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lunedì 25 maggio 2015

Lo studio della storia. Parte seconda

Ulisse e le sirene
mosaico proveniente da Dougga, II sec d.C.

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Alcuni personaggi appartengono tanto alla storia quanto alla letteratura che attinge alla storia, e al cinema che fa uso di entrambe.
Ulisse è un personaggio chiave della letteratura, Alessandro Magno della storia. L’uomo che volle farsi re di John Huston.
Baudelaire: Alcibiade, Catilina e Cesare quali splendidi tipi del dandismo. Andrea Sperelli di D’Annunzio è camaleontico come l’Alcibiade di Plutarco, di Cornelio Nepote, di Montaigne, e quanto il Catilina di Cicerone. Alcibiade, Catilina e Cesare sono seduttori tipici. Hanno un antecedente in Odisseo, con l’aggiunta della bellezza. Alcibiade nel Simposio di Platone, quindi in Nietzsche. Alcibiade prefigura anche il don Giovanni di Kierkegaard. La Penna: il ritratto paradossale mescola vizi e virtù. Catilina, Othone, Enrico V, papa Alessandro VI e altri.

L’antico greco più presente nella cultura europea è forse Ulisse: “Ulisse è uno di quei personaggi che dalle profondità del tempo giungono fino a noi, perché è un personaggio chiave”[1].
Alessandro Magno è uno dei personaggi chiave della storia.
Il metodo mitico, fatto di comparazioni tra antico e moderno, è plausibile anche per gli attori delle vicende storiche; essi possono apparire contemporaneamente, e problematicamente, sia positivi sia negativi, e appartenere tanto alla storia quanto alla letteratura. Si pensi al Serse dei Persiani di Eschilo, al Giulio Cesare, al Coriolano, all’ Antonio e Cleopatra di Shakespeare, al Caligola di Camus (del 1938), oppure al Catilina (1848), o al Giuliano imperatore (1896) di Ibsen. Si può pensare ai film su Scipione l’Africano e Annibale, su Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra, o sull’Iliade, su Leonida alle Termopili, su Alessandro Magno.
O anche Amleto. La storia di Amelethus si trova già nelle Gesta danorum di Saxo Grammaticus che risalgono alla fine del XII secolo.
Amleto è presente anche nella psicologia
Freud ne L'interpretazione dei sogni sostiene che Amleto è un giovane bloccato dalla coscienza che lo zio ha attuato quanto avrebbe voluto fare lui stesso: " Secondo la concezione tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d'uomo la cui vigorosa forza d'agire è paralizzata dalla forza opprimente dell'attività mentale ("la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero", Amleto, III, 1). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra nell'ambito della nevrastenia. Senonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce nell'adempimento del compito che lo spettro del padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull'uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l'uomo che gli mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi"[2].

Voglio fermarni un momento sulla presenza dell’eroe macedone in un film, non recente, di John Huston. Si tratta di L’uomo che volle farsi re (The man who would be king, 1975) tratto da un racconto di Kipling[3].
Vi si trovano elementi di storia e di letteratura.
Due avventurieri (Sean Connery e Michael Caine), ex sergenti dell’esercito britannico e massoni, partono dall’India di fine Ottocento per cercare fortuna nel Kafiristan. Quando vi arrivano, aiutano il capo di un villaggio a sconfiggere una tribù nemica, e uno dei due, Sean Connery, rimasto illeso da un colpo di freccia infilatosi nella bandoliera, viene acclamato dagli indigeni come Sikander.
Allora domanda all’interprete: “what does Sikander mean?”, che cosa significa Sikander? L’indigeno risponde, nel suo incerto inglese: “Sikander a god, come here long ago from the West”, Sikander è un dio che venne qui tanto tempo fa dall’Ovest. Sikander dunque è Alessandro Magno: l’avventuriero ricorda di avere avuto una notizia del genere da Kipling di cui il regista ha fatto un personaggio del film.
Sikander builded great city Sikanderul, high in mountains, sit in throne”, ha costruito una grande città alta tra le montagne, e si è fatto re, continua l’interprete. All people worship him, tutti lo adoravano. Ma poi disse che doveva andare a Oriente; la gente si strappava i capelli e i vestiti. So Sikander promised to send back son, così promise di mandare indietro il figlio. E ora ha mantenuto la promessa: il guerriero giunto a riportare vittorie è il figlio di Alessandro Magno.
Quindi interviene il secondo avventuriero: “328 a. C. L’ha detto l’enciclopedia”.
 In questo film entrano pure le Baccanti di Euripide con l’incenerimento di Semele provocato dalla gelosia di Era. Viene ricordato da Dioniso nel prologo (vv. 3 - 6). 
Alessandro
mosaico di Pompei

Il presunto Sikander vede una bella ragazza e le chiede il nome: Roxane, risponde lei tenendo gli occhi bassi. Allora l’interprete: “Girl afraid”, ha paura. Of what?, di che? Domanda Sean Connery. E l’indigeno: If god takes a girl, she catches fire and go up in smoke, se un dio tocca una ragazza, ella piglia fuoco e svanisce in fumo, God’s heart, a burning torch, il cuore di un dio è come una torcia. His veins run fire, not blood. If god makes love with a girl, she goes in one flash, not ever ashes left, nelle sue vene scorre fuoco, non sangue. Se un dio fa l’amore con una donna, lei subito sparisce in un lampo, non rimangono nemmeno le ceneri.
E lo pseudo Alessandro: “I bet a jealous goddess made that up”, scommetto che è stata la trovata di una dea gelosa.

