Atene |
Dioniso ricorda che i giudici
popolari dissanguavano l’erario.
Plutone gli fa fretta perché decida.
Euripide gli ricorda che gli ha
giurato amicizia
Allora Dioniso ricorda un mezzo
verso dell’Ippolito (612): hJ glw'tt j ojmwvmok j, la
lingua ha giurato (hJ de; frh; n ajnwvmotoς)
Dioniso invece conclude Aijscuvlon d j
aiJrhvsomai,
ma sceglierò Eschilo.
Cicerone traduce iuravi lingua, mentem iniuratam gero” (De officiis, III, 29, 107).
Eur si infuria e giudica ai[sciston l’ e[rgon di
Dioniso il quale cita mezzo verso dell’Eolo
di Euripide: che cosa è turpe se non sembra agli spettatori? (1476)
Euripide non vorrebbe rimanere
morto nell’Ade e Dioniso cita un verso del Poliido
(fr. 638) “tivς d’ oi\den eij to; zh'n
me; n ejsti katqanei'n”, 1477 che continuava to; katqanei'n de; zh'n kavtw nomivzetai; chi sa
se il vivere è essere morto e l’essere morto laggiù è considerato vivere?
Plutone offre il viatico a Dioniso
ed Eschilo, mentre Euripide torna tra i morti.
Il Coro canta proclamando beato chi
ha l’intelligenza acuta, Eschilo torna ad Atene per il bene di tutti perché è
intelligente.
Un
topos relativo all'intelligenza è quello che condanna la stupidità, connessa
spesso all'empietà: si trova espresso chiaramente nell'Agamennone[1]
di Eschilo dal protagonista che esita a calpestare il tappeto di porpora: "
to; mh; kakw'"
fronei'n-qeou' mevgiston dw'ron[2]" (vv.
927-928); quindi nell'Antigone[3] di Sofocle le cui parole conclusive, del Coro, ovvero dell'autore che da
questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi
nell'azione"[4], contengono la morale del
dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: "il comprendere (to; fronei'n[5]) è di
gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere
empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav g j ej"
qeou; " mhde; n ajseptei'n)" [6]. Lo
stesso Creonte, che pure non incarna il pensiero di Sofocle, alla fine lo
capisce: "mh;
fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il
danno massimo.
“La
stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia”[7].
Nelle
Troiane, la lucida follia di
Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra: “feuvgein me; n oun crh;
povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400)
Luogo
simile nelle Baccanti[8] di Euripide[9]: "
Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella (To; swfronei'n de; kai;
sevbein ta; tw'n qew'n-kavlliston"), e credo che questo sia anche il
bene/più saggio per chi sa farne uso (vv. 1150-1151).
Epicuro
nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo; n
frovnhsi"”
(132, 5), il massimo bene è la saggezza.
"La pietà suprema sarà per i Greci
l'intelligenza"[10].
Capire
significa anche amare.
Alla
fine delle Rane di Aristofane c'è un makarismov" dell'intelligenza
benefica grazie alla quale Eschilo potrà tornare sulla terra: "makavriov" g j
ajnh; r e[cwn-xuvnesin hjkribwmevnhn: -pavra de; polloi'sin maqei'n. - o{de ga;
r eu\ fronei'n dokhvsa"-pavlin a[peisin oi[kad j au\qi", - ejp j
ajgaqw'/ me; n toi'" polivtai", -ejp j ajgaqw'/ de; toi'"
eJautou'-xuggenevsi te kai; fivloisi, -dia; to; sunetov" ei\nai" (vv.
1482-1490), beato l'uomo che ha intelligenza acuta: è possibile riconoscerlo da
molti segni. Questo qui che si è rivelato saggio torna di nuovo a casa per il
bene dei cittadini, per il bene dei suoi parenti e amici, perché è intelligente.
Il Coro aggiunge che è bella cosa
non stare seduti con Socrate a cianciare (lalei'n) disprezzando la musica e
trascurando il meglio dell’arte tragica con sottigliezze di ciarle. Cfr. La nascita della tragedia di Nietzsche.
