Spiegherò come il sonno diffonda la quiete con pochi versi
soavi, potius quam multis versibus (909) come la musica del cigno è più gradevole
dello schiamazzo delle gru sparso tra le nubi piovose dell’austro, vento del
sud di solito imbricus.
“Parvus ut est cycni
melior canor, ille gruum quam/ clamor 910,
Il sonno si
produce quando la vis animae è
dispersa per le membra, in parte ne esce e in parte è compressa nel profondo.
Allora le membra si rilassano e si abbandonano. L’anima è quasi espulsa e perturbata ( scompigliata). E’ come il
fuoco sotto la cenere. Tu fac ne ventis
verba profundam (931), Il corpo, fuori e dentro, viene flagellato e
percosso dall’aria e l’anima ne risente: in parte viene espulsa all’esterno, in
parte affonda all’interno. Allora gli arti perdono il sostegno e debile fit corpus lannguescuntque omnia
membra (951) cadono le braccia e le palpebre e i polpacci (poplites) si piegano. Dopo mangiato si
sente sonnolenza poiché il cibo fa l’effetto dell’aria.
Nei sogni poi ci
compaiono le nostre attività-quibus in
rebus multum sumus ante morati- e le cose sulle quali abbiamo
indugiato: gli avvocati sognano i processi, induperatores
pugnare ac proelia obire (967), i marinai di contendere con i venti io di
comporre quest’opera e di indagare la natura.
Freud ricorda questi versi nella Interpretazione dei sogni (p. 29). le
Conserviamo nell’animo aperti i varchi attraverso i quali
possono ritornare i simulacri di ciò che abbiamo visto. A volte entrano in noi etiam vigilantes (979) anche da desti.
Fino a tal punto
conta molto l’inclinazione e il diletto- “Usque
adeo magni refert studium atque voluptas” (984) e le abitudini “et quibus in rebus consuerint esse operati”,
a quali attività siano soliti dedicarsi, e non solo gli uomini “non homines solum, sed vero animalia cuncta”
(987).
Si vedono cavalli in
somnis sudare (988) e quasi gareggiare per la vittoria e i cani dei
cacciatori guaire e agitare le zampe e destati, balzare in piedi a inseguire
vani simulacri di cervi donec discussis
redeant erroribus ad se (996). Molti uomini svelano nel sonno gravi
segreti, molti sognano di cadere. L’assetato si ferma presso un corso d’acqua e
gli sembra di trangugiare tutto il fiume.
Altri, anche persone pulite, sognano di alzare la veste
davanti a una latrina o a vasi da notte e così bagnano e sciupano coltri
babilonesi di magnifico splendore-sommo
devincti credunt se extollere vestem (1027).
Gli adolescenti se vedono simulacra “nuntia preclari
vultus pulchrique coloris” (1033), messaggeri di un volto splendido o di un
bell’incarnato succede che eiaculino-profundant-
fluminis ingentis fluctus vestemque cruentent” (1036). Il seme umano è
fatto sgorgare nell’uomo soltanto dal fascino dell’uomo. Bisogna stare attenti
a evitare le ferite d’amore. Molti cadono nella ferita dalla quale sprizza il
sangue. Chi riceve i colpi dai dardi di Venere qui accipit ictus telis Veneris, sia che lo scagli un fanciullo
dalle membra femminee-sive puer membris
muliebribus hunc iaculatur” (1053), sia una donna che scaglia amore da tutto
il corpo “seu mulier toto iactans e
corpore amorem” (1054), il colpito insomma si protende verso la creatura
che lo ha ferito unde feritur, eo tendit
gestitque coire (1055) e arde di congiungersi e di versare in quel corpo
l’umore del proprio.
Infatti la tacita brama presagisce il piacere (Namque voluptatem praesagit muta cupido,
1057).
Lucrezio distingue due tipi di Venus: il sesso è positivo se
è necessità fisica, impulso naturale e fonte di piacere; è negativo è invece
l’amore in quanto perturbatore ed è insaziabile a differenza dela fame e della
sete. Quindi l’amore ostacola gli ideali del saggio di ajtaraxiva, eujstavqeia, stabilità, ajponiva. Con le complicazioni sentimentali che causano
turbamento (surgit amari aliquid,
1134), incertezza (fluctuat incertis
erroribus, 1077) e sofferenza.
