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Esporrò questi capitoli e i successivi nella conferenza
che terrò nel convegno Museion di Sant’Angelo dei Lombardi il 23 maggio
1. Il metodo mitico (T. S. Eliot) è un metodo comparativo.
Nel preparare questo percorso mi sono avvalso della conoscenza degli
autori, antichi e moderni, che ho maggiormente approfondito, e della mia lunga
pratica di insegnamento: insomma ho utilizzato "una lunga esperienza delle
cose moderne et una continua lezione delle antique"[1].La ricerca di congrui e frequenti parallelismi tra la
modernità e l'antichità, affinché questa non appaia come un mondo separato dal
nostro, mi ha portato all'adozione del metodo mitico che dopo tutto è un metodo
comparativo.
In una famosa recensione[2]
all'Ulisse di Joyce[3],
T S. Eliot definiva il metodo mitico, in
opposizione a quello narrativo, come il modo di controllare, di dare una forma
e un significato all'immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia
contemporanea. "Instead of narrative
method, we may now use the mythical method ", invece del metodo
narrativo possiamo ora avvalerci del metodo mitico. Questo implica la
conoscenza della tradizione e di non poche fasce della letteratura europea.
Ancora: “In quanto opera d’arte, l’opera d’arte non può
essere interpretata; nulla c’è da interpretare; possiamo soltanto criticarla
secondo i modelli classici, paragonandola ad altre opere d’arte; e, quanto a
“interpretazione”, il compito principale è la presentazione di pertinenti fatti
storici che il lettore non è tenuto a conoscere”[4].
2. Le rovine. Salvatore Settis: le rovine sono la cosa più
viva della storia..
Alla fine di The Waste Land [5]
Eliot afferma:"These fragments I have shored against my ruins"
(v. 430), con questi frammenti ho puntellato le mie rovine.
Le quali non
significano solo decadenza: "Le rovine sono la cosa più viva della storia,
perché vive storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione,
ciò che è rimasto sotto forma di rovine"[6]. Secondo Salvatore
Settis nella nostra civiltà domina "il pathos delle rovine, di una
frattura irreparabile che è necessario sanare: rinascere, insomma, come
condizione indispensabile della tradizione e della memoria"[7].
3. Elogio della tradizione e necessità della fatica. Povno~ e labor. Esiodo. Sofocle.
Eracle al bivio. Orazio. Il sogno di
Alessandro Magno in Arriano. Il discorso del condottiero macedone sul fiume
Ifasi. Alessandro avrebbe procurato fatica anche ai poeti. Dante e il “poema sacro”.
Machiavelli e il dovere di “insudare nelle cose”. Leopardi e il prezzo di
un’opera egregia (Il Parini ovvero della
gloria).
L'autore di La
terra desolata in un precedente scritto di critica[8]
aveva pure affermato che la
tradizione non è un patrimonio che si eredita ma, "if you want it, you
must obtain it by great labour ", se uno vuole impossessarsene, deve
conquistarla con grande fatica.
Questa è una dichiarazione topica: Esiodo dice che
davanti al valore gli dei hanno posto il sudore: "th'" d j ajreth'" iJdrw'ta qeoi;
propavroiqen e[qhkan"
(Opere, 289).
Nell'Elettra
di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi: "o{ra, povnou toi cwri;" oujde;n eujtucei'''" (v. 945), bada,
senza fatica niente ha successo.
Nei Memorabili[9]
di Senofonte la donna virtuosa, la
Virtù personificata, avvisa Eracle al bivio che gli dèi
niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno:"tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n
a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28).
così Cleante
stoico in Diogene Laerzio (VII 172): “quando uno spartano gli disse o{ti oJ povno~ ajgaqovn, lui raggiante di gioia esclamò: “ai{mato~ ei\~ ajgaqoi`o, fivlon tevko~, sei
di buon sangue, ragazzo mio!”
Si assiste a un eterno ritorno di questa affermazione e di
non poche altre. “Tipico atteggiamento della “cultura” greca. Una volta coniata
una forma, essa rimane valida anche in stadi ulteriori e superiori, e ogni
elemento nuovo deve cimentarsi con essa”[10].
Sappiamo che la cultura greca non si limita ai Greci.
In tutt'altro
contesto, il garrulus che attenta alla vita di Orazio gli fa: " nihil
sine magno/vita labore dedit mortalibus"[11],
niente senza grande fatica la vita ha mai dato ai mortali.
Alessandro Magno, che
si riteneva discendente di Achille e di Eracle, quando si preparava ad
assediare Tiro (estate del 332
a . C.), sognò che Eracle stesso lo introduceva in città.
L’indovino Aristandro interpretò la visione onirica dicendo che Tiro sarebbe
stata presa “xu;n povnw/…o{ti kai; ta; tou` JHraklevou~ e[rga xu;n povnw/ ejgevnetw.
