F. Hayez, Lucretius |
Lucrezio De rerum natura IV libro
La conoscenza e l’amore che è la catastrofe del IV libro,
come la peste del VI.
Nei primi 25 versi Lucrezio ripete i versi di stampo
alessandrino callimacheo presenti nel I libro (926-950). –verso chiave iuvat integros accedere fontis (2) e musaeo contingens cuncta lepore (9)
L’usus scribendi lucreziano
è caratterizzato dall’iterazione di intere sezioni. Tasso lo ha imitato.
Dalle cose si staccano, quasi
membranae, dei simulacra. Queste membranae staccate “dereptae volitant ultroque citroque per auras” (32) e colpiscono i
nostri sensi, nelle veglie e nel sonno. In Epicuro ei[dwla (A Erodoto,
46) o tuvpoi simili agli oggetti
solidi ma molto diversi leptovthsin,
per sottigliezza. A volte immagini di morti ci atterriscono nei sogni. Sono
tenui figure tenues effigiae emanate
dai corpi quando erano vivi (42).
La membrana si può chiamare anche cortex, corteccia.
Le cose fanno come la legna che emana il fumo o le cicale
che d’estate depongono le tuniche lisce cum
teretes ponunt tunicas aestate cicadae (v. 58) oppure cum lubrĭca serpens- exuit in spinis vestem (60-61) e noi vediamo i
cespugli adornarsi delle loro spoglie oscillanti.
Lucrezio è un osservatore della natura dalla quale ricava
immagini belle che devono essere riferite, poiché per i concetti basterebbe
Epicuro.
La lingua di Lucrezio presenta un forte tasso di iconicità,
ossia di rappresentazione visiva.
I velari rossi, gialli o ferrigni posti sui grandi teatri
quando ondeggiano al vento fanno trascolorate al riverbero del loro colore la
scena le dignitose file dei senatori e la folla delle gradinate. Dentro tutte
le cose sorridono asperse di gaiezza per la luce del giorno.
Le tele dunque irradiano colore e tutti i corpi scagliano (iaculantur. 86) cortecce. Tra l’altro
queste uscendo dai corpi non si disgregano come il fumo. Sono tenues effigiae (105). I singoli atomi non
possono essere percepiti e così molti simulacri. Quando vengono fermati da uno
specchio i simulacri rifluiscono a noi. Quando si imbattono in rocce o legno si
frantumano. Lucrezio vuole spiegarsi con versi soavi piuttosto che lunghi
(180). I simulacri si spostano con grande velocità. Basta pensare alla luce
delle stelle,
Le torri quadrate viste da lontano sembrano rotonde poiché i
simulacri volando per ampi spazi vengono smussati dai frequenti assalti
dell’aria (cogit hebescere cum crebris
offensibus aer, 359).
Gli occhi non si ingannano nemmeno un poco. I sensi costituiscono
il criterio della verità, la mente invece può dare l’interpretazione sbagliata.
Il sole a chi sta in mare sembra sorgere dalle acque e
nell’acqua tramontatare. Lucrezio elenca una serie di illusioni ottiche. Ma non
sono i sensi che falliscono. Dunque non bisogna togliere credibilità ai sensi.
Ma gli errori avvengono “propter opinatus
animi quos addimus ipsi” (465
I sensi colgono l’evidenza (ejnavrgeia,
Epicuro a Erodoto 52)
Lucrezio polemizza con Socrate il quale diceva di sapere
solo di non sapere (cfr. Fedra nell’Ippolito
di Euripide).
Costoro nettono il
capo al posto dei piedi.
Troverai che dai sensi è stata trovata la nozione del vero neque sensus posse refelli (479), non si
possono confutare. La ragione quae tota
ab sensibus orta est (484) non può confutare i sensi. Essa ha origine tutta
dai sensi, Se sono mendaci i sensi, anche la ragione è falsa. Crollerebbe non
solo la ragione ma la vita stessa cadrebbe subito se tu non osassi fidarti dei
sensi (506-7)
La voce e il suono che colpiscono i sensi sono di essenza
corporea
Spesso la voce raschia la gola: “radit vox fauces saepe” (328)
La mobilis lingua
verborum daedala articulat voces e le labbra le plasmano con la loro
curvatura.
Al v. 555 c’è il corradicale articulatim, distintamente, suono per suono.
Articulo
corrisponde al greco ajrqrovw.
