NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 7 maggio 2015

L'inizio del lavoro di insegnante

Carmignano di Brenta
Racconto la partenza per il Veneto dove emigrai per iniziare  il mio lavoro di insegnante. Seguirà l’incontro con il preside della scuola media Ugo Foscolo di Carmignano di Brenta.

Epigrafe 
Il preside padrone della cosiddetta buona scuola potrebbe  essere  un servo e un cane da guardia del potere: avrà la possibilità di dare  giudizi politici sulla disponibilità dei docenti ad asservirsi, ad assimilarsi a lui, un uomo, o una donna che, in non pochi casi,  ha scelto di fare il burocrate, obbedire e  comandare, piuttosto che studiare,imparare, insegnare, educare i giovani.
Non sono tutti così, ovviamente. Mi sono  toccati anche dirigenti che erano  persone capaci e  per bene, a onore del vero. Presidi di tale fatta non vogliono comandare e credo che si opporranno al disegno autoritario di questo  governo così poco autorevole. Io ho sempre cercato di educare i giovani,  non ho mai voluto comandare e non ho mai sopportato di essere comandato da chicchessia. Così ho visto fare a tutte le persone buone e intelligenti 

La mattina del 28 ottobre 1969, a 24 anni 11 mesi e 14 giorni, ricevetti la nomina a professore di lettere nella scuola media statale Ugo Foscolo di Carmignano di Brenta in provincia di Padova. Partii da Pesaro alle due del pomeriggio. Era una tipica bella giornata autunnale: dolce, serena, con il sole appena velato. 
Quando fui nell’autostrada dentro la Mini Minor verde e bianca, carica di libri e bagagli, mi sembrò di viaggiare verso una malinconica vecchiaia invece di sentirmi diretto a una fase di vita più autonoma, responsabile, attiva.
A Bologna, l’occhio del giorno d’oro era già declinato di molto nel rosa-grigio del cielo; a Ferrara, verso le cinque Elio si trovava vicino alle foglie vizze degli alberi e mi ricordava il piumino con cui la mamma e le zie si spargevano la cipria sulle guance ormai stanche. Il cielo intorno al sole sembrava la carne incipriata di una bella donna non più giovane né sicura di piacere, sebbene di fatto ancora attraente. 
Amo ricordare questo viaggio perché me ne vengono echi di tante paure superate e di molti sogni realizzati, dopo tutto. 
Ma in quel tempo lontano, le paure erano più urgenti dei sogni. Ancora non sapevo, ma in qualche modo già lo sentivo e presoffrivo il fatto che avrei dovuto lottare strenuamente contro capi di istituto tanto incolti quanto dispotici, e contro certi colleghi molto simili a quei presidi e troppo diversi da me.
Il primo problema era trovare il luogo assegnatomi dal destino, qualunque e dovunque esso fosse. Non conoscevo l’ubicazione del paese dove sarei rimasto chissà quanti mesi o anni della mia vita: la nomina infatti era a tempo indeterminato.
Intanto dovevo arrivare a Padova e domandare su quale strada proseguire. 
L’aria a occidente era rosa, di un rosa non compatto bensì farinoso, come un cosmetico che, sparso dal sole in gran copia, imbellettava il cielo e truccava la terra senza del resto riuscire a nasconderne i solchi, le rughe, le ferite, le cicatrici: segni dei numerosi e dolorosi parti che avevano sfinito la grande madre ed esaurito la sua potenza generatrice. 
Dopo Ferrara, il dio, da arancione, divenne rosso sangue, poi si scolorì, mentre anche l’aria e la terra si stingevano e diventavano grigie, anemiche, tetre, come la faccia di un uomo vecchio, malato e abbandonato da tutti. Alle cinque e mezzo il sole si assimilò al grigio dell’atmosfera e del suolo, quindi scomparve, Subito dopo cominciò a fluttuare una nebbia leggera, sottile, incolore, che non faceva sparire ma uniformava e confondeva tutte le cose. L’oscura palpebra della notte stava per chiudersi negando ogni luce fuori di me. Anche dentro non ne avevo tanta. 
A San Pelagio, nei pressi di Padova, mi fermai sconfortato. Sentii il grido acuto e penoso di un uccello che annunciava la  lunga stagione del freddo, del buio, della mia solitudine. E mi si strinse il cuore.


gianni ghiselli continua

1 commento:

  1. L'educazione non si impone , ma raccoglie la parte migliore di ogni scolaro e la valorizza . Come il vestito per il sarto....a ognuno il suo ruolo,i dirigenti ne hanno uno già abbastanza gravoso. Molti lo svolgono con grande attenzione e bravura. Condivido assolutamente la tua opinione,caro Gianni. Lo strapotere porta sempre conseguenze nefaste. Grazie per il tuo blog. Giovanna Tocco

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