martedì 19 agosto 2025

La nascita della tragedia , Capitolo XVII. Un excursus: i Greci sempre fanciulli e la Storia di Atlantide nel Timeo di Platone.


L’arte dionisiaca dà una consolazione metafisica che ci strappa al congegno delle forme mutevoli. Noi superiamo la nostra individualità e, come il poeta lirico, ci identifichiamo con quell’unico essere vivente e comprendiamo la necessità dell’annientamento delle apparenze data la sovrabbondanza delle forme che si urtano e si incalzano alla vita. Nella tragedia gli eroi parlano più superficialmente di quanto non agiscano, come Amleto del resto.

 

I Greci sono, come dicono i sacerdoti egizi, gli eterni fanciulli e nell’arte tragica non sanno quale sublime giocattolo sia nato nelle loro mani.

 

 

  Platone nel Timeo racconta che quando Solone si trovava in Egitto, un sacerdote molto vecchio gli disse: “Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non esiste ’W SÒlwn, SÒlwn, “Ellhnej ¢eˆ pa‹dšj ™ste, gšrwn d “Ellhn oÙk œstin, -voi siete giovani d’anima perché in essa non avete riposto nessuna antica opinione che pervenga da una lunga tradizione, nè avete alcuna conoscenza che con il tempo sia diventata canuta (Timeo, 22b).

In Egitto si sono conservate le tradizioni più antiche, mentre gli altri popoli non hanno ricordo delle vicende più lontane nel tempo a causa dei diluvi che periodicamente ne sconvolgono la civiltà. Ci sono state catastrofi che hanno lasciato sopravvivere solo gli ignari di lettere e di Muse, sicché si è  perduto quasi dovunque il ricordo dei tempi antichi.

 

La morte di alcuni studiosi veri -come Remo Bodei e Tullio De Mauro- e la constatazione di quanto pochi rimangano della loro  “razza intellettuale” mi fa pensare a questo passo del Timeo. Già oggi gli studiosi seri che volano alto e hanno visioni d’insieme della loro disciplina sono rarae aves. Pochi sono pure quelli che capiscono un discorso radicato nella tradizione antica fatto dagli studiosi superstiti.

Anche il popolo italiano sta diventando un aggregato di fanciulli di tutte le età. Si sentono parlare settantenni spacciati per professori che non rivelano niente di nuovo né significativo né bello in quello che dicono. Eppure sono tante le persone che gradirebbeo maestri di buon formato.

 Lo capisco dai chi segue la mie conferenze e da quanti mi leggono.

 

Il calo demografico

Storicizzando i diluvi ricordati dal vecchio sacerdote egizio nel Timeo di Platone, posso devo aggiungere che il decadere della cultura, delle tradizioni e dei costumi di una nazione, spazza via la classe colta che non si riproduce.

Si pensi all’attuale declino del liceo classico con lo  studio del greco e del latino, o facendo un salto indietro, si pensi agli “Ottimati” rimproverati da Augusto perché non si sposavano e non facevano figli. Ricordiamolo

 

Cassio Dione racconta che  Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "(LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figlioli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva, LVI, 3, 7) di lavoratori e di soldati.

Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta:"a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j  ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche misura costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini[1].

Poi Augusto accusò i celibi paragonandoli ai briganti e alle fiere selvatiche: voi, disse, non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno  mangia o dorme solo:"ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI, 4, 6-7), ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza. Infine il Princeps senatus ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunse, non  mancano i vantaggi. Ci sono per giunta i premi promessi dalle leggi:"kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla", 8, 4).

 

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 Torno al Timeo  di Platone. La storia di Atlantide.

Gli Ateniesi-racconta ancora il vecchio sacerdote egizio.  novemila anni prima avevano le stesse leggi degli Egiziani e pure migliori in quanto la loro città era stata disposta e organizzata dalla dea Atena in un luogo scelto dopo avere notato in esso la mitezza delle stagioni-th;n eujkrasivan tw`n wJrw`n ejn aujtw`/ katidou`sa- 24c6-7)

Gli Ateniesi si opposero all’imperialismo di Atlantide un’isola che, posta davanti alle colonne di Eracle e più grande della Libia e dell’Asia messe insieme,  aveva invaso con tracotanza-u{brei- (24e ) tutta l’Europa e l’Asia. Ma la vostra città sconfisse gli invasori di Atlantide e pose fine una buona volta a una grande potenza-hJ povli~ uJmw`n e[pausevn pote duvnamin (24e). Allora Atene dopo avere affrontato i pericoli estremi, vinse gli invasori e innalzò il trofeo della vittoria – trovpaion e[sthsen (25c)- Aveva liberato tutti i popoli che vivevano al di qua delle colonne d’Ercole.

