”aJpavsh”suggenou'
ou[sh"" (81d), coglierne ed evidenziarne i legami di parentela
è compito del genio, del poeta. La stessa cosa afferma Dostoevskij in I fratelli Karamazov: "Il mondo è
come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi
in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E
sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i
bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale
di quanto non sei ora, la vita sarebbe certomigliore”(p.402). Facciamo l’esempio di una bella metafora,
tratto da Eschilo, l'autore che ce ne fornisce la scelta più ampia siccome
conserva la rigida grandiosità del rituale e l'enfasi ieratica del linguaggio
liturgico: "dia; dev toi genu'n
iJppivwn / kinuvrontai fovnon
calinoiv", attraverso le mascelle dei cavalli, le briglie
arpeggiano strage (I sette a Tebe ,
vv. 122-123).
[4] E. Morin, La
testa ben fatta, p. 94.
[5] Ricordi ,
II, 1
[7] E. Morin, La testa ben fatta, p.
15 e p. 18.
[8] T. S. Eliot, La terra desolata,
vv. 301-302
[9] T. S. Eliot, Gerontion, (del 1920)
v. 16.
[10] Lettera a una
professoressa, p. 55.
[11] B. Croce, Storia
d’Europa nel secolo decimonono, p. 149. Croce si riferisce al 1848.
[13] Nato a Naucrati ma
vissuto ad Atene, nel III secolo, autore di Storie
in 28 libri che andavano dal 272 al 219, anno della morte di Cleomene III, il
re di Sparta ben visto da questo autore e mal visto da Polibio il quale
dichiara di seguire le Memorie di
Arato, stratego della lega Achea, per la narrazione della guerra cleomenica che
oppose Sparta ed Etoli ad Achei e Macedoni.
Filarco, ci informa
Mazzarino, ”ha capito il genio di Cleomene III e la necessità della rivolta
sociale, in mezzo al tramonto della gloriosa libertà greca. Michele Rostozev (Die hellenistische Welt , trad. ted., I,
146) ha detto benissimo: "La Grecia era dalla parte di Filarco, e non da
quella di Arato e degli Achei difesi da Polibio” (Il Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 126). Arato potenziò la
lega achea, operò e scrisse in favore degli abbienti, mentre Filarco era
favorevole a Cleomene III di Sparta. Questo re riformatore fu sconfitto a
Sellasia, non lontano da Sparta, nel 222, da Antigono Dosone di Macedonia e
dallo stratego acheo Filopemene, e per tale ragione gli scrittori suoi
partigiani possono essere accusati di menzogna dallo storico partigiano dei vincitori
nei quali si è incarnata la verità.
[14] Secondo Polibio sono
gesti che si confanno alle tragedie, non alla storiografia. Per quanto riguarda
gli abbracci di donne, nelle Troiane
di Euripide, per esempio, Andromaca abbraccia il figlio che a sua volta si
rifugia tra le ali della mamma come un uccellino: "neosso;”wJsei; ptevruga”ejspivtnwn ejmav"", v.751.
Per le chiome scarmigliate, o scagliate[14] c'è il
ricordo delle Baccanti: "truferovn te plovkamon eij”aijqevra rJivptwn"
(v. 150) scagliando nell'aria i riccioli molli, un ricordo che ho ravvisato
anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux
femmes courant sur la plage (Parigi, museo Picasso).
[15] L’altro polo della Grecia del III sec. A. C., quello
dei poveri
Nessun commento:
Posta un commento