Subito
dopo Plutone dà a Eschilo in procinto di tornare ad Atene l'incarico di educare
gli stolti che sono tanti: "paivdeuson-tou; " ajnohvtou": polloi; d j
eijsivn"
(vv. 1502-1503) e indica il pubblico. Poi gli dà una spada per Cleofonte, un
capestro toi'si
poristai'ς
per i funzionari delle tasse, procuratori di fondi pubblici, la cicuta per un
Archenomo sconosciuto.
Infine,
tra quelli attesi con urgenza, Plutone nomina Adimanto responsabile della
disfatta di Notio del 407 e futuro traditore della patria ad Egospotami nel 405
(cfr. Canfora che lo paragona a Gorbaciov[11]).
Eschilo
lascia il suo seggio a Sofocle e raccomanda che non vi si segga mai Euripide: panou'rgoς ajnhvr kai; yeudolovgoς kai; bwmolovcoς, farabutto,
impostore e buffone
Plutone
ordina al Coro di disporsi in corteo per accompagnare Eschilo
Il
Corifeo augura ogni bene ad Atene, e a Cleofonte invece di andare combattere in
Tracia, nei campi della sua patria (1533)
Appendice
Auerbach
in Mimesis (1946) scrive che nella
letteratura antica c’è la legge della separazione degli stili, per cui la
pittura realistica del quotidiano trova posto solo nel comico, o, tutt’al più
nell’idillico.
Pirandello, Saggio su l’Umorismo. L’uomo che
cerca di ribellarsi invano al suo destino è come la lumaca che “gettata nel fuoco
sfrigola e pare ridere, invece muore”. Così Atene muore nell’amara risata di
Aristofane.
FINE
[1] Del 458 a. C.
[2] Il non capire male/ è il dono più
grande di dio.
[3] Del 442.
[4]Cfr. A. Manzoni, Prefazione a Il conte di Carmagnola.
[5] "Con fronei'n,
"saggezza", il coro non allude a qualità teoretiche, come la
conoscenza o la sapienza, ma a un modo di pensare, di sentire e di agire
misurato, equilibrato, improntato al rispetto degli dèi. Allude a qualità
morali", G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie e forme della
letteratura greca, p. 281.
[6] Vv. 1347-1349.
[7] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p. 30.
[8] Rappresentate postume
[9] 485 ca-406 a. C.
[10] M. Zambrano, L'uomo e il divino
(1955), p. 194.
[11] Il tradimento di
Adimanto.
Su
questo tradimento, vero o presunto, interviene, in maniera interessante e degna
di essere riferita, Canfora, stabilendo un'analogia: "Agli Ateniesi,
stanchi per il conflitto con Sparta, Pericle insegnava, parlando all'assemblea,
una grande verità geopolitica: "Non si può fuoriuscire dall'impero".
E con la crudezza concettuale da cui non era alieno soggiungeva che
"l'impero è tirannide", che "può sembrare ingiusto difenderlo,
ma certo è altamente rischioso lasciarlo perdere" (Tucidide, II, 63). Alla
fine l'impero, durato poco più di settant'anni, fu perso grazie anche a quegli
strateghi (uno si chiamava Adimanto) che nella battaglia decisiva di
Egospotami, "tradirono-come allora si disse-le navi" (Senofonte, Elleniche, II, 1, 32; Lisia, XIV, 38).
Per una curiosa combinazione storica anche l'impero sovietico è durato circa
settant'anni. L'accostamento di Stalin a Pericle darà qualche disagio
(quantunque sulla grandezza dello statista georgiano insistano ormai studiosi
non bigotti, quali Michael Heller e Sergio Romano): è forse più agevole, pur
nella spericolatezza propria delle analogie, riconoscere a Gorbaciov il ruolo
mediocre e vituperato di Adimanto"
Pensare la rivoluzione russa, p. 54.
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