Prometeo crea l'uomo assistito dagli altri dei Sarcofago romano, III sec. d.C. |
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La conoscenza dei fatti storici e di quelli letterari è
indispensabile alla crescita della persona. Cicerone. C. Pavese. Leopardi e il
“secolo di ragazzi”. Alcuni non diventano mai uomini: H. Hesse, Esopo: Prometeo
e gli uomini. Il benessere dell'albero per le sue radici: la storia antiquaria
di Nietzsche. Ancora T. S. Eliot: il senso storico, la maturità della mente, e la
visione d’insieme di tutta la letteratura europea che ha un’esistenza
simultanea. Tutti gli scrittori europei sono saliti sulle spalle di Omero poeta
sovrano. L’aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a
Bernardo di Chartres. U. Eco: ogni parricidio elimina i padri ricorrendo ai
nonni. L’Ulisse di Joyce uccide il
romanzo dell’Ottocento e risale a Omero. Luperini: Insegnare la letteratura oggi: “il genere letterario costituisce il
tramite naturale delle diverse esperienze nazionali”.
Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo afferma Cicerone
nell'Orator[1]:
"Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse
puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum
superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa
sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che
cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli
venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa
buona.
Lo fa notare C. Pavese: "C'è qualcosa di più triste che
invecchiare, ed è rimanere bambini"[2].
Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani
e anziane, infantilmente insensate[3]:
"Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini
che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che
camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in
ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto
da ragazzi, senza altre fatiche[4]
preparatorie"[5].
In fondo ogni uomo è solo "un tentativo, un incamminato.
Ma si deve essere incamminati verso la perfezione, in direzione del centro, non
della periferia"[6].
Il centro è l'individuazione della propria humanitas, il riconoscimento
dell'homo sum.
E’ difficile diventare uomini: “La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno
di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente lui stesso, eppure ognuno
cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le
possibilità… Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole, formiche.
Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della natura verso
l'uomo"[7].
“Ricordate di certo la favola di Esopo, quando Prometeo, su
precisa indicazione di Zeus, plasma uomini e animali. Allorché Zeus si rende
conto che gli animali sono molto più numerosi degli esseri umani, ordina a
Prometeo di disfare un po’ di animali per trasformarli in uomini. E’ questo il
motivo, afferma Esopo, per il quale gli esseri umani che non hanno ricevuto la
loro forma umana sin dall’origine, si ritrovano con un corpo d’uomo e l’anima
d’una bestia”[8].
“Pro;~ a[ndra skaio;n
kai; qhriwvdh oJ lovgo~ eu[kairo~”[9],
la favola è appropriata all’uomo rozzo e brutale
“Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa
sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare,
e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il
suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza
di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia
presente, l'uomo diventa uomo"[10].
"Il benessere dell'albero per le sue
radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di
crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo
scusati, anzi giustificati nella propria esistenza - è questo ciò che oggi si
designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"[11].
E’ l’aspetto antiquario dell’amore per la storia.
“Maturità della mente: a questa occorre la storia e la
consapevolezza della storia”[12].
Il senso storico e
quello letterario di T. S. Eliot impongono una visione d’insieme: "with
a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it
the whole of the literature of is own country has a simultaneous existence and
composes a simultaneous order"[13],
con la sensazione che tutta la letteratura europea da Omero, e, all'interno di
essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha un'esistenza simultanea e
compone un ordine simultaneo.
La
presenza di Omero, particolarmente dell'Odissea, nella letteratura europea è continua. Il poema omerico rimane
uno di quei grandi modelli archetipici che nessuna innovazione può ignorare. In
effetti "ogni atto d'innovazione, e di contestazione dei padri, avviene
sempre attraverso il ricorso a un antenato, riconosciuto migliore del padre che
si tenta di uccidere, e a cui ci si rifà"[14].