La parte finale del
IV libro tratta del sesso
Haec Venus est nobis
(1058). Sentite un po’ che cosa è l’amore
Prima stillano gocce
di dolcezza nel cuore, poi subentra la gelida pena –successit frigida cura (1060), soprattutto si abest quod ames e la sua immagine aleggia intorno a te.
Ma conviene fuggire i
fantasmi sed fugitare decet simulacra
(1063) e lamciar in casuali amplessi il seme raccolto et iacere umorem collectum in corpora quaeque (1065), nec retinere , semel conversum unius amore,
non serbarlo una volta fatto convergere, ammassato per amore di un solo corpo ,
et servare sibi curam certumque dolorem
(1067) e assicurare a sé pena e sicuro dolore.
Chi si sposa cerca un’assicurazione e si assicura soltanto sicuro
dolore.
Nel IV libro il poeta latino
mostra tutta la penosità dell'amore, quindi ne
smonta le cause affermando che gli uomini ingannati dai sensi attribuiscono
alle donne pregi di cui le disgraziate sono sprovvedute.
Il primo consiglio "terapeutico" è
quello di confondere le piaghe antiche con le recenti e curare queste con una
"Venere vagabonda".
Il termine vulnus
, ferita, non basta più e il segno lasciato dall'ansia erotica diviene una
piaga che potrebbe diventare mortale se non curata :"Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo/inque dies gliscit furor
atque aerumna gravescit,/si non prima novis conturbes vulnera plagis/vulgivagaque
vagus Venere ante recentia cures/aut alio possis animi traducere motus
" (IV, 1068-1072), la piaga infatti si ravviva e si rafforza a nutrirla, la
smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le
antiche ferite con colpi nuovi, e le recenti non curi prima, vagando con una
Venere vagabonda o ad altro oggetto tu non possa trasferire i moti dell'animo.
Lucrezio consiglia di fruire delle
gioie di Venere senza innamorarsi, tenendo il piacere sotto il controllo della ratio
:" Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, /sed potius quae sunt
sine poena commoda sumit./Nam certe
purast sanis magis inde voluptas/quam miseris " (IV, 1073-1076), non
rimane senza il frutto di Venere chi schiva l'amore, ma piuttosto ne prende i
vantaggi senza la pena. Infatti il piacere che viene di lì è più puro per gli
equilibrati che per i dissennati.
Comunque Venere quale ipostasi della voluptas è il
timone del mondo, come si legge nel proemio e senza la sua presenza non si può
nemmeno poetare:"Quae quoniam rerum naturam sola gubernas/nec sine te
quicquam dias in luminis oras/exoritur neque fit laetum neque amabile
quicquam,/te sociam studeo scribendis versibus esse/quos ego de rerum natura
pangere conor. " (I, 21-24), e siccome tu sei la sola che governi la
natura/né senza te alcuna cosa sorge alle luminose spiagge/del sole, né niente
si fa di lieto e amabile,/voglio che tu sia compagna allo scrivere i versi/che
io cerco di comporre sulla natura.-De rerum natura :" è il titolo
dell'opera e rende il Peri; fuvsew"
, titolo del poema di Empedocle e dell'opera fondamentale, oggi perduta, di
Epicuro (in ben 37 libri)"[1].
Il lepos , il fascino di Venere è necessario anche ai
versi del poeta perché vengano letti:" Quo magis aeternum da dictis,
diva, leporem " (I, 28), tanto più concedi, o dea, fascino eterno alle
parole.
Il proemio però, si è detto, è
"fuoritesto", ossia alquanto anomalo rispetto all'insieme del poema.
Qui nel IV canto l'autore precisa
che bisogna mangiare la piacevole esca senza essere presi dall'amo cui
rimangono attaccati i miseri, dibattendosi in convulsioni atroci.
Daa Catullo in avanti miser è la vittima della passione
amorosa che è una forma di insania e,
secondo Lucrezio, può essere spiegata, contrastata e annullata dalla ragione.
Molti autori moderni invece ci
hanno chiarito che la ragione non arriva a spiegare tutto, e tra gli enigmi
irrisolvibili c'è il grande mistero dell'amore. Un fine osservatore di questo
miracolo è Proust:"per tutti gli avvenimenti che nella vita e nelle
sue contrastate situazioni riguardano l'amore, la miglior cosa è non cercare di
comprendere, perché in quello che essi hanno sia d'inesorabile come d'insperato
sembrano retti da leggi magiche piuttosto che razionali"[2].
Del resto l'irriducibilità di eros agli schemi angusti dell'intelletto era già
stata affermata da Platone, come s'è visto in precedenza.
CONTINUA
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