NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 28 ottobre 2013

Donne dell’Odissea. Euriclea, Anticlea, Arete, Elena, Penelope

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Elena e Paride
cratere a campana apulo a figure rosse (IV sec. a.C.)
museo del Louvre, Parigi.



Seconda parte della conferenza che terrò venerdì  22 novembre 2013 nella Mediateca di San Lazzaro di Savena.
Il tema è la donna, non poche volte esposta e soggetta a violenza.
L’orario è ancora da definire.

Euriclea, Anticlea, Arete, Elena. Penelope tra i proci.
Assaggi di antifemminismo (Esiodo Pavese e Agamennone nella Nevkuia, il canto dei morti dell’Odissea).
Nausicaa. La ragazza assimilata a un virgulto. La donna e la madre terra.
Calipso. Penelope al ritorno di Odisseo. Il massacro delle ancelle amanti dei proci

Il rispetto della moglie e della schiava.
Nel I canto dell’Odissea,  quando scende la buia sera, i Proci tornarono nelle loro case, per dormire, e pure Telemaco andò a letto, accompagnato dalla saggia  Euriclea che Laerte aveva comprato quando era ancora nella prima giovinezza (prwqhvbhn, v. 431) per venti buoi, e pertanto doveva essere stata anche bella assai, e desiderabile.
 Il re di Itaca dunque  l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto. Così evitava la gelosia della moglie Anticlea, la madre di Odisseo: "eujnh'/ d j ou[ pot  j e[mikto, covlon d  j ajleveine gunaikov"" (433)[1].
Pure Euriclea, sebbene schiava, venne trattata con rispetto e con affetto: “Omero, anche se naturalmente non pensa neppure alla possibilità di fare a meno degli schiavi, parla sempre di essi con tenerezza mista a imbarazzo. La schiavitù è per lui qualcosa di terribile che può capitare a chiunque[2] e può ‘portar via ad un uomo metà della sua umanità’. Gli eroi sono gentili con gli schiavi Eumeo e Euriclea, come con i loro pari”[3].
Anticlea, la moglie  di Laerte, padre probabile[4], non sicuro di Odisseo,
doveva  trarre ben più grandi soddisfazioni affettive dal figlio che dal marito: infatti, quando Ulisse, che l’aveva lasciata viva partendo da Itaca, la incontra fra i morti e  le domanda quale khvr, dea della morte, l’abbia uccisa, la donna risponde: è stata la mancanza di te, e il preoccuparmi di te, splendido Odisseo   so;~ te povqo~, sa; te mhvdea, faidim  j  jOdusseu` (XI, 202).
Sono partito da questo episodio poiché ci dice qualche cosa sulla condizione della donna nell'Odissea.
Queste parole si possono confrontare con il consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: gli suggerisce di chiedere aiuto non al re Alcinoo, suo padre, ma alla regina Arete, sua madre, se vuole vedere il dì del ritorno.
“Passa davanti a mio padre e getta le braccia alle ginocchia della madre nostra” (vv. 310-311).
"La posizione sociale della donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[5]. Per ottenere di ritornare ad Itaca con l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al Re, ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la
preghiera[6].
Nel’Odissea  l’adultera Elena  ha riconquistato la sua rispettabilità, anzi la supremazia dovuta al fatto di essere figlia di Zeus e di avere imparentato anche Menelao con il dio supremo: il re di Sparta quale gambro;" Diov" (Odissea, IV, v. 569), genero di Zeus, non morirà ma verrà mandato dagli dèi nella pianura Elisia, ai confini della terra dov'è il biondo Radamanto, dove la vita per gli uomini è facilissima: non c'è neve né inverno rigido, né pioggia, ma soffi di Zefiro che spirano dall'Oceano a rinfrescare gli uomini (vv. 563-568).
Nel IV canto dell’Odissea  Elena entra nella sala del banchetto scendendo dall'alto talamo profumato, simile ad Artemide dalla conocchia d'oro (vv.121-122).
La bellona è avvolta dall’aureola di quella venustà  che ha sempre posseduto e mai perduto, e per giunta accresciuta di una rinnovata rispettabilità che solo lei potrà permettersi, poco più avanti, di criticare. La figlia di Zeus quindi siede sul trono, servita, riverita e fornita, da un'ancella, di una conocchia d'oro con lana violetta poggiata in un cesto a rotelle, d'argento, con i bordi rifiniti d'oro, colmo di filo ben lavorato. Poi prende a parlare: riconosce Telemaco dalla somiglianza (invero non troppo logicamente con il figlio di Odisseo invece che con Odisseo stesso, ma i belli, si sa, possono permettersi anche una certa carenza di logica)  e  critica se stessa chiamandosi kunw'pi" (v. 145), faccia di cagna, con signorile spezzatura, con sovrana nonchalance.
Tutto quello che fa e dice la regina è molto signorile:"Nell'Odissea  Elena, tornata frattanto col primo marito a Sparta, è descritta quale prototipo della gran signora, modello di eletta eleganza e di suprema compitezza e maestà rappresentativa. E' lei a dirigere la conversazione con l'ospite, che incomincia graziosamente col rilevare la sorprendente somiglianza di famiglia, prima ancora che Telemaco le sia presentato. Ciò rivela la sua magistrale superiorità in quell'arte[7]. La rocca, senza la quale è impensabile la virtuosa massaia, che le serve le collocano dinanzi quando viene a prender posto nella sala degli uomini, è d'argento, e il fuso d'oro. L'uno e l'altra, per la gran signora, non sono più che attributi decorativi[8]"[9].
Menelao conferma l'impressione della moglie sulla somiglianza rendendola però logica.
Sul tema dell’antifemminismo, sentiamo  intanto Cesare Pavese:"Quei filosofi che credono all'assoluto logico della verità, non hanno mai avuto a che discorrere a ferri corti con una donna"[10].