Omero è uno di quei giganti sulle cui spalle sono saliti in tanti: "I poetae novi contestavano la tradizione
latina rifacendosi ai lirici greci" continua Umberto Eco e procede citando
un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di
Chartres[15]:
"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris
insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus
acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur
magnitudine gigantea" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di
Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in
modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, comunque sia non
per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in
alto ed elevati da quella grandezza gigantesca. Ogni parricidio ribadisce Eco
"elimina i padri ricorrendo ai nonni… Picasso arriva a sfigurare il volto
umano partendo da una meditazione sui modelli classici e rinascimentali, e
ritorna infine a una rivisitazione di antichi minotauri… E infine, il grande
parricidio compiuto sul corpo storico del romanzo, quello di Joyce, si instaura
assumendo il modello della narrazione omerica. Anche il nuovissimo Ulisse
naviga sulle spalle, o sull'albero maestro, dell'antico"[16].
Nel Sofista di Platone
lo straniero di Elea chiede a Teeteto di non credere che sia diventato quasi un
parricida (241d) se dovrà sostenere, contro il padre Parmenide, che ciò che non
è, in un certo senso, è esso pure, e ciò che è, a sua volta in un certo senso
non è.
Il senso è che il genere dell’essere si specifica con il
genere del non essere.
“L’insegnamento deve mirare a collegare organicamente, attraverso
percorsi tematici e per generi, la letteratura italiana a quelle straniere, nella
prospettiva di una cultura non solo nazionale ma europea… Si tratta di mostrare
le organiche relazioni di ogni letteratura nazionale con le altre e di
individuare i livelli che possano permettere tale collegamento. Ebbene, il
genere letterario costituisce il tramite naturale delle diverse esperienze
nazionali: come, nella lirica, non si darebbero la poesia siciliana e quella
stilnovistica senza i provenzali, e, nel romanzo, I promessi sposi non sarebbero stati possibili senza Ivanhoe, così nella saggistica Montaigne
non avrebbe potuto scrivere i suoi Essais
senza Machiavelli o Guicciardini e, nel poema religioso, Milton il suo Paradise Lost senza la Commedia
di Dante e la Gerusalemme liberata di Tasso”[17].
Il metodo comparativo può essere applicato agli oggetti. L’ensis del suicidio di Didone in Virgilio
e la spada di Aiace in Omero e Sofocle. Lo scudo in Archiloco, Orazio, Tacito. La letteratura
europea diventa organica. Il fine è il potenziamento etico ed estetico dei
giovani i quali, da parte loro, ci curano l’anima.
Anche gli oggetti materiali hanno presenze simultanee. L'ensis
lasciata[18]
da Enea e impiegata da Didone, quale dono richiesto non per essere usato in
quel modo[19],
ossia per il suicidio, risale all'Aiace di Sofocle dove il Telamonio si
uccide con la spada a borchie d'argento (xivfo"
ajrgurovhlon) ricevuta in dono da
Ettore[20],
dopo averla ricordata come e[cqiston belw'n
(Aiace, v. 658), la più odiosa tra le armi, e avere sentenziato che sono
non doni, i doni dei nemici e non sono vantaggiosi: "ejcqrw'n a[dwra dw'ra koujk ojnhvsima"
(v. 665).
Si può pensare anche allo scudo: in Archiloco (fr. 6 D. ), in
Orazio (Odi, II, 7, 10), in Tacito (Germania, 6, 7).
In questo modo Virgilio non solo ci ricorda
una concatenazione tragica dei destini, ma ci riporta, attraverso Sofocle, a
Omero. Insomma accade che la letteratura europea diventi organica “swmatoeidh' sumbaivnei givnesqai”, poiché
succede che si intreccino (sumplevkesqai)
le opere degli autori, e tendano tutte verso un unico fine (kai; pro;" e{n givnesqai tevlo"
). Polibio afferma questo a proposito dei fatti della storia mondiale, unificati
dai Romani in rebus ipsis, e da lui stesso nel racconto[21].
Per lo storiografo protetto dagli Scipioni il fine è l’impero romano. Per noi
insegnanti deve essere l'educazione e il potenziamento mentale, etico ed
estetico dei giovani. Essi da parte loro “ci curano l’anima”[22].
Già gli antichi avevano
coscienza di stare sulle spalle di Giganti del passato. Eschilo. Teocrito, Callimaco,
la poesia post - filosofica, e la cultura come “vasta forma del ricordo” (Bruno
Snell). Terenzio. Leopardi, Musil.
La coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[23] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[24]); Callimaco[25] afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[26], non canto nulla che non sia testimoniato.
La coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[23] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[24]); Callimaco[25] afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[26], non canto nulla che non sia testimoniato.
Bruno Snell
distingue la poesia greca pre - filosofica da quella post - filosofica e mette
in rilievo il fatto che Teocrito e Callimaco costituiscono la fioritura della
nuova poesia, ben diversa da quella arcaica e da quella classica: "Questi
poeti ellenistici erano, per dirla in una parola, post - filosofici, mentre i
poeti arcaici erano pre-filosofici…
La filosofia aveva dunque raggiunto in Grecia i risultati più alti, quando in
un nuovo centro spirituale, in Alessandria d’Egitto, residenza dei Tolomei, si
formò una cerchia di poeti, fra cui Teocrito e il più notevole di tutti, Callimaco,
i quali portarono la poesia a una nuova fioritura. Post - filosofici sono
questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare
teoreticamente il mondo, e nell’esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva
ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente
dall’universale…e si rivolgono al particolare. Post - filosofico è in
particolar modo Callimaco…Egli prende sul serio soltanto le cose già note per
tradizione. Anche se sfrutta a fini scherzosi la ricca tradizione letteraria
greca che gli offriva la biblioteca di Alessandria, c’è in lui un autentico
interesse di studioso per la ricerca e la conservazione erudita…
Callimaco vive a tal
punto (se così si può dire) “di seconda mano”, che si esita ad attribuirgli una
qualsiasi “scoperta”. Ma le sue conquiste hanno un valore così importante per
la cultura europea, che egli può essere considerato uno dei suoi precursori. Cultura
è per lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente
in contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate
l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze
della vita"[27]
Successivamente diversi altri autori hanno riconosciuto il
loro debito all’edificio nobile e antico della tradizione.
Terenzio[28] nel Prologo[29] dell'Eunuchus [30], che contamina l’ Eujnou'co" con il Kovlax di Menandro, dichiara: "Denique/nullum est iam dictum quod non dictum sit prius" (vv. 40 - 41), in fin dei conti, non c'è più nessuna battuta che non sia stata detta prima.
Terenzio[28] nel Prologo[29] dell'Eunuchus [30], che contamina l’ Eujnou'co" con il Kovlax di Menandro, dichiara: "Denique/nullum est iam dictum quod non dictum sit prius" (vv. 40 - 41), in fin dei conti, non c'è più nessuna battuta che non sia stata detta prima.
Robert Musil[33]
attraverso il suo protagonista Ulrich, il quale gioca sempre al ribasso, parla
ironicamente di una "catena di plagi"[34]
che lega le grandi figure del mondo artistico l'una all'altra.
Nelle pagine di un autore moderno si devono leggere in
filigrana altri auctores della tradizione europea. Eliot, Shakespeare e
Seneca. La difesa dell’identità e il “darsi animo”. La tematica senecana
dell’orrore ripresa dal teatro elisabettiano. L’Ecerinis (del 1314) di Albertino Mussato. Ferruccio Bertini e
George Uscatescu.
Eliot trova precise
analogie tra i personaggi di Seneca e quelli del teatro elisabettiano: "Nell'Inghilterra
elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di
Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi
attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è
soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente
assunta. Ho appena bisogno di segnalare... quanto prontamente, in un'epoca come
l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine
montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo
giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo
individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a
causa delle sue possibilità drammatiche... Antonio dice "Sono ancora
Antonio [35]"
e la Duchessa
"Sono ancora Duchessa di Amalfi "[36];
avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea
superest ?"[37].
"E questa crisi socio - politica, ideologica e cosmica,
dell'identità dell'io non produce soltanto la rinuncia, l'isolamento, e, in
sostanza, il non - io, bensì due altre soluzioni egualmente importanti: e cioè,
da un lato un paranoico amore di sé, con conseguente narcisistica
interiorizzazione del mondo esterno, dall'altro la formazione mostruosa di un
super - io che cerca di opporre pari possanza innanzi alle travolgenti forze
nemiche, una esasperazione della volontà e una smaniosa ricerca di gloria. Sta
in questi esiti della crisi dell'identità tutto l'animo barocco, e a questi
offriva modelli tragici in abbondanza, ed un linguaggio già confezionato, sia
il teatro di Seneca che il suo pensiero"[38].
