Vincent Van Gogh, Il vento |
-vento (1096): si ricorderà che nel carme 70 di
Catullo il vento costituisce, insieme con l'acqua[1],
la materia instabile su cui non si possono scolpire le parole di devozione e
fedeltà di Lesbia per il poeta innamorato.
L'inaffidabilità riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
Lo afferma pure Sofocle
in un frammento (811 Pearson): "o{rkon
d& ejgw; gunaiko;" eij" u{dwr gravfw", giuramento di
donna io lo scrivo sull'acqua. E se tali solenni promesse penetrano da qualche
parte, certo non dentro gli orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un epigramma: "ajlla; levgousin ajlhqeva, tou;" ejn
e[rwti-oJvrkou" mh; duvnein ou[at j ej" ajqanavtwn" (A. P. V 6), ma dicono il vero che i
giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali.
Ovidio echeggia questo motivo, sia per quanto riguarda Arianna
tradita e la scarsa tenuta della parola dei maschi, sia per la non credibilità
della femmina umana che è una creatura varia e sempre mutevole,"varium et mutabile semper/femina ",
come aveva già detto Virgilio [2].
L'Arianna dei Fasti[3]
toglie fiducia a tutti gli uomini:"dicebam, memini, " periure et perfide Theseu" :/ille abiit;
eadem crimina Bacchus habet: /nunc quoque "nullo viro" clamabo "
femina credat " (Fasti ,
III, 475-477, dicevo, ricordo, "Teseo spergiuro e traditore": /
quello è andato via; Bacco commette lo stesso delitto:/ anche ora
esclamerò:"nessuna donna si fidi più di un uomo".
-umor: etimologicamente imparentato con uJgrovth", umidità e uJgrov" , umido. Nella tragedia greca
la polvere, che deriva dalla mancanza di umido, è segno di sterilità, un
simbolo ripreso da T. S. Eliot.
"sic in amore Venus
simulacris ludit amantis/nec satiare queunt spectando corpora coram/nec manibus
quicquam teneris abradere membris/possunt errantes incerti corpore
toto./Denique cum membris collatis flore fruuntur/aetatis, iam cum praesagit
gaudia corpus/atque in eost Venus ut muliebria conserat arva,/adfigunt avide corpus iunguntque
salivas/oris et inspirant pressantes dentibus ora,/nequiquam, quoniam nil inde abradere
possunt/nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam facere interdum
velle et certare videntur:/usque adeo cupide in Veneris compagibus
haerent,/ membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt " (IV, vv.
1101-1114), così nell'amore Venere con i simulacri beffa gli amanti, né possono
saziarsi rimirando i corpi presenti, né con le mani possono raschiare via nulla
alle tenere membra, mentre errano incerti per tutto il corpo. Infine, come,
congiunte le membra, godono del fiore della giovinezza, quando già il corpo
pregusta il piacere e Venere è sul punto di seminare i campi della femmina, inchiodano avidamente il corpo e mescolano
le salive della bocca, e ansimano premendo coi denti le labbra, invano poiché
di lì non possono raschiare via niente, né penetrare e sparire nel corpo con
tutto il corpo, infatti sembrano talvolta volere farlo lottando: a tal
punto sono avidamente attaccati nei lacci di Venere, mentre le membra
sdilinquite dalla violenza del piacere si struggono.-corpora coram (1101) "nota
la clausola allitterante e fortemente assonante, dopo la dieresi bucolica...Teneris abradere membris è di nuovo una iunctura ossimorica (vedi sopra: vv.
1080-1081), in cui si uniscono un verbo connotato di violenza e un epiteto (teneris) indicante delicatezza e
affettività (come, al v. 1080, labellis ).
L'insistenza sull'impotenza degli amantes
a raggiungere la soddisfazione (nec...queunt...nec
possunt), cui così freneticamente aspirano, genera la consueta reazione
mista di pietà e derisione"[4].
Vorrei aggiungere un mio
contributo comparativistico: ne Il
castello di Kafka viene descritta una copula del genere per denunciare
l'impossibilità o l'impotenza dell'amore tra K. e Frieda:"poiché la
seggiola era accanto al capezzale, vacillarono e caddero sul letto. E lì
giacquero, ma non con l'abbandono di quella prima notte. Lei cercava qualcosa,
e lui pure, e ciascuno, furente e col viso contratto, cercava, conficcando il
capo nel petto dell'altro: né i loro amplessi né i loro corpi tesi li rendevan
dimentichi, ma anzi li richiamavano al dovere di cercare ancora; come i cani
raspano disperatamente il terreno, così essi scavavano l'uno il corpo
dell'altro, e poi, delusi, smarriti, per trovare un'ultima felicità, si
lambivano a volte con la lingua vicendevolmente il viso. Solo la stanchezza li
pacificò e li riempì di mutua gratitudine. Poi sopraggiunsero le due serve.
