NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 11 maggio 2015

L'inizio del lavoro di insegnante. IV parte. La scuola media Ugo Foscolo e il suo preside


Iniziai con buoni propositi la mia parte di educatore e li misi in atto con efficacia. Però non avevo ancora coscienza piena e sicura del ruolo assegnatomi dal regista delle vicende umane: non avevo capito fino in fondo che quella parte era la mia identità, la mia stessa vita. Ne fui certo solo a trent’anni quando cominciai a insegnare greco e latino nel liceo Rambaldi di Imola. A Carmignano invece, dopo il primo anno, mi lasciai sviare dal preside gretto e dai colleghi peggiori. Il capo della congiura contro la cultura, il buon gusto e lo spirito critico era il dirigente, del resto un uomo non disonesto. Più avanti, nei licei della buona borghesia di Bologna, ne avrei trovati di molto peggiori.
Quello di Carmignano non era nemmeno cattivo, ma era un pedante e un conformista cui ogni diversità dalla norma del suo ambiente bigotto dava fastidio suscitandone l’intolleranza. Mi criticava dicendo che studiavo troppo per volontà di fare bella figura, e non con il capo dell’Istituto o con i colleghi più esperti di insegnamento, come sarebbe stato giusto, bensì con la scolaresca, e magari pure con le giovani mamme e le sorelle che venivano a informarsi su figli e fratellini.
Questo dopo tutto era vero, ma non era di certo un fatto obbrobrioso né innaturale in un insegnante di venticinque anni che viveva solo in una stanza d’albergo. Poi mi accusava di fare lezioni troppo elevate, di usare termini inconsueti, difficili assai per dei ragazzi che conoscevano a stento la lingua italiana. Questo lo diceva in dialetto e probabilmente a non capire il mio idioma strano, quasi straniero, era lui. Ogni tanto entrava in classe senza bussare e con un cappello rigido in testa. Qualche volta mi rinfacciava, con tono a dire il vero quasi paterno, le “stravaganze” notate dal paese che, diceva, “mormora, mormora sul conto suo professore e questo non mi piace per niente”. Io dovevo guardarmi dalle chiacchiere.
Una volta risposi: “ho capito, i constantes rumores tacitiani. Io non mi curo di loro, ma guardo e passo”. Lui replicò: “Cossa vu to!”.

Mi suggeriva di leggere in classe i manuali e spiegarli, invece di parlare “in modo ciceroniano”.
Per tutto il primo anno non gli diedi retta, e gli allievi facendo il confronto tra le mie sudate lezioni e quelle di colleghi, suscitarono il risentimento dei professori più stupidi e ignoranti. Il preside alla fine dell’anno non mi diede l’ovvia qualifica di “ottimo”, ma il giudizio politico di “valente” motivandolo con queste parole: “assume atteggiamenti che non si confanno alla dignità della scuola”. Invero fui l’unico tra chi affrontò la prova scritta dell’abilitazione per le medie superiori a passarla, e fui pure l’unico a non meritarmi la qualifica di “ottimo” agli occhi di quel dirigente. Il che mi fa onore, anche se sul momento quel giudizio iniquo mi danneggiò facendomi perdere punti nella graduatoria.
La vicepreside Antonia Sommacal che sarebbe diventata la mia amica più cara e mi avrebbe fatto da seconda mamma dopo avere compreso il mio valore, la mia umanità, e avere superato la diffidenza iniziale per “il comunista donnaiolo di Bologna”, disse che il dirigente si era particolarmente irritato quando ebbe saputo delle mie passeggiate in bicicletta a Marostica con gli scolari nel mese di maggio.
Lui diceva “sicologia” per psicologia, pronunciava “periòdo” e “mannia”, e non si toglieva mai il cappello. Mi faceva anche un po’ di tenerezza a dire il vero. Mi ha pure insegnato qualche cosa: per esempio che dovevo smettere di parlare quando i bambini si mettevano a fare chiasso. Quando è morto, una decina di anni fa, mi è dispiaciuto e ora lo ricordo con affetto, tutto sommato.
Non credo che mi volesse male, ma le regole dell’ambiente vedevano troppo di malocchio la simpatia che, sia volendo sia anche senza volere, suscitavo negli allievi e ancor più, probabilmente, nelle allieve. Alcuni sono ancora miei amici. Maschi e femmine oramai sessantenni. Ne sono fiero e contento. 

giovanni ghiselli

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