Questo aggrapparsi alla propria identità fa parte
dell’atteggiamento che Eliot definisce del “darsi animo”. Lo individua
nello stoicismo romano di cui Seneca è il rappresentante letterario, in
Shakespeare e in Nietzsche: "Nietzsche è il più cospicuo esempio moderno
del darsi animo. L'attitudine stoica è il rovescio dell'umiltà cristiana"[39].
Ed ecco l’Edipo di Seneca che si dà animo: l'accusa di paura non lo riguarda
poiché ha la grande benemerenza di avere affrontato e confutato la Sfinge: "Nec Sphinga coecis verba nectentem modis/fugi" (Oedipus, v. 92) io non sono fuggito
davanti alla Sfinge che intricava le parole in ciechi stilemi.
Non solo: “Shakespeare, 'simile al mondo ed alla
vita', secondo Kott, riprende la tematica senecana dell'orrore, e l'atrocità
shakespeariana non stupisce, non ci è mai lontana. Titus Andronicus, Riccardo
III, si ritrovano in Medea e Thyestes. Da Titus Andronicus
fino ad Amleto, fino alla crudeltà senza nome della morte di Cordelia. In
Shakespeare, il teatro di sangue che porta l'insegna senecana, raggiunge il suo
punto culminante"[40].
George Uscatescu
ricorda fu Albertino Mussato (1261 - 1329) "il primo scrittore moderno che
volle imitare le tragedie di Seneca. Mussato, scopritore di un "Seneca
tragicus" (Ecerinis [41])
sotto la descrizione dei crimini di Ezzelino[42],
rappresenta i crimini del suo contemporaneo Cangrande della Scala, il tiranno
di Verona e cerca il suo modello nei temi di orrore e di sangue delle tragedie
di Seneca…Si inizia la traiettoria moderna di un Seneca tragicus… che culmina
nella esposizione che ci offre Shakespeare in Titus Andronicus, opera
degna del più specifico Tieste o di Medea. Esposizione tematica del teatro
della crudeltà così formulata: "I must talk of murders, rapes and
massacres/Acts of black night, abominable deeds, / Complots of mischief, treason,
villainies/ Ruthful to hear, yet piteously performed " (V, 1, 63 - 66)"[43],
io devo parlare di assassinii, stupri e massacri, atti della nera notte, azioni
abominevoli, complotti del demonio, tradimenti, malvagità, penosi a udirsi, eppure
eseguiti in modo da fare pietà. Sono parole di Aaron il moro amato da Tamora[44].
Sentiamo Ferruccio Bertini a proposito dell’influenza di
Seneca sulla rinascita preumanistica del genere tragico: “uno dei punti di
svolta decisivi nella storia della rinascita del genere tragico di matrice
classica è senz’altro costituito dalla stimolante scoperta, forse nell’abbazia
di Pomposa, d’un nuovo manoscritto contenente le tragedie di Seneca (eccettuata
l’Octavia), l’Etruscus, che risale alla fine dell’XI secolo, ma la cui famiglia
deve avere avuto origine nel secolo IX. Tale ritrovamento condusse Lovato
Lovati, il promotore del cosiddetto preumanesimo padovano, e l’ambiente
culturale raccolto attorno al suo magistero, a una nuova riflessione sul genere
tragico, tanto critica ed esegetica, quanto, di lì a poco, operativa sul
duplice piano della ricezione e della scrittura emulativa. Proprio in questo milieu si colloca e si giustifica
l’opera di Albertino Mussato, allievo di Lovati, che fu “in grado di
identificare alcuni elementi costitutivi delle tragedie senecane, come il tema
della volubilità della fortuna, l’importanza della varietà metrica, le finalità
pedagogiche, e il concetto - sia pure non perfettamente assimilato - di catarsi
aristotelica”[45].
