-tabescunt 81120): tabescere indica lo
struggersi d'amore anche in Properzio (3, 6, 23) e in Ovidio (Met. 3, 445) Dalla stessa radice il
sostantivo tabes, decomposizione e, il verbo greco, thvkw,
sciolgo.
-vulnere caeco (1120): la
ferita è cieca in quanto rimane priva di luce a chi intende l'amore quale
appropriazione ed essa non dà luce come invece fanno i vulnera sanati dalla comprensione che, lo abbiamo detto, ci parlano
come bocche non mute (cfr. il Giulio Cesare di Shakespeare) o fiorscono in
tanta luce (cfr. Siddharta di Hermann
Hesse) .
"Adde quod absumunt viris pereuntque
labore/adde quod alterius sub nutu degitur aetas/languent officia atque
aegrotat fama vacillans" (1121-1123), aggiungi che esauriscono le
forze e si annientano con la fatica, aggiungi che la vita si consuma sottomessa
ai cenni di un altro, nei doveri sei fiacco e la reputazione si ammala e
traballa.
-absumunt viris (1121 ): è solo l'amore non contraccambiato, che,
come un investimento improduttivo, provoca questa sensazione di illanguidimento;
l'eros indirizzato sulla persona congeniale, viceversa, dà un senso di
potenziamento, di vitalità rinnovata e di gioia.
-sub nutu (1122) probabilmente Leopardi ricorda questo passo
scrivendo: "Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola/sei del tuo sesso a
cui piegar sostenni/l'altero capo"[1].
Fama (1123): l'alta considerazione della fama è indizio
dell'appartenenza alla civiltà di vergogna. L'innamorato invece è un ispirato
che vede oltre le cose terrene e non si cura dell'opinione dei più.
"Labitur interea res et Babylonica
fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi
cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et
Veneris sudorem exercita potat" (vv. 1123-1128), si scialacqua nel frattempo
la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono
nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati
nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e usata beve
sudore di Venere.
Labitur... res (1123): cfr. Sofocle, Antigone , 782: " [Erw", o}" ejn kthvmasi pivptei"", Eros che sulle ricchezze ti
abbatti.
-Babylonica: nella nostra
tradizione letteraria le cose di Babilonia sono spesso esotiche, lussuriose e
smisurate.
Sentiamo, per esempio il realismo magico di Marquez: "in un mercoledì di
gloria fecero venire un treno carico di puttane inverosimili, femmine babiloniche addestrate a trucchi
immemorabili, e provviste di ogni sorta di unguenti e dispositivi per
stimolare gli inermi, aizzare i timidi, saziare i voraci, esaltare i modesti,
temperare i multipli e correggere i solitari"[2].
"Nei
codici il nostro v. 1124 si legge in realtà dopo il v. 1122 e fu il filologo
del XVI secolo Lambinus (=Denys Lambin) a dare al testo l'attuale ordine, che
ha il pregio di riferire Babylonica (come
aggettivo sostantivato di difficile comprensione: "oggetti di
Babilonia"?) a unguenta ( erano
noti i profumi di Babilonia, come informa Erodoto, Storie I, 195); l'inversione sarà stata provocata o facilitata
dall'identica iniziale delle due parole languent
e labitur . In fiunt il numero plurale (dopo il singolare res ) si spiega come attrazione da parte del predicato "[3].
Erodoto
racconta che a Babilonia hanno capellli lunghi cinti di mitre e sono profumati
in tutto il corpo memuresmevnoi pa'n
to; sw'ma (murivzw),
-rident (1125): la metafora trasferisce il sorriso dal volto della donna, o
dell'amante, al regalo di cui essi sono soddisfatti. I sandali insomma
riverberano il sorriso delle persone come la distesa marina quello di
Venere:" tibi rident aequora ponti
" (I, 8) o del sole : “innumerevole sorriso delle onde marine”, Eschilo, Prometeo incatenato pontivwn te kumavtwn-ajnhvriqmon gevlasma (88-89).