Baudelaire[4] compila una breve lista dei rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi"[5]. Poco più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo: " è l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza. . . è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia"[6].
A questa lista è possibile aggiungere il Petronio di Tacito, e pure personaggi della letteratura quali Dorian Gray di O. Wilde, o Andrea Sperelli di D'Annunzio.
Il protagonista di Il Piacere[7] può trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza: "Il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio… Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse del loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[8]. L'esteta dannunziano pensa di sé: "Io sono camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge"[9].
Plutarco aveva scritto di Alcibiade che per accalappiare le persone egli era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra". . . tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile, in quanto non è in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato: " jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h\n ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton" : a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"), gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo"); in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai; poluteleiva/ th;n Persikh;n megaloprevpeian"[10]). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o, per dirla con Cornelio Nepote[11], era "temporibus callidissime serviens "[12] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.
Anche Montaigne mette in rilievo questo aspetto di Alcibiade: "Ho spesso notato con grande ammirazione la straordinaria facoltà di Alcibiade di adattarsi tanto facilmente a usanze così diverse, senza danno per la sua salute: oltrepassando ora la sontuosità e la pompa persiana, ora l'austerità e la frugalità spartana; così moderato a Sparta come dedito al piacere nella Ionia"[13].
Cicerone nell'orazione Pro Caelio[14] attribuisce a Catilina dati del carattere simile a questi e ad altri di Alcibiade. La sua indole multiforme sapeva adeguarsi alle circostanze : "Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare[15] suam naturam et regere ad tempus atque huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere " (Pro Caelio, 6, 13), quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente. Alcibiade, Catilina e Cesare sono seduttori tipici. Hanno un antecedente in Odisseo, con l’aggiunta della bellezza.
Sallustio mette in rilievo la compresenza di vizi e virtù nel ritratto di Catilina: “Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere, ibique iuventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credibile est. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator, alieni adpetens sui profusus, ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat…Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant” (5). Catilina, nato da una razza nobile, fu uomo di grande forza di animo e di corpo, ma di carattere malvagio e vizioso. A costui fin dalla giovinezza furono care le guerre intestine, le stragi, le rapine, la discordia civile, e in esse allenò la sua gioventù. Il corpo era capace di sopportare la fame, il freddo, la veglia, oltre ogni credere. Animo audace, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di tutto quello che voleva, bramoso della roba altrui, prodigo della propria, ardente nelle passioni; abbastanza eloquente, poco assennato. Animo immane, bramava sempre lo smisurato, l’inaudito, l’irraggiungibile…Lo stimolavano inoltre i costumi corrotti della città, che due vizi pessimi e opposti travagliavano: il lusso e l’avarizia.
Alcibiade, Catilina e Cesare sono seduttori tipici. Hanno un antecedente in Odisseo, con l’aggiunta della bellezza.

