Nietzsche argomenti vari 44. Crepuscolo degli idoli.
Morale come contronatura 6
“Consideriamo infine anche quale ingenuità sia dire: “l’uomo dovrebbe essere così e così!” La realtà ci mostra una incantevole ricchezza di tipi, il rigoglio di un dissipante gioco e mutamento di forme: e un qualche miserabile fannullone di moralista dice: “no! L’uomo dovrebbe essere diverso!” (…) Perfino quando il moralista si rivolge al singolo e gli dice “tu dovresti essere così e così!”, non cessa di rendersi ridicolo. L’individuo è un frammento di fato da cima a fondo, una legge in più, una necessità in più per tutto ciò che sarà”.
Cfr. L’Umorismo di Pirandello. La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare nelle forme, nei concetti: tutte forme fittizie che crollano miseramente quando la vita in piena straripa (Parte Seconda, 5)
Sappiamo da Euripide che non si trova niente più forte della Necessità
Nel terzo Stasimo dell’Alcesti, il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le Muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).
Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.
E ancora: la Necessità non è meno forte di Zeus: “kai; ga;r Zeu;~ o{ti neuvsh/-su;n soi; tou'to teleuta'/” (Alcesti, 978-979), e infatti qualunque cosa Zeus approvi, con te lo porta a compimento, le dice il coro dei vecchi di Fere.
Quando ero giovane e qualcuno si comportava in maniera da me inconcepibile, mi domandavo ingenuamente: “perché fa così?”
Poi ho imparato la lezione della vita e sapevo che uno fa quello che è.
Il servo può fare solo il servo e l’uomo libero solo l’uomo libero, l’etera fa l’etera e la monaca fa la monaca
“Leggiamo qualche altra parola di Nietzsche: “Dire a una persona “cambiati” significa pretendere che tutto cambi, perfino all’indietro”.
Ogni atto della nostra vita infatti presuppone tutti i precedenti.
Se non fossi uscito dalla caserma dopo 100 giorni nel maggio del 1971 e non avessi incontrato Helena in luglio, ora sarei un altro uomo. Se alla maturità del 1978 non avessi conosciuto il presidente di commissione che nel 2000 mi avrebbe raccomandato non sarei entrato all’Università, pur avendone i titoli, e così via. Ciascuno di noi è davvero un frammento di fato.
Ancora Nietzsche: “La morale, nella misura in cui condanna è una idiosincrasia di degenerati che ha provocato danni indicibili. Noi altri, noi immoralisti, abbiamo invece spalancato il nostro cuore a ogni sorta di comprensione, di intendimento, di approvazione. Non neghiamo tutto e cerchiamo il notro onore nell’essere affermativi” (Op. cit.)
Sull’approvare tutto non sono d’accordo, mentre condivido che non è possibile cambiare a comando le persone. Anche l’educazione non può cambiare un giovane, bensì può aiutarlo a diventare quello che è, che è predisposto a diventare.
Nietzsche attribuisce la volontà perversa di cambiare le persone ai furfanti bigotti.
Crepuscolo degli idoli. I “miglioratori” dell’umanità 2
“In ogni tempo si sono voluti “rendere migliori gli uomini” ma sotto queste parole sono nascoste le tendenze più diverse. Sia l’addomesticamento della bestia uomo, che l’allevamento di una determinata specie du uomini sono stati chiamati “miglioramento” : solo questi termini zoologici esprimono delle realtà. Definire l’addomesticamento di un animale il suo “miglioramento” ai nostri orecchi suona quasi come uno scherzo”
Chi ha ripugnanza riguardo al rendere domestica una persona non si sobbarca una persona fissa in casa (domus). Se addomestichi il convivente lo violenti, se non si lascia addomesticare, è lui che violenta te (n.d. r.)
Torniamo a Nietzsche
“Chi conosce quel che succede nei serragli, dubita che proprio lì la bestia venga “migliorata”. Essa viene indebolita, resa meno nociva, attraverso il sentimento depressivo della paura, attraverso il dolore, le ferite, la fame , essa diviene la bestia malaticcia”.