-grandes
viridi cum luce zmaragdi (1126) : evocano le spese folli dell'amante
innamorato, e, forse, occhi femminili tesi ad affascinare come quelli, già
segnalati, della Carmen di Svevo.
-thalassina
: aggettivo, hapax , è formato su qavlassa,
"mare", dunque "marina". Tale veste può riprodurre il
colore degli smeraldi o degli occhi dell'amata cui l'amante avrebbe potuto
rivolgere la battuta che Proust fa
dire a Swann rivolto a una prostituta:"Che cosa carina: ti sei messa degli
occhi azzurri dello stesso colore della tua cintura!"[4].
potat (1128) : Lucrezio vuole indicare una bevuta laida, quasi
una fellatio della vestis .
"La radice del verbo deriva dall'indoeuropeo *po- che ha dato come esito in greco pi-/po-/pw-,
in latino po- (il verbo bibo deriva da *bi-po)"[5].
"Et bene parta patrum fiunt anademata,
mitrae, /interdum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt "
(1129-113O), e il patrimonio dei padri onestamente acquistato diventano bende e
copricapi, talora si cambia in pepli e in tessuti di Alinda e di Ceo".
-anademata : è una traslitterazione di ajnadhvmata,
"bende", da ajnadevw=cingo.
-mitrae da mitra che
traslittera mivtra, ed è un copricapo orientale, una
specie di cuffia.
-pallam : è una
sopravveste da donna, pure di origine greca.
-Alidensia : da Alinda, in Caria.
-Ciaque : "di Ceo nelle Cicladi, che Lucrezio-come già Varrone
e poi Plinio (vd. nat. hist. 4, 62)-
confonde qui con Cos, celebre perle sue stoffe"[6]. Sembra che l'amore provochi sperperi
tesi a gratificare la sanguisuga amata.
Questo è detto esplicitamente nella tirata
antifemminista dell'Ippolito di Euripide di alcuni versi della quale
forse si è ricordato Lucrezio:" Quello che ha preso in casa la pianta
perniciosa gode nel porre intorno all'idolo malvagio (ajgavlmati…
kakivstw/////) ornamenti
belli e si affatica intorno ai pepli, infelice (kai; pevploisin ejkponei'-duvsthno") , distruggendo la ricchezza della
casa" (vv. 630-633). Ma la brama di tale distruttiva pianta
dell'accecamento ("ajthrovn... futovn", v. 630) non è amore poiché
l'amore è un'entità benefica e costruttiva.
Vediamo un
momento, purtroppo fuggitivo, di vero amore in Resurrezione di
Tolstoj:" Bastava che Katjuŝa entrasse nella stanza o che da lontano
Nechljùdov scorgesse il suo grembiule bianco, perché tutto gli apparisse
illuminato dal sole, tutto diventasse più interessante, più giocondo, più ricco
di significato, perché la vita diventasse più lieta. E anche per lei era
così"[7].
"Eximia veste et victu convivia,
ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam
medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat ... " (vv. 1131-1134):"si
preparano conviti con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte,
profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri
sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori.-"Eximia è ablativo concordato con il solo
veste , ma si riferisce anche a victu ; veste varrà qui vestis
stragula (a differenza di vestis al
v. 1127), drappo per divani in stoffa evidentemente preziosa"[8].
Tutto lo
sfoggio pacchiano (trimalchionesco diremmo, dopo il Satyricon, ma si può pensare anche a quello del Creso erodoteo)
attira consensi che non appagano.
Una via di
soddisfazione autentica, senza angoscia, la indica Seneca: "qui domum
intraverit nos potius miretur quam supellectilem nostram" (Ep. a Lucilio, 5, 6), chi sarà entrato
in casa nostra ammiri noi piuttosto che le nostre suppellettili.
CONTINUA
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