Se i grandi tragici antichi si ispiravano agli eroi del mito, il Mussato
riscrive e attualizza in chiave moderna l’Octavia
e il Thyestes, contaminandoli, mentre
trae ispirazione per l’argumentum e
per il truculento intreccio della sua tragedia dalla recente storia narrata nei
Cronica Marchie Trivixiane ( composti
fra il 1260 e il 1262) del conterraneo Rolandino da Padova. Nell’Ecerinis egli ripercorre, infatti, la
vita e i criminosi misfatti del tiranno locale, Ezzelino da Romano, novello
Nerone e, al contempo, novello Atreo per l’empietà sanguinaria delle nefandezze
compiute, dalla leggendaria nascita per opera diabolica nel 1194 sino alla
terribile morte (1259) sua e di suo fratello Alberico (1260). L’intento
evidente era quello di riattizzare nei Padovani la fiamma sopita dell’orgoglio
campanilistico, ricordando, con un terribile monito di avvertimento, le
atrocità commesse dagli atroci despoti del secolo passato, nel momento
dell’inquietante ascesa politica di Cangrande della Scala. Per far questo, egli
decide di comporre non un pamplhet
politico dagli intenti parenetici, ma una tragedia a tinte cupe basata sul
modello dell’antico Cordovano, aprendo in tal modo, con lo spirito del
precursore, la grande stagione della tragedia rinascimentale di imitazione
senecana. Del frutto prematuro l’Ecerinis
ha tutti i limiti e i difetti, ma si può convenire con Gustavo Vinay che essa
costituisce “il punto di arrivo di una complessa corrente spirituale, durata
otto secoli, dominata dal gusto per il pauroso e per il macabro, ma sorretta
anche da un profondo desiderio di liberazione e di pace: di quella pace che il
Mussato e tanti altri come lui cercavano in Boezio e, perché no, nel più antico
consolatore romano, Seneca[46]”[47].
Il latino e il greco come corrente sanguigna della
letteratura europea. Bodei: gli assi di riferimento.
Per chiarire la necessità delle basi classiche, senza le
quali c'è l'abisso del vuoto, posso citare un'altra "verità" di un
saggio successivo[48]
di T. S. Eliot: "Il latino e il greco[49]
costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come un solo, non
già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che
possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia "[50].
E Leopardi: “Qualunque stile moderno ha proprietà, forza, semplicità,
ha sempre sapore di antico, e non par moderno, e forse anche perciò si riprende,
e volgarmente non piace” (Zibaldone, 1988).
Naturalmente il greco e il latino sono le fondamenta del
lavoro comparativo inteso a dare ai giovani un'educazione nello stesso tempo
classica ed europea. Il greco e il latino sono i nostri “assi di riferimento”: “Siamo
sicuri che sia possibile pensare o scrivere una storia priva di assi di
riferimento?... In fondo non siamo affatto tenuti a scegliere fra storie
asettiche, depurate da ogni presupposto, e filosofie e utopie a disegno, quanto,
semmai, a rendere esplicite le premesse nascoste e le conseguenze ipotizzabili
di ogni narrazione con pretese di comprensione degli eventi, così da poterle
sottoporre a un ragionevole esame critico e comparativo”[51].
Massimo Cacciari: opporre la topologia alla cronologia. I
classici contro le mode. Classico è quanto non passa di moda. Márai: quelli che
parlano per luoghi comuni hanno sempre ragione (La donna giusta). Bruno Vespa. Goethe e Leopardi. L’artista libera
il mondo dai ceppi dei luoghi comuni volgari. La metafora contro il luogo
comune. La metafora come bomba atomica mentale. Pregi del linguaggio. Aristotele,
Leopardi e Thomas Mann.
Massimo Cacciari in un seminario tenuto a Bologna nel
novembre del 2000 consigliava di opporre la topologia alla cronologia.
Successivamente il filosofo veneziano ha scritto: "Impossibile
sistemare i classici secondo i rassicuranti metodi della cronologia. Soltanto
una considerazione topologica rende loro "giustizia". Come il
loro Nunc non è il nunc del modo, ma il Nunc stans,
così il loro tempo non è quello della cronolatria storicistica, ma quello del
"luogo", tutt'uno col "luogo". Il classico è insieme di topoi;
i classici sono questi "luoghi". E' come se nel classico il tempo si
facesse "luogo". Perciò i classici in - sistono. Perciò i
classici fanno epoca "[52].