"Guarda quei due sul letto" disse l'una, e per compassione li coprì
d'un lenzuolo"[5].
Membris collatis (1105) è ablativo assoluto con il participio di confero. In questa espressione c'è
l'idea di un corpo a corpo ostile (cfr. arma,
manum, pedem, signa conferre nel senso di ingaggiare il combattimento).
- Flore fruuntur è clausola allitterante dopo la dieresi
bucolica"[6].-
Eost=eo est.
-Ut muliebria conserat arva (1107): "Per rendere efficace e
visibile la dinamica del rapporto sessuale, Lucrezio non rifugge da immagini
potenti e crude, prese a prestito dall'agricoltura"[7].
Per questa immagine metaforica cfr. la scheda "assimilazione della donna
alla terra"[8].-
1109 oris… ora la ripetizione: "è inutile per il senso, ma
permette la raffinatezza del poliptoto a cornice (oris... ora)"[9].
-nequiquam (1110): "la pesante parola, che costituisce un
molosso (una sequenza, cioè, di tre sillabe lunghe) ed è collocata nel risalto
della sede iniziale davanti a cesura semiternaria, non lascia scampo alle
illusioni degli amantes "[10].
Lo stesso avverbio sesquipedale si ripete al v. 1133.
-in corpus corpore (1111): il poliptoto a contatto è espressivo del
desiderio simbiotico dei due amanti, ma la simbiosi non è amore:"In
contrasto con l'unione simbiotica, l'amore maturo è unione a condizione di
preservare la propria integrità, la propria individualità"[11].-
certare videntur (1112):
la volontà simbiotica include quella di lottare per la sopraffazione poiché
ognuno dei due vuole essere l'elemento predominante e un rapporto alla pari non
è possibile siccome anche le relazioni erotiche, come tutte quelle umane, se
non vengono corrette dalla moralità, sono connotate dalla legge del più forte
che sottomette e sfrutta chi è più debole.
Abbiamo già sentito Tucidide (V,
105, 2) per la sfera politico-militare, ora diamo la parola a C. Pavese per quella più genericamente
umana e più specificamente amorosa: "Tipologia delle donne: quelle che
sfruttano e quelle che si lasciano sfruttare... Le prime sono melliflue,
urbane, signore. Le seconde sono aspre, maleducate, incapaci di dominio di sé.
(Ciò che rende villani e violenti è la sete di tenerezza.) Tutti e due i tipi
confermano la impossibilità di
comunione umana. Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola
eroica: essere soli soli soli"[12].
CONTINUA
[1] Del resto Catullo attribuisce la medesima malafede
alle femmine umane, in particolare alla sua amante, e forse Teseo che abbandona
Arianna ai suoi occhi rappresenta il vendicatore delle infedeltà da lui stesso
subite dalla propria donna :" Nulli
se dicit mulier mea nubere malle/quam mihi, non si se Iupiter ipse petat./Dicit
; sed mulier cupido quod dicit amanti/in vento et rapida scribere oportet aqua
" (70 ), la mia donna dice di non volere unirsi ad altri piuttosto che a
me, neppure se Giove la corteggiasse. Dice così, ma quello che la donna dice
all'amante smanioso, bisogna scriverlo nel vento e nell'acqua che le porta via.
[2]Eneide, IV, 569-570.
[3]
Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu
interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e
costumi latini.
[4]G.
B. Conte, Scriptorium Classicum, 5,
p. 54.
[5]F.
Kafka, Il castello, p. 84.
[6]G.
B. Conte, Scriptorium Classicum, 5,
p. 54.
[7]
Lucrezio, La Natura
Delle Cose, commento di I. Dionigi, p. 410.
[8]
non bisogna dimenticare che, se
nel Menesseno (238 a) Platone scrive :"ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai;
gennhvsei ajlla; gunh; gh'n, non
è stata la terra a imitare la donna, nel concepimento e nel parto, ma la donna
la terra ", nel Menone il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è
imparentata con se stessa (th'"
fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è
stretto parente della grande madre e della natura in genere.
[9]G.
B. Conte, op. e p. citate sopra.
[10]G.
B. Conte, op. e p. citate sopra.
[11]E.
Fromm, L'arte d'amare, p. 35.
[12]Il mestiere di vivere, 15 ottobre 1940.
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