Pohlenz,
L'uomo greco
Teocrito
vuole attuare un ritorno alla natura, alla sfera vitale cui si sente avvinto in
maniera indissolubile. Egli vuole conseguire il ritiro dal mondo per
raggiungere la felicità epicurea.
La
più matura delle sue poesie è le Talisie
con la gara poetica tra Licída e Simichìda (Teocrito). Ci sono riferimenti
colti, per cui i canti sono apprezzabili solo da chi possiede una solida
cultura letteraria. Rimane comunque il sentimento della natura con le cicale
che, ebbre di sole, strillano nel denso fogliame a non finire. Dafni morente
nel Tirsi (I) saluta la natura con
tutti gli animali.
Il
mito della natura, scrive Pasolini, è un “mito antihegeliano e antidialettico ,
perché la natura non conosce i “superamenti”. Ogni cosa in essa si giustappone
e coesiste…la “mitizzazione” della natura implica la “mitizzazione” della vita
quale era concepita dall’uomo prima dell’era industriale e tecnologica,
all’epoca in cui la nostra civiltà si organizzava intorno ai modi di produzione
agraria”[1].
L'uomo
di cultura del III secolo vede circonfusa di luce radiosa la vita di pastori e
contadini, con tutto il primitivo. Così Callimaco apprezza la felicità della misera capanna di Ecale, e
Aconzio cerca la solitudine in mezzo ai boschi. La natura è il paradiso perduto dei moderni uomini civilizzati.
Nelle città si cercava
l'avvicinamento alla natura con mezzi artificiali: i Tolomei fecero piantare giardini e boschetti ad Alessandria; ad
Antiochia i Seleucidi fecero costruire passeggiate con giochi d'acqua. Nel II
d. C. Adriano farà ricostruire a Tivoli la valle di Tempe attraversata dal
fiume Peneo, sotto l’Olimpo. Ad
Alessandria fu creata una collina artificiale e i templi si costruivano a
contatto con la natura in boschi o su promontori marini
Del resto i templi di Dodona, di Delfi, di
capo Sunio erano già tali. Anche i privati si fanno costruire case con giardini
e fontane, e si fanno affrescare le pareti delle case con paesaggi.
L'arredamento è più curato rispetto all'età classica quando interessava meno
poiché si passava la vita fuori di casa. Allora la plastica si occupava
essenzialmente del corpo umano; in
epoca ellenistica troviamo accenni paesaggistici anche nelle sculture, come il
Fauno Barberini (III sec. a. C.) steso su una roccia.
Ma è la pittura che sviluppa la
rappresentazione della natura e del paesaggio che fino al IV sec. era stato
appena accennato: Platone nel Crizia (107) fa dire allo stesso Crizia
che l'artista può rendere la natura in maniera approssimativa, ma deve
rappresentare esattamente il corpo umano, infatti:"noi diveniamo giudici
difficili con chi non riproduca per intero tutte le somiglianze"(107d).
In età ellenistica invece il paesaggio diventa
oggetto indispensabile della rappresentazione artistica: troviamo santuari
agresti o giardini anche in assenza di uomini. Compare anche un nuovo senso
dello spazio con lontananze indefinite. Del resto nella poesia e nella pittura
si trovano i medesimi motivi: Polifemo, che nell'affresco della casa di Livia
sul Palatino (30 a. C.) spasima per Galatea, deriva dal Ciclope di Teocrito (VI
e XI).
Idillio VI
Dafni sfida Dameta e canta
rivolgendosi a Polifemo.
Galatea provoca il Ciclope
scagliando mele, civettando ma lui non la guarda: lei è come la lanugine secca
che si stacca dal cardo feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei (v. 17),
fugge chi ama e insegue chi non ama.
Poi canta Dameta che dà voce a
Polifemo: ha visto Galatea con il suo unico occhio con il quale spera di vedere
ej~
tevlo~,
fino alla fine. Un esempio di ironia tragica. Lui non la guarda per attirarla.
Lei diventa gelosa. Si sente quasi bello. Specchiandosi nel mare in bonaccia ha
visto bella la barba, e kala; dev moi aJ miva kwvra, bella
la mia unica pupilla (v. 36). I denti brillavano più del marmo di Paro. La gara
finisce alla pari. Il selvaggio ed empio Ciclope è diventato un buffone:
Teocrito sdrammatizza.
Virgilio ha imitato questi versi
nella II Ecloga dove Coridone dice: “nec sum adeo informis; nuper me in litore
vidi- cum placidum ventis staret mare” (vv. 25-27).
In Virgilio però c’è anche la
sofferenza: Coridone è innamorato di Alessi con grande sofferenza: “mori me denique coges” (v. 7).
XI Idillio. Ancora il Ciclope.
Quale è il favrmakon, il
rimedio contro l’amore ? La poesia, le Pieridi.
Invece Longo Sofista ( fine II d.
C.) in Romanzo pastorale di Dafni e Cloe
scrive più realisticamente che contro Eros non esiste altro rimedio che il
bacio e l’abbraccio e lo stendersi insieme con i corpi nudi fivlhma kai; peribolh;
kai; sugkatakliqh'nai gumnoi'~ swvmasi (II, 7).
Il Ciclope si struggeva, cantando Galatea e
cantava su un’alta roccia, guardando il mare. I pregi di Galatea: è più candida
del latte cagliato, più morbida di un agnello, più altera di un vitello, più brillante
dell’uva acerba.
In Longo Sofista Galatea ha gli
occhi più grandi di quelli di una giovenca e il viso più bianco del latte delle
capre (I, 3).
Ma Galatea fugge Polifemo come la
pecora che ha visto il lupo.
Qui Polifemo descrive la propria
bruttezza, ma vanta la ricchezza: bota; civlia bovskw (v. 34) e ha latte (gavla) e cacio
(turov~) e sa
suonare la zampogna con la quale canta fivlon glukuvmalon, la cara dolce mela che è Galatea.
Nella sua grotta non manca niente: c’è l’edera (kissov~) la vite dai dolci frutti (a[mpelo~ aJ
glukuvkarpo~) e l’acqua fresca (yucro;n u{dwr) che l’Etna selvoso (aJ poludendreo~ Ai[tna) fa scendere leuka'~ ejk civono~, dalla candida
neve.
Per
Galatea, Polifemo sacrificherebbe l’unico occhio, la cosa più cara. Galatea è
una ninfa marina e Polifemo vorrebbe avere le branchie per raggiungerla. Le
porterebbe krivna leukav,
bianchi gigli e rossi papaveri (mhvkwn), anche se non fioriscono insieme. Ora, se capita
qui con la nave un forestiero (ironia tragica) voglio imparare a nuotare.
Poi si
rivolge a se stesso: Ciclope, dove hai la testa?
Mungi (a[melge) quella presente; perché insegui una che fugge? La
donna assimilata alle capre. Molte mi invitano a giocare con loro e ridono
quando le ascolto. E’ chiaro che sembro qualcuno.
Teocrito
dunque neutralizza le ragioni del sentimento amoroso. Con una mentalità
epicurea, consiglia il sesso a cuor leggero.
Né il poeta né il paesaggista
intendono riprodurre il mondo reale: la
pittura, come la poesia, vuole evadere dal mondo civilizzato.
Secondo
Perrotta, Teocrito è poeta d'amore e le Incantatrici
(Farmakeuvtriai II) è il
carme più bello.
Vediamolo
Simeta è stata abbandonata da Delfi e prega Ecate sotterranea che
atterrisce anche i cani, Ecate tremenda. Le chiede aiuto per preparare filtri
degni di Medea.
CONTINUA
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