Classico, aggiunge Traina, è "uno scrittore che ha parlato per noi"[53].
In un intervento più recente[54]
Cacciari ha ribadito che i classici si dispongono per topologie, non secondo
cronologie. Gli autori Greci e Latini hanno fondato luoghi privilegiati. La funzione
degli auctores sta nell'avere la
forza polemica nei confronti dell'ora, e tale duvnami"
devono trasmettere alla scuola affinché questa non sia una fabbrica
impiegatizia[55]
e i giovani che la frequentano non siano degli "occupati", ossia
degli invasi dalle mode del momento, ma sappiano reagire criticamente a queste.
Infatti se lo studio è soltanto una rincorsa del nunc, allora davvero il
classico è il supervacuum.
Roberto Pretagostini in un convegno tenuto a Torino - Ivrea[56]
ha affermato che i pensieri formulati dall'autore classico vanno al di là del
contingente.
La moda allora potrebbe
costituire un test: è classico quanto non passa di moda.
La moda è infatti la sorella della morte. Nel dialogo di
Leopardi, la Moda dice alla Morte: “io sono la moda, tua sorella”. E la Morte: “Mia
sorella?” “Sì - risponde la Moda -: non ti ricordi che siamo nate dalla
caducità?... E so che l’una e l’altra tiriamo parimenti a disfare e a rimutare
di continuo le cose di quaggiù…la nostra natura e usanza comune è di rinnovare
continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al
sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle
masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io on sono però mancata
e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia
sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle
bazzecole che io v’appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini
con istampe roventi…”[57].
Si pensi ai tatuaggi, alla chirurgia estetica e ad altre schifezze del genere
La cultura classica, della
quale una buona scuola deve dotare i giovani, può dare la forza di opporsi alla
macina quotidiana della pubblicità, alle chiacchiere dei tessitori di vento, agli
spacciatori della droga dei luoghi comuni, quelli volgari e servili, ai personaggi[58]
emblematici e rappresentativi di questa età "vaga di ciance, e di virtù
nemica"[59].
Quelli che parlano per luoghi comuni “hanno
sempre ragione. E forse il mondo è così inconcepibilmente ignobile e senza
speranza proprio perché il luogo comune è infallibile, e solo il genio e
l’artista hanno il coraggio di sbeffeggiarlo, di mettere in luce quanto in esso
vi sia di morto, di contrario alla vita…[60].
Si pensi a Bruno Vespa
che poche ore dopo la strage della Banca dell’Agricoltura del dicembre 1969, disse
a un telegiornale: “Valpreda dunque è un colpevole”. E fece carriera. All’epoca
chi diceva: “a parte tutto, non credo che quel disgraziato ballerino sia stato
in grado di organizzare un massacro del genere” era visto di malocchio quale
pericoloso estremista e, se insegnava, rischiava sanzioni. Poi la storia ha
sbugiardato Vespa, che tuttavia ha continuato a ripetere i luoghi comuni
funzionali al potere e a fare carriera.
“Non c’è nulla che mi
faccia perdere la calma come vedere venire avanti uno con un luogo comune
insignificante, quando io parlo con il cuore in mano”[61].
“Il bruto è più tenace
servo dell’assuefazione”[62].
“Questo scambiare modi
di dire e realtà è, per quanto ho osservato, un caratteristico segno
d’ignoranza e di infimo livello culturale”[63].
L’artista si oppone ai luoghi comuni della volgarità: “Ogni
grande libro spira questo amore per i destini dei singoli individui che non si
adattano alle forme che la collettività vuole loro imporre… per di più una
poesia col suo mistero trafigge da parte a parte il senso del mondo, attaccato
a migliaia di parole triviali, e ne fa un pallone che se ne vola via. Se questo,
com’è costume, si chiama bellezza, allora la bellezza dovrebbe essere uno
sconvolgimento mille volte più crudele e spietato di qualunque rivoluzione
politica! [64]".