Una liberazione di nuovo auspicabile

 In tempi successivi però, quando ci furono terremoti violenti e inondazioni, uJstevrw/ de; crovnw/ seismw`n ejxaisivwn kai; kataklusmw`n genomevnwn,   i guerrieri ateniesi sprofondarono tutti sotto terra e l’isola Atlantide allo stesso modo  sparì sommersa dal mare h{ te   jAtlanti;~ nh`so~ wJsauvtw~ kata; th`~ qalavtth~ du`sa hjfanivsqh- Quel mare è ancora impercorribile e inesplorabile siccome è di notevole impedimento il fango che produsse l’isola andando a fondo (Timeo, 25c-d).

La storia di Atlantide si trova anche nel dialogo platonico Crizia ma per ora  torno a Nietzsche

 

La tragedia dopo Euripide sparisce ma la concezione dionisiaca del mondo sopravvive nei misteri. Fu l’ottimismo della scienza a uccidere la tragedia e la scienza deve raggiungere i limiti estremi perché la tragedia rinasca.

Cfr. Il Prometeo incatenato di Eschilo, il Frankestein  di Mary Shelley e La coscienza di Zeno di Svevo con la denuncia dei mali apportati dalle scoperte

 La scienza uccide il mito e senza mito non c’è poesia. Il nuovo ditirambo attico presentava una musica che riproduceva non la volontà stessa ma l’apparenza.

Era una musica intimamente degenerata. Aristofane colse nel segno riunendo nello stesso sentimento di odio Socrate, Euripide e i nuovi ditirambi attici la cui musica era ridotta in maniera scellerata a immagine imitatoria dell’apparenza e fu privata della sua forza creatrice di miti. Con il nuovo ditirambo la musica degenerata è divenuta una meschina immagine dell’apparenza, più povera dell’apparenza stessa.

Allora una battaglia diviene rumore di marcia e clangore di segnali. La musica è diventata schiava dell’apparenza. Euripide che aveva una natura non musicale era partigiano della nuova musica ditirambica. In effetti i cori di Euripide non hanno la densità significativa di quelli di Eschilo e di Sofocle.

 

 Con Sofocle inizia l’affermarsi della rappresentazione dei caratteri e della raffinatezza psicologica. Il carattere non è più un tipo eterno  e lo spettatore non sente più il mito ma la verità naturalistica e la forza di imitazione dell’artista. C’è il piacere e il gusto del singolo preparato anatomico. Sofocle per lo meno dipinge ancora caratteri interi. Euripide presenta solo grandi tratti caratteristici che si rivelano in violente passioni; nella commedia attica nuova ci sono soltanto maschere con un’unica espressione: vecchi frivoli, lenoni gabbati, schiavi scaltri in instancabile ripetizione. La musica diventa uno stimolante per nervi ottusi e consunti o musica descrittiva.

L’Edipo a Colono di Sofocle però mostra ancora nel modo più puro l’accento di una conciliazione proveniente da un altro mondo.  Ismene dice al padre: nu`n ga;r qeoiv sj ojrqou`si, provsqe d’ w[llusan (394), ora gli dèi che prima ti hanno abbattuto, ti raddrizzano,

Ma dopo Sofocle non c’è più consolazione metafisica, bensì l’eroe che fa un buon matrimonio o, come il gladiatore, viene prima scorticato poi riceve la libertà. E al posto della consolazione metafisica subentra il

deus ex machina. La consolazione metafisica degenera in culto segreto. La serenità greca diventa voglia di vivere senile e improduttiva. L’aspetto più nobile di questa tarda serenità è la serenità dell’uomo teoretico che dissolve comunque il mito e utilizza il dio delle macchine e dei crogiuoli.

 E’ il credere a una correzione del mondo per mezzo del sapere, credere a una vita guidata dalla scienza. Una canuta o calva assennatezza.

 

Villa Fastiggi,  19 agosto 2025 ore 13, 16 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] ll problema del calo demografico, adesso di nuovo attuale, era stato posto già nel II secolo a. C., per il mondo ellenico, da Ocello lucano e da Polibio il quale viceversa notava la virtù delle matrone romane. Nel libro XXXVI delle Storie  viene ricordata la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie. In questo caso non si tratta di interrogare o di supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi all'arroganza, all'avarizia, alla perdita di tempo, a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!

 

 


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