Gabriele d'Annunzio |
Delfi
ha reso Simeta invece che donna per bene (ajnti; gunaikov~) una kaka;n kai;
ajpavrqenon, donna perduta e non più vergine. Dunque l’uomo deve
struggersi d’amore. E deve aggirarsi intorno alla sua porta come gira questa
ruota magica di bronzo. Che giaccia con un uomo o con una donna, ne abbia tanta
dimenticanza (e[coi lavqa~, 45) quanto
Teseo per Arianna dalle belle trecce. Vuole pestare una salamandra e preparare
una bevanda malvagia. Poi anche erbe magiche. Impastando le erbe magiche la
serva deve dire impasto le ossa di Delfi.
In
verità è difficile leggere il resoconto di questi preparativi o di quelli della
Medea di Seneca (670-739) senza
riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth
Si
tratta della prima scena del quarto atto. Le streghe mettono vari ingredienti
in una caldaia bollente. Vediamone alcuni: filetto di una biscia di pantano (Fillet of a fenny snake), pelo di pipistrello e lingua di cane (wool of bat, and tongue of dog), zampa di lucertola e ala d’allocco
(lizard’s leg, and howlet’s wing),
fegato di giudeo bestemmiatore (liver of
blaspheming jew), dita di un bambino strangolato al suo nascere, appena
messo al mondo in una fossa da una sgualdrina (finger of birth-strangled babe-ditch-delivered by a drab), viscere
di una tigre (a tiger’s chaudron),
tutto da raffreddare con il sangue di un babbuino (with a baboon’s blood).
Poi
Simeta ricorda l’incontro con Delfi. Era con un altro atleta. Avevano appena
lasciato la bella fatica (kalo;n povnon) della palestra e i loro petti
erano splendenti (sthvqea stivlbonta) più della luna. Come lo vidi, impazzii (ejmavnhn) e
l’animo fu lacerato.
C’è
l’aemulatio nei confronti di Saffo.
Andai
a casa e un ardente morbo mi devastava. Il corpo diventava simile al tapso, da
cui si ricava il color giallo, cadevano i capelli, dimagriva. Quindi mandò la
serva a chiamarlo. Arrivò con il suo corpo splendente e il piede leggero.
Allora tutta gelai più della neve, colava un sudore freddo e non proferivo
parola. Mi irrigidii nel corpo come fossi un pupazzo di cera (dagu'di i[sa). Lui
non amava, teneva gli occhi a terra e disse che sarebbe andato da lei
spontaneamente se non lo avesse preceduto. Avrebbe portato pomi di Dioniso. Se
non lo avesse accolto, avrebbe forzato la porta. Bruciavo d’amore, mente.
Allora si stesero sul letto ejpravcqh ta; mevgista (143), facemmo
il massimo. Ora però ha saputo che lui è innamorato e non si fa vedere da 12
giorni. Simeta vuole recuperarlo con i filtri.
Ironia.
La vediamo nel Tirsi (I) che canta
Dafni, pastore di Sicilia già cantato da Stesicoro. Priapo sgrida Dafni che
muore d'amore dicendogli: eri detto bovaro, ma più somigliavi al capraio cui,
se vede le capre montate, bruciano gli occhi d'invidia per non essere caprone.
Tirsi
è un bovaro che canta la morte di Dafni, altro bovaro.
Un
capraio lo incoraggia a cantare le pene di Dafni.
Il
capraio non vuole suonare la zampogna perché teme Pan che è violento (pikrov~): nel suo
naso c’è sempre drimei'a
colav,
bile (attico colhv) aspra.
Orazio
(III, 18) prega Fauno, Nympharum fugentium amator: lenis incēdas, procedi clemente e astieniti benigno dai piccoli del
gregge (abeasque parvis aequus alumnis.).
Plutarco nel De defectu oraculorum:
racconta che durante la navigazione verso l’Italia, dall’isola di Paxo (tra
Corcira e Leucade, davanti all’Epiro) si sentì una voce che chiamava Tamo, il
pilota egizio. E disse quando giungi nei pressi di Palode, annuncia che il grande
Pan è morto! Pa;n
oJ mevga~ tevqnhke (16 c).
Tamo
lo fece. Non c’era vento né onde e Tamo gridò da poppa con lo sguardo rivolto
alla riva. Allora si levò un immenso gemito, non di uno ma di tanti, insieme a
grida di stupore. Tiberio Cesare chiamò Tamo, poi fece fare delle ricerche e i
tanti filologi della corte dissero che Pan era figlio di Ermes e di Penelope.
D’Annunzio,
L’annunzio di Maia, Laus vitae:
“Mentì, mentì la voce dinanzi alle dentate –Echinadi tonante nella calma
dell’estate-verso la nave…Mentì la-voce-che gridò: “Pan è morto!”. La bellezza
del mondo sopita si ridesta.-Il mio canto vi chiama a una divina-festa.
Pan
era figlio di Zeus e di Ybris e insegnò la mantica ad Apollo (Apollodoro, Biblioteca, I, 22).
Segue
un’e[kfravsi~, la
descrizione di una profonda coppa (baqu; kissuvbion) fatta dal capraio. Due uomini
litigano per una donna. Un vecchio pescatore getta le reti con un vigore degno
della giovinezza to; de; sqevno~ a[xion a{ba~, anche se
è consunto dal mare. Poi c’è un ragazzetto che sorveglia una vigna seduto su un
muretto di pietre a secco ejf j aiJmasiai'si fulavssei
h{meno~ (vv. 47-48). Due volpi cercano di rubare: una
l’uva, l’altra la colazione del ragazzo che non se ne cura ma intreccia una
gabbia per grilli con steli d’asfodelo congiunti con giunco.
Il capraio regalerà la coppa a Tirsi se canterà la
seducente canzone.
Tirsi canta, Tirsi dell’Etna. Le Ninfe non erano
nella Sicilia orientale ma in Tessaglia (vallate del Peneo o quelle del Pindo)
quando Dafni si struggeva. E’ nominato il fiume Anapo, vicino a Siracusa,
l’Etna e l’acqua dell’Aci.
Sciacalli e lupi ululavano e il leone ne pianse la
morte. Mucche tori giovenche e vitelli piangevano. E’ il dionisiaco.
Nella X ecloga
Virgilio dafnizza Cornelio Gallo che caduto in disgrazia, si uccise nel 26 a.
C.
“Quae nemora aut qui vos saltus habuere,
puellae-
Naides, indigno cum Gallus amore peribat?” (X, 9-10)
Gallo scrisse elegie nelle quali cantava l’amore
per Licoride.
Venne Ermes e disse a Dafni: chi ti tormenta? Di
chi sei tanto innamorato? ( Teocrito, Idillio I, 78)
Con ricordo di Saffo: “chi ti fa torto? O Saffo?”
Venne Priapo e gli chiese: perché ti struggi? (I,
82)
Il Priapo di Tibullo
Priapo è Bacchi
rustica proles,- armatus curva falce (Tibullo, I, 4, 8-9).
Priapo consiglia a Tibullo di non perdere tempo: “formae non ullam fata dedere moram”, i
fati non concessero indugio alla bellezza. Cedi all’amasio, dagli tutto quanto
chiede! Iam tener adsuevit munera velle
puer! (v. 58). Sia maledetto anche da morto chi gli ha insegnato a vendere
l’amore! I fanciulli dovrebbero amare le Pieridi doctos et amate poetas, non i doni. Chi vende l’amore secet vilia membra, si mutili il vile
membro ad phrygios modos, al suono di
musiche frigie.
CONTINUA
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