Sentiamo Pasolini: “Io cerco di creare un linguaggio che
metta in crisi l’uomo medio, lo spettatore medio, nei suoi rapporti con il
linguaggio dei mass media…nel momento stesso in cui odio le istituzioni (per
esempio le istituzioni e l’ingiustizia italiana del 1969, i prodotti della
televisione, della stampa, la letteratura convenzionale) e lotto contro di esse,
provo un’immensa tenerezza per questa istituzione della lingua italiana in
quanto koinè, per questa lingua
italiana nel significato più esteso del termine, perché è proprio all’interno
di questo quadro che mi viene concesso di innovare, ed è tramite questo codice
che fraternizzo con gli altri; quel che più importa nell’istituzione è il
codice che rende possibile la fraternità…il codice, e soprattutto il codice
linguistico, è la forma esterna indispensabile a questa fraternità umana che
provo sempre in me come qualche cosa che ho perduto”[65].
«È in questo senso che un poeta dice: «La realtà è un
luogo comune dal quale sfuggiamo con la metafora». La metafora letteraria
stabilisce una comunicazione analogica tra realtà assai lontane e differenti, dando
intensità affettiva all’intelligibilità che produce. Generando onde analogiche,
la metafora supera la discontinuità e l’isolamento delle cose»[66].
«Le due realtà, identificandosi nella metafora, cozzano
l’una con l’altra, si annullano reciprocamente, si neutralizzano, si
materializzano. La metafora diviene la bomba atomica mentale»[67].
Sentiamo Aristotele e Leopardi sui pregi del linguaggio.
Nella Retorica Aristotele
dà questo suggerimento: «bisogna rendere peregrino il linguaggio (dei' poie'n xevnhn th;n diavlekton), poiché
gli uomini sono ammiratori delle cose lontane» (III, 1404b).
La metafora del resto possiede in massimo grado chiarezza (to; safev~), piacevolezza (to; hJduv) e stranezza (to; xenikovn), e non è possibile prenderla
da altri (Retorica, III, 1405a).
Nello Zibaldone di Leopardi leggiamo: «le parole
lontano, antico, e simili sono
poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste, e indefinite, e non
determinabili e confuse» (1789). E, più avanti (4426): «il poetico, in un modo
o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel
vago».
Il canto corale, a più voci, entra in questa poetica del
vago e dell’indefinito.
Il coro infatti è "parte di quel vago, di
quell'indefinito ch'è la principal cagione dello charme dell'antica poesia e bella letteratura. L'individuo è sempre
cosa piccola, spesso brutta, spesso disprezzabile. Il bello e grande ha bisogno
dell'indefinito, e questo indefinito non si poteva introdurre sulla scena, se
non introducendovi la moltitudine" (2804).
Leopardi apprezza molto anche la brevità degli autori. “Quanto
una lingua è più ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno parole per
esprimersi, e viceversa quanto è più ristretta, tanto più le conviene
largheggiare in parole per comporre un’espressione perfetta. Non si dà
proprietà di parole e modi senza ricchezza e vastità di lingua, e non si dà
brevità di espressione senza proprietà” (Zibaldone,
1822).
“Non era molto ciò che egli sapeva, ma un uomo intelligente
sa con dieci parole dire meglio che uno sciocco con cento”[68].
giovanni ghiselli
[1]
Del 46 a. C.
[2]Il mestiere di vivere, 24 dicembre 1937.
[3]Al
capitolo 58 ricorderemo l'attardato bambino pargoleggiante dell’età d’argento
di Esiodo.
[4]
Di nuovo il topos della fatica necessaria (cfr. cap. 3).
[5] Dialogo di
Tristano e di un amico (1832). E’ una delle Operette morali delle quali l’autore scrive: "Così a scuotere
la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del
ridicolo ne' dialoghi e novelle
Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone,
1394). Al capitolo 66 citerò altre parole di Tristano all’amico.
[6]
H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro (del 1943), p. 81.
[7]
H. Hesse, Demian (del 1919), p. 54.
[8]
Francesco de Stisi e Maria Leone, Luna,
p. 172.
[10]
F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, p. 83 e p. 87.
[11]
F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, p. 99.
[12]
T. S. Eliot, Che cos’è un classico?
(del 1944) In T. S. Eliot, Opere, p. 965.
[14]
U. Eco, Di fronte ai classici, p. 124.
[15]
Filosifo scolstico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su Porfirio.