Kai; ga;r kai; mevga e[rgon th`~ Tuvrou hJ poliorkiva ejfainevto”[12]
con fatica… poiché anche le imprese di Eracle erano avvenute con fatica. E in
effetti anche l’assedio di Tiro si presentava come una grande impresa.
Quando, giunti al fiume Ifasi[13],
i soldati di Alessandro Magno, si rifiutarono di attraversarlo e di procedere
verso il Gange, il condottiero macedone, per convincere l’esercito esausto a
proseguire, parlò ai soldati dicendo: “Pevra~
de; tw`n povnwn gennaivw/ me;n ajndri; oujde;n dokw` e[gwge o{ti mh; aujtou;~
tou;~ povnou~, o{soi aujtw`n ej~ kala; e[rga fevrousin” (Anabasi di Alessandro, 5, 26, 1), il
limite delle fatiche per l’uomo valoroso non credo siano altro che le fatiche
stesse, quante di esse li portano a grandi imprese”. Ma non riuscì a convincere
quella gente stremata.
Alessandro Magno non solo si sobbarcò personalmente fatiche
immani, e, ovviamente, le impose alle sue truppe, ma le procurò anche ai poeti:
Arriano racconta che dopo la distruzione di Tebe (335), poco prima di partire
per la sua spedizione, il giovane re di Macedonia celebrò giochi e sacrifici.
Allora gli fu annunciato che la statua di Orfeo nella Pieride ijdrw`sai xunecw`~
sudava continuamente; quindi l’indovino Aristandro disse che cantare le gesta
di Alessandro sarebbe costato polu;~
povno~ ai poeti (Anabasi di Alessandro, I, 11,
2-3)..
Dante mette in rilievo la grande fatica che gli è costata
l’opera grandiosa della sua Commedia: il “poema sacro/al quale ha posto mano e
cielo e terra/sì che m’ha fatto per più anni macro” (Paradiso, XXV, 1-3).
Machiavelli nota che molti uomini attribuiscono alla Fortuna
un potere eccessivo nella vita umana e per questo ritengono “che non fussi da
insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte”.
Il segretario
fiorentino non condivide questo parere: “perché el nostro libero arbitrio non
sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna sia arbitre della metà
delle azioni nostre, ma che ancora lei ne lasci governare l’altra metà, o
presso, a noi”. La Fortuna
come certi “fiumi rovinosi…dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a
resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li
argini e li ripari a tenerla”. Dunque non bisogna adagiarsi sulla Fortuna: “
quel principe che s’appoggia tutto in
sulla fortuna, rovina, come quella varia” (Il
principe, 25).
Leopardi nell’Operetta morale Il Parini ovvero della gloria[14]
immagina che il poeta di Bosisio parli a un giovane “d’indole e di ardore incredibile
ai buoni studi, e di aspettazione meravigliosa”, e gli dica che pochi sono
capaci di intendere “che e quale sia propriamente il perfetto scrivere”. Chi
non intende questo “non può né anche avere la debita ammirazione agli scrittori
sommi”. La conclusione del ragionamento dunque è: “ Or vedi a che si riduca il
numero di coloro che dovranno potere ammirarli e saper lodarli degnamente,
quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine riuscito a
produrre un’opera egregia e perfetta”.
4. Necessità della conoscenza della Storia.
La conoscenza della tradizione richiede il senso storico: “ the
historical sense involves a
perception not only of the pastness of the past, but of its presence"[15],
il senso storico implica la percezione non solo della passatezza del passato,
ma anche della sua presenza.
“Chi è privo di senso
storico rischia di confondere l’attuale con l’eterno”[16].
Insomma la topica, o arte dei luoghi, presuppone la
conoscenza della storia
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] N. Machiavelli, Il Principe
(del 1513), Dedica al Magnifico Lorenzo De' Medici.
[3]
Del 1922.
[4]
T. S. Eliot, Il bosco sacro, p. 120.
[5] La terra desolata, del 1922.
[6]
M. Zambrano, L'uomo e il
divino, p. 228.
[7]
Salvatore Settis, Futuro del 'classico', p. 91.
[8] Tradition and the Individual
Talent (del 1919)Tradizione
e talento individuale.
[9]
Scritto socratico in quattro
libri che presenta il maestro come un uomo probo e onesto, rispettoso della
religione e delle leggi, valida guida morale nella vita pratica
[10] W. Jaeger, Paideia 1, p. 191.
[12]
Arriano (età di Traiano e di Adriano), Anabasi
di Alessandro, 2, 18, 1.
[13]
Nell’estate del 326 a .
C.
[14]
Scritta nel 1824, pubblicata nel 1827.
[16]
Natoli, Parole della filosofia, p. 109.
Ecco perchè l'uomo contemporaneo confonde l'attuale con l'eterno!!!!!Tutto va consumato in fretta,bruciato...senza passato non esiste il futuro e ,dato che le cose non devono durare, l'eterno è l'attimo stesso. Abbiamo guardato nel baratro e ne siamo stati risucchiati. Giovanna Tocco
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