Anche le guerre servono a questo. Perciò chi vuole comandare sul gregge umano non le ha mai bandite.
Ricordo di nuovo che nel Politico, Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è soltanto quella di avere cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b). Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn, tecnica dell’allevamento, non basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica. Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura (ejpimevleian) di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d ).
Crepuscolo degli idoli. Quel che manca ai Tedeschi 2.
I Tedeschi “lurchi” bevitori i birra- Nietzsche e Tacito
Nietzsche onora Dioniso e non se la prende con il vino, la bevanda celebrata con il suo dio dalle Baccanti di Euripide:
“Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli.
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
gioia del vino che toglie gli affanni” (primo stasimo, vv. 416-423)
Invece Nietzsche non approva l’amore dei Tedeschi per la birra: “Quanta fastidiosa pesantezza, fiacchezza, quanto umidore, quanta veste da camera, quanta birra c’è nell’intelligenza tedesca! Com’è possibile che uomini giovani, i quali consacrano la propria esistenza a mete spirituali, non sentano in se stesso, il primo istinto della spiritualità, l’istinto di autoconservazione dello spirito. E bevano birra? Dove non la si troverebbe la morbida degenerazione che la birra produce nello spirito!”.
Si può pensare al cattivo vangelo da birreria del disangelista Hitler.
Nella Germania Tacito descrive con ammirazione preoccupata questa gens non astuta nec callida (22, 3), non astuta né scaltrita, un popolo comunque bellicoso che considera vergogna massima avere abbandonato lo scudo (scutum reliquisse praecipuum flagitium , 6) e chi se ne è macchiato viene escluso dalle cerimonie sacre e dalle assemblee, e anzi molti usciti vivi dalla guerra misero fine alla loro vergogna con l'impiccagione.
Callidus "è colui che abbia fatto il "callo" alla vita, quindi dotato di grande esperienza concreta"[1].
A questa gens la pace è sgradita (ingrata genti quies , 14) ed è più difficile persuaderli ad arare la terra e ad aspettare il raccolto che a provocare il nemico e a guadagnarsi delle ferite:" Nec arare terram aut expectare annum tam facile persuaseris quam vocare hostem et vulnera mereri ; pigrum quin immo et iners videtur sudore adquirere quod possis sanguine parare (14), che anzi sembra pigrizia e inettitudine acquistare con il sudore quello che ci si può procurare con il sangue.
Germani, laeta bello gens si legge ancora nelle Historiae[2] (IV, 16), una razza contenta di fare la guerra.
I Germani hanno tuttavia delle debolezze: non sono ugualmente frugali nel mangiare e nel bere:"Cibi simplices, agrestia poma, recens fera aut lac concretum : sine apparatu, sine blandimentis expellunt famem", i cibi sono semplici, frutti selvatici, selvaggina fresca o latte rappreso: senza mense sontuose, senza cibi stuzzicanti, scacciano la fame.
Nei confronti della sete però non hanno la medesima moderazione, quindi, se verranno assecondati nella tendenza all'ubriachezza, fornendo loro quanto agognano, potranno essere vinti più facilmente con i vizi che con le armi :"Adversus sitim non eadem temperantia. Si indulseris ebrietati suggerendo quantum concupiscunt, haud minus facile vitiis quam armis vincentur " (Germania, 23).
Vitia erunt donec homines (Hist. IV, 74), ci saranno vizi finché ci saranno uomini scrive Tacito.
Torniamo alla Germania e al vizio della birra: “potui umor ex hordeo aut frumento in quondam similitudinem vini corruptus” (23, 1) come bevanda (dativo di fine da potus- us m.) un liquido ricavato dall’orzo o dal frumento fermentato in modo di assomigliare al vino. Del resto le tribù vicine al Reno comprano dai mercanti anche il vino.
Polibio chiama la birra oi\no~ krivqino~ (34, 9, 15) vino di orzo (kriqhv)
Note
Villa Fastiggi 28 agosto 2025 ore 19, 18 giovanni ghiselli
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