NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 9 luglio 2017

Teocrito. Parte VI


Pohlenz, L'uomo greco

Teocrito vuole attuare un ritorno alla natura, alla sfera vitale cui si sente avvinto in maniera indissolubile. Egli vuole conseguire il ritiro dal mondo per raggiungere la felicità epicurea.
La più matura delle sue poesie è le Talisie con la gara poetica tra Licída e Simichìda (Teocrito). Ci sono riferimenti colti, per cui i canti sono apprezzabili solo da chi possiede una solida cultura letteraria. Rimane comunque il sentimento della natura con le cicale che, ebbre di sole, strillano nel denso fogliame a non finire. Dafni morente nel Tirsi (I) saluta la natura con tutti gli animali.
Il mito della natura, scrive Pasolini, è un “mito antihegeliano e antidialettico , perché la natura non conosce i “superamenti”. Ogni cosa in essa si giustappone e coesiste…la “mitizzazione” della natura implica la “mitizzazione” della vita quale era concepita dall’uomo prima dell’era industriale e tecnologica, all’epoca in cui la nostra civiltà si organizzava intorno ai modi di produzione agraria”[1].
 L'uomo di cultura del III secolo vede circonfusa di luce radiosa la vita di pastori e contadini, con tutto il primitivo. Così Callimaco apprezza la felicità della misera capanna di Ecale, e Aconzio cerca la solitudine in mezzo ai boschi. La natura è il paradiso perduto dei moderni uomini civilizzati.
Nelle città si cercava l'avvicinamento alla natura con mezzi artificiali: i Tolomei fecero piantare giardini e boschetti ad Alessandria; ad Antiochia i Seleucidi fecero costruire passeggiate con giochi d'acqua. Nel II d. C. Adriano farà ricostruire a Tivoli la valle di Tempe attraversata dal fiume Peneo, sotto l’Olimpo. Ad Alessandria fu creata una collina artificiale e i templi si costruivano a contatto con la natura in boschi o su promontori marini
 Del resto i templi di Dodona, di Delfi, di capo Sunio erano già tali. Anche i privati si fanno costruire case con giardini e fontane, e si fanno affrescare le pareti delle case con paesaggi. L'arredamento è più curato rispetto all'età classica quando interessava meno poiché si passava la vita fuori di casa. Allora la plastica si occupava essenzialmente del corpo umano; in epoca ellenistica troviamo accenni paesaggistici anche nelle sculture, come il Fauno Barberini (III sec. a. C.) steso su una roccia.
Ma è la pittura che sviluppa la rappresentazione della natura e del paesaggio che fino al IV sec. era stato appena accennato: Platone nel Crizia (107) fa dire allo stesso Crizia che l'artista può rendere la natura in maniera approssimativa, ma deve rappresentare esattamente il corpo umano, infatti:"noi diveniamo giudici difficili con chi non riproduca per intero tutte le somiglianze"(107d).
 In età ellenistica invece il paesaggio diventa oggetto indispensabile della rappresentazione artistica: troviamo santuari agresti o giardini anche in assenza di uomini. Compare anche un nuovo senso dello spazio con lontananze indefinite. Del resto nella poesia e nella pittura si trovano i medesimi motivi: Polifemo, che nell'affresco della casa di Livia sul Palatino (30 a. C.) spasima per Galatea, deriva dal Ciclope di Teocrito (VI e XI).

Idillio VI
Dafni sfida Dameta e canta rivolgendosi a Polifemo.
Galatea provoca il Ciclope scagliando mele, civettando ma lui non la guarda: lei è come la lanugine secca che si stacca dal cardo feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei (v. 17), fugge chi ama e insegue chi non ama.
Poi canta Dameta che dà voce a Polifemo: ha visto Galatea con il suo unico occhio con il quale spera di vedere ej~ tevlo~, fino alla fine. Un esempio di ironia tragica. Lui non la guarda per attirarla. Lei diventa gelosa. Si sente quasi bello. Specchiandosi nel mare in bonaccia ha visto bella la barba, e kala; dev moi aJ miva kwvra, bella la mia unica pupilla (v. 36). I denti brillavano più del marmo di Paro. La gara finisce alla pari. Il selvaggio ed empio Ciclope è diventato un buffone: Teocrito sdrammatizza.
Virgilio ha imitato questi versi nella II Ecloga dove Coridone dice: “nec sum adeo informis; nuper me in litore vidi- cum placidum ventis staret mare” (vv. 25-27).
In Virgilio però c’è anche la sofferenza: Coridone è innamorato di Alessi con grande sofferenza: “mori me denique coges” (v. 7).

XI Idillio. Ancora il Ciclope.
Quale è il favrmakon, il rimedio contro l’amore ? La poesia, le Pieridi.
Invece Longo Sofista ( fine II d. C.) in Romanzo pastorale di Dafni e Cloe scrive più realisticamente che contro Eros non esiste altro rimedio che il bacio e l’abbraccio e lo stendersi insieme con i corpi nudi fivlhma kai; peribolh; kai; sugkatakliqh'nai gumnoi'~ swvmasi (II, 7).

 Il Ciclope si struggeva, cantando Galatea e cantava su un’alta roccia, guardando il mare. I pregi di Galatea: è più candida del latte cagliato, più morbida di un agnello, più altera di un vitello, più brillante dell’uva acerba.

In Longo Sofista Galatea ha gli occhi più grandi di quelli di una giovenca e il viso più bianco del latte delle capre (I, 3).

Ma Galatea fugge Polifemo come la pecora che ha visto il lupo.
Qui Polifemo descrive la propria bruttezza, ma vanta la ricchezza: bota; civlia bovskw (v. 34) e ha latte (gavla) e cacio (turov~) e sa suonare la zampogna con la quale canta fivlon glukuvmalon, la cara dolce mela che è Galatea. Nella sua grotta non manca niente: c’è l’edera (kissov~) la vite dai dolci frutti (a[mpelo~ aJ glukuvkarpo~) e l’acqua fresca (yucro;n u{dwr) che l’Etna selvoso (aJ poludendreo~ Ai[tna) fa scendere leuka'~ ejk civono~, dalla candida neve.
Per Galatea, Polifemo sacrificherebbe l’unico occhio, la cosa più cara. Galatea è una ninfa marina e Polifemo vorrebbe avere le branchie per raggiungerla. Le porterebbe krivna leukav, bianchi gigli e rossi papaveri (mhvkwn), anche se non fioriscono insieme. Ora, se capita qui con la nave un forestiero (ironia tragica) voglio imparare a nuotare.
Poi si rivolge a se stesso: Ciclope, dove hai la testa?
Mungi (a[melge) quella presente; perché insegui una che fugge? La donna assimilata alle capre. Molte mi invitano a giocare con loro e ridono quando le ascolto. E’ chiaro che sembro qualcuno.
Teocrito dunque neutralizza le ragioni del sentimento amoroso. Con una mentalità epicurea, consiglia il sesso a cuor leggero.
Né il poeta né il paesaggista intendono riprodurre il mondo reale: la pittura, come la poesia, vuole evadere dal mondo civilizzato.

Secondo Perrotta, Teocrito è poeta d'amore e le Incantatrici (Farmakeuvtriai II) è il carme più bello.
Vediamolo
Simeta è stata abbandonata da Delfi e prega Ecate sotterranea che atterrisce anche i cani, Ecate tremenda. Le chiede aiuto per preparare filtri degni di Medea.


CONTINUA


[1] Saggi sulla politica e sulla società, p. 1461.

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