L’eco è prodotto dal rimbalzo della voce. Ma gli uomini
hanno favoleggiato di capripedes Satyri
(580) e Ninfe e Fauni dal noctivago strepitu ludoque iocanti (582), poi di Pan che scuote i ramoscelli di pino
del capo mezzo bestiale- pinea semiferi
capitis velamina quassans (587)
e spesso con il labbro adunco percorre le canne forate- unco saepe labro calamos percurrit hiantis”
(388) per suonare il flauto. Chi abita terre desolate si inventa tali mostra ac portenta (590) e iactant miracula (593), vantano
miracoli.
Tutto il genere umano è avido di orecchie troppo aperte.
I simulacri vengono fermati dalle porte, le voci no: potis est voces accipere extra (611). Tuttavia un ostacolo può
rendere le parole indistinguibili.
Quando con la bocca spremiamo il cibo, come se stringessimo
una spugna, piena dì acqua (ceu plenam
spongiam aquai) sentiamo il sapore. Il succo si insinua nei fori della
lingua porosa. I corpora levia suaviter
attingunt toccano dolcemente e danno un gradevole sapore. Quelli asperitate repleta invece pungunt sensum lacerantque (625)
Ciò che è cibo per gli uni per altri sarebbe acre veleno quod aliis cibus est aliis fuat (=sit) acre
venenum (637). Il serpente, toccato da saliva umana, muore. Questo perché
siamo composti da semina diversi e da
diversi intervalli, canali e pori. Le malattie sconvolgono i corpi e commutantur ibi positurae principiorum
(667), quindi le cose che prima andavano bene non vanno più bene.
Gli odori sono sentiti in modo diverso dai diversi viventi.
Le api sono attratte dall’odore del miele, quamvis longe (679) vultǔriique cadaveribus. I cani vengono attirati dagli zoccoli
bisulci, e il candidus anser servator
arcis humanum longe praesentit odorem (682). Un diverso odore (nidor) ad sua quemque pabula ducit (685) e lo induce a schivare il veleno. Eoque modo servantur saecla ferarum.
I principia degli
odori sono più grandi di quelli della voce e non attraversano i muri di pietra,
né si spingono lontano come i suoni.
Ci sono delle incompatibilità pure nelle visioni: i leoni
fuggono davanti ai galli poiché nei loro corpi ci sono semina che entrati negli occhi dei leoni li lacerano-una credenza
popolare riferita poi da Plinio il Vecchio in nat.hist 9, 52 e ripresa da Rabelais nel Gargantua e Pantagruel 1, 10-1564- Gli stessi semi non danneggiano
le nostre pupille.
Girano anche simulacri particolarmente sottili dove vediamo
Centauri, Scille e il ceffo canino di Cerbero e i fantasmi dei morti.
Aleggiani infatti simulacri di ogni specie (735 omne genus quoniam passim simulacra feruntur).
Il centauro p.e. è dato dalla crasi dell’immagine di un cavallo e di un uomo. Nel
sonno i simulacri visti da svegli stimolano il nostro animo e così ci appaiono
i morti. La memoria languisce nel sopore languet
sopore e non ricorda la morte di
quelle persone. Questi simulacri sembrano muoversi perché ci arrivano
moltissime immagini ferme, ma in positura diversa. Queste immagini si succedono
molto velocemente celeri ratione-
773. Dei tanti simulacri che si presentano la mente vede solo quelli cui presta
attenzione, si perdono tutti tranne quelli cui l’animo è predisposto.
L’attesa dell’immagine, il desiderio di lei, predispone a
vederla.
Così avviene anche con gli oggetti nella veglia: “animus cetera perdit-praeterquam quibus est
in rebus deditus ipse” (815), perdiamo quello cui non ci dedichiamo.
Gli organi e le membra non li ha fatti l’uso ma sono le
membra che hanno fatto l’uso-quod natum
est id procrĕat usum (835) e i mezzi dell’uso.
Le membra esistevano
prima dell’impiego: la lingua precedette di molto il parlare.
Dunque essa non fu formata causā utendi (842) con il fine dell’uso.
Detto in polemica con il finalismo degli Stoici e di tutte
le scuole non meccanicistiche e non materialistiche.
Gli uomini si ammazzavano ante fuit multo quam lucida tela volarent (845) e bevevano anche
quando non c’erano i calici
Le stesse membra precedono la nozione della loro utilità.
Il cibo serve a compensare quello che perdiamo. Serve ut amorem obtūret edendi (869) deve tappare
il desiderio di mangiare. Così si sazia la ieiuna
cupido (876).
Altro argomento: come ci muoviamo: tu percĭpe dicta (880)
La mente pre-vede l’immagine di quell’atto, quindi passa
l’impulso all’anima la quale stimola le membra che si muovono.
CONTINUA
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