[16]
U. Eco, Di fronte ai classici, p. 132.
[17]
R. Luperini, Insegnare la letteratura
oggi, p. 100 e p. 146.
[18]
Eneide, IV, 507.
[21]
Polibio, Storie, I, 3, 4.
[22]
F. Dostoevskij, L’idiota, p. 84.
[23] 525 - 455 a. C.
[24]
Ateneo (II - III sec. d. C. ) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[25]305 ca - 240ca a. C.
[26] Fr. 612 Pfeiffer.
[27]
B. Snell, Il giocoso in Callimaco in La cultura greca e le origini del pensiero
europeo”, pp. 371 sgg.
[28] 190ca - 159ca a. C.
[29] "Luogo
privilegiato della commedia dal punto di vista delle informazioni date, siano
esse di trama o di poetica" (G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 1,
p. X9.
[30] Del 161 a. C.
[31] 1798 - 1837.
[33] 1880 - 1942.
[35]
"I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606 - 1607),
III, 13.
[36]Da
La duchessa di Amalfi (del 1614), di J. Webster (1580 - 1625).
[37]Shakespeare
e lo stoicismo di Seneca, (del 1927) in T. S. Eliot Opere, p. 800.
[38]
M. Pagnini, Seneca e il teatro elisabettiano, in "Dioniso" LII,
1981, p. 412,
[39]
Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot, Opere, p. 799.
[40]
George Uscatescu, Seneca e la tradizione del teatro di sangue, "Dioniso"
1981, p. 387.
[41]
Del 1314.
[42]
Crudelis ut Nero (ndr)
[43]
George Uscatescu, op. cit,. p. 374
[44]Tante, troppe parole che fanno pensare a questo
giudizio di Nietzsche: "Shakespeare. paragonato con Sofocle, è come una
miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è
soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi
dimenticare il suo valore come metallo"
Umano, troppo umano II vol., p. 57.
[45]
S. Pittalunga, Modelli classici e
filologia nell’Ecerinis di Albertino Mussato, in La scena interdetta Napoli 2002, pp. 245
- 246, in part. p. 246…Sulla riscoperta di Seneca tragico nel Medioevo cfr. inoltre,
del medesimo studioso, Mestissima mortis imago (note su Seneca tragico nel Medioevo e nell’Umanesimo), in La scena interdetta cit. pp. 257 - 265.
[46]
G. Vinay, Studi sul Mussato, “Giornale
Storico della Letteratura Italiana”, 126 (1949), p. 159.
[47]
F. Bertini, XXVI Convegno Internazionale, Tragedie
dell’onore nell’Europa Barocca, Roma, 12 - 15 settembre 2002. pp. 37 - 39.
[48] Che cos'è un
classico?, 1944.
[49] Io metterei prima il
greco.
[50] In T. S. Eliot, Opere,
p. 975.
[51]
R. Bodei, La speranza dopo il tramonto
delle speranze”, in “Il Mulino”, 333, 1991.
[52] M. Cacciari, Brevi
inattuali sullo studio dei classici, in Di fronte ai classici, p. 27.
[53] Io e il latino in Di
fronte ai classici, p. 263.
[54] Dell' ottobre 2002
[55]
"Lo Stato", afferma Nietzsche, "vuole allevarsi quanto prima
utili impiegati". Sull'avvenire delle nostre scuole (1872), p. 27.
[57]Operette
morali, Dialogo della Moda e della Morte.
[58]
O meglio gentucola scaltra che i mass media talora trasformano in
personaggi di rilievo, se non addirittura in idoli.
[59]
G. Leopardi, Il pensiero dominante (del 1831), v. 61 -
[61]
J. W. Goethe, I dolori del giovane
Werther, 12 agosto 1771.
[62]
G. Leopardi, Zibaldone, 1762.
[63]
T. Mann, Giuseppe il nutritore, p. 42.
[64]
R. Musil, L’uomo senza qualità, p. 355.
[65]
P - P. Pisolini, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1433
[66]
E. Morin, La testa ben fatta, p. 94.
[67]
J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p.
48.
[68]
T. Mann, Il giovane Giuseppe, p. 176.
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