Nel Simposio di Platone Alcibiade racconta di avere detto a Socrate: "Su; ejmoi; dokei'". . . ejmou' ejrasth;" a[xio" gegonevnai movno""(218c), tu mi sembri l'unico amante della mia levatura. In questo caso però l'uomo erotico, che sullo scudo si era fatto incidere non stemmi gentilizi, "ajll j [Erwta keraunofovron"[16], ma un Eros portatore del fulmine, fece cilecca, in quanto Socrate non fu disposto ad accettare un cambio sfavorevole, concedendogli un lucro spropositato, poiché, gli disse, tu cerchi di barattare una bellezza apparente con una vera e di scambiare oro con rame. E' lo stesso Alcibiade che lo racconta[17] alludendo all'episodio dell'Iliade[18] nel quale il licio Glauco scambia le sue armi d'oro con quelle di rame dell'argivo Diomede. Questo dovè essere uno dei pochissimi insuccessi di quest’ uomo fortemente seduttivo, se è vero quanto racconta Plutarco, ossia che chiunque trascorresse la giornata in sua compagnia non poteva avere un carattere impenetrabile nè una natura inespugnabile dal suo fascino ("tai'". . .  cavrisin oujde;n h\n a[tegkton h\qo" oujde; fuvsi" ajnavlwto"")[19].
Anche Nietzsche mette Alcibiade nel numero ristretto dei seduttori: "allora nascono quegli uomini magicamente inafferrabili ed impenetrabili, predestinati alla vittoria e alla seduzione, le cui più belle espressioni sono Alcibiade e Cesare (ai quali aggiungerei di buon grado Federico II di Hohenstaufen, che secondo me è il primo Europeo), e forse Leonardo da Vinci, tra gli artisti. Essi fanno la loro comparsa proprio in quelle epoche, il cui proscenio è occupato dal tipo più debole col suo desiderio di riposo: i due tipi sono in stretto rapporto e vengono originati dalle medesime cause"[20].
Alcibiade è dunque il modello dell’esteta seduttore che prefigura Catilina, Sperelli, e pure l'esteta di Kierkegaard, il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio della carne"[21] che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola eternità"[22].
La Penna qualifica come “paradossale” questo tipo di ritratto che raffigura un uomo dissoluto, magari anche criminale, eppure capace.
“Per esempio, uno splendido calco del ritratto di Catilina, forse il più splendido dopo quelli fatti da Tacito, è il ritratto del papa Alessandro VI dipinto dal Guicciardini poco dopo l’inizio della Storia d’Italia (I 2): “perché in alessandro sesto…fu solerzia e sagacità singolare, consiglio eccellente, efficacia a persuadere meravigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine e destrezza incredibile; ma erano queste virtù avanzate di grande intervallo da’ vizi: costumi oscenissimi, non sincerità non vergogna non verità non fede non religione, avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudeltà più che barbara e ardentissima cupidità di esaltare in qualunque modo i figliuoli i quali erano molti”…. Se il Guicciardini ci ha dato un ritratto così affascinante del principe catilinario, il ritratto dell’altro tipo si potrà riconoscere, in qualche misura, in un testo molto più celebre, cioè nella tragedia di Shakespeare su Enrico V, il principe dissipato, gozzovigliatore[23], che diviene re saggio e capo di eserciti valorosi. A guisa di commiato è opportuno qui riportare, non solo per la sua grazia ma anche per la sua profondità, un passo celebre in cui Shakespeare cerca di spiegare come grandi qualità potessero celarsi nel principe libertino (atto I, scena 2[24], 60 sgg, ): “la fragola cresce sotto l’ortica e le bacche salutari prosperano e maturano meglio in compagnia di frutti di qualità inferiore: così il principe celò il suo spirito di osservazione sotto le apparenze del libertinaggio, e questo spirito senza dubbio deve aver fatto come l’erba estiva che cresce di notte non vista, ma proprio allora più soggetta alla forza di sviluppo che le è insita” (trad. di F. Baiocchi). E’ probabile che Shakespeare non debba nulla alla tradizione antica del ritratto “paradossale” di tipo “petroniano”. Al “paradosso” della compresenza di vizi e virtù egli aggiunge un altro “paradosso”, secondo cui il vizio può essere condizione favorevole alla segreta crescita della virtù; chi mai nell’antichità avrebbe potuto accettarlo? Non è poca cosa, comunque, che storici antichi quali Sallustio e Tacito avessero messo a fuoco il problema: il loro travaglio di pensiero, che coglie le contraddizioni di una realtà sempre più ricca ed oscura, non li porta troppo lontano dal genio del poeta moderno”[25].
La Penna inserisce in questa lista anche Silla, Cleopatra, Otone e altri.


Gianni Ghiselli




[1] J. Pierre Vernant, C’era una volta Ulisse, p. 5.
[2]S. Freud, L'interpretazione dei sogni, pp. 250 - 251.
[3] 1865 - 1936.
[4] 1821 - 1867,
[5]Curiosità estetiche (uscite postume nel 1869).
[6] In Guglielmino/Grosser, Il sistema letterario. Ottocento, p. 1152.
[7] Del 1889.
[8]D'Annunzio, Il Piacere , pp. 42 - 43.
[9]D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.
[10]Plutarco, Vita di Alcibiade, 23, 4 - 5.
[11] 99 ca - 24 ca a. C.
[12]Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades , 1, 4.
[13] Montaigne, Saggi, p. 221.
[14] Del 56 a. C.
[15] Si pensi all’Odisseo poluvtropon di Odissea 1, 1, tradotto da Livio Andronico con versutum.
[16]Plutarco, Vita di Alcibiade, 16.
[17] Simposio 218e.
[18]VI 234 - 236.
[19]Vita di Alcibiade, 24.
[20]Di là dal bene e dal male, p. 113.
[21] S. Kierkegaard, Enten - Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 156.
[22]S. Kierkegaard, Enten - Eller , p. 40.
[23] Cfr. Dostoevskij, I demoni: “tutto ciò somigliava alla giovinezza del principe Harry che gozzovigliava con Falstaff” (p. 43).
[24] The strawberry grows underneath the nettle, / And wholesome berries thrive and ripen best/Neighbour’d by fruit of baser quality: /And so the prince pbscur’d his contemplation/Under the veil of wildness; which, no doubt, /Grew like the summer grass, fastest by night, /Unseen, yet crescive in his faculty” Si tratta in realtà della scena 1 dell’atto II. Ndr.
[25] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, pp. 220 - 221. 

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