Ma torniamo alla signorilità delle donne dell’Odissea.
“Quanta sicurezza  nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di donna[11].
I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[12], né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[13]. Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione.”[14].

Esiodo è il padre dell’antifemminismo letterario europeo.
Si pensi alla storia di Pandora, il “bel malanno”.
Questa prima donna esiodea, chiamata Pandora poiché tutti gli dèi le avevano fatto un dono, questo inganno scosceso e senza rimedio ("dovlon aijpu;n ajmhvcanon" Opere , v. 83), accolto incautamente da Epimeteo invano messo in guardia da Prometeo, diffuse mali e malattie sulla terra e sul mare togliendo il coperchio all'orcio dove le sciagure erano rinchiuse, sicché ora :"pleivh  me;n ga;r gai'a kakw'n, pleivh de; qavlassa", v. 101, piena è la terra di mali e pieno il mare. Nel vaso, sul quale infine Pandora ripose il coperchio per volere di Zeus, rimase solo la Speranza (Mouvnh d j aujtovqi jElpiv", v. 96).
La speranza dunque è forse un male. La donna secondo Esiodo  è il più delle volte  una cosa bella e cattiva:"kalo;n kakovn "(Teogonia , 585). E' piena di grazia, ma ha una mente da cane e un carattere ingannevole (Opere e giorni , 67). Le donne partecipano solo alle opere malvagie (Teogonia , 601 sgg.), e chi sposa una donna cattiva ha un'angoscia costante.
 Dal mito di Pandora (Opere  e Teogonia)  traspare un apprezzamento crudo e malevolo della donna. Zeus si era sdegnato poiché Prometeo l' aveva ingannato"ejxapavthse"( Opere e giorni, 47-48). Una volta gli uomini potevano vivere senza lavorare, ma Zeus li punì per colpa di Prometeo che  rubò il fuoco per darlo ai mortali. Allora Zeus decise che agli uomini in cambio del fuoco avrebbe dato un malanno:"Toi'"  d jejgw; ajnti; puro;" dwvsw kakovn", 57. Efesto allora fece la donna mescolando terra con acqua: con  questi elementi formò un incantevole corpo di vergine.
Atena le insegnò l'arte di tessere, le diede il cinto e gli ornamenti;
le Grazie e la Persuasione le posero collane d'oro intorno al collo;
le Ore la incoronarono con i fiori di primavera;
Afrodite le versò sul capo la grazia e la passione struggente "cavrin... kai; povqon ajrgalevon (66) e gli affanni che fiaccano le membra. 
Infine Ermes infuse in lei un animo sfacciato e un costume da ladro ( Opere, 67), menzogne, discorsi seducenti e un carattere scaltro, inoltre le diede la parola e la chiamò Pandora poiché tutti le avevano dato un dono (81).

Ricorderemo questo e il precedente assaggio in un prossimo capitolo sull’anti femminismo in letteratura. Parole scritte da maschi frustrati.
Ma torniamo a Jaeger e all’Odissea.
“Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea, che rappresenta in tutto idee morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte, ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[15].
Eva Cantarella non condivide questa visione e riporta dei versi che contraddicono quelli citati sopra. La figlia di Raffaele Cantarella, accademico dei Lincei, scrive
“La donna omerica non è solo subalterna, ma è anche vittima di un’ideologia inesorabilmente misogina. Sotto il paravento di un affetto paternalistico, peraltro assai fragile, l’eroe omerico diffida della donna, foss’anche la più devota e sottomessa. Ulisse, tornato a Itaca, aspetta di aver ucciso i Proci, prima di rivelarsi alla moglie. Egli si rivela a Telemaco, a Euriclea, a Eumeo: a Penelope, invece, solo dopo che la vendetta è stata compiuta. E non a caso
… Con la donna non essere mai dolce,
non confidare ogni parola che sai,
ma dì una cosa, e lascia un’altra nascosta
gli aveva consigliato l’ombra di Agamennone nell’Ade[16].
Agamennone (ucciso dalla moglie Clitennestra), aveva, questo è vero, i suoi buoni motivi per pensarla così. Ma dalla sua esperienza personale aveva tratto una generalizzazione:
Altro ti voglio dire e tu mettilo in cuore:
nascosta, non palese, alla terra dei padri
fa approdare la nave: è un essere infido la donna[17].
Neanche Penelope, dunque (che, pure, Agamennone loda per la sua fedeltà), è al riparo dal sospetto”[18].

Vediamo meglio questa storia della misoginia di Agamennone.
Nella Nevkuia, il canto dei morti dell’Odissea (XI), appare a Ulisse  la yuchv di Agamennone che è stato scannato come un bue dalla moglie e dall’amante di lei, Egisto.
 L’ex capo degli Achei combattenti a Troia dunque dice  a Odisseo: “oujk aijnovteron kai; kuvnteron a[llo gunaikov~” (Odissea, XI, 427), non c’è altro elemento più atroce e cane di una donna che tali orrori si getti nell’animo. Quel perfido mostro, Clitennestra, ha meditato un misfatto sconcio (ejmhvsato e[rgon ajeikev~, v. 429) e ha coperto di infamia tutte le donne future.
A dirla tutta, Agamennone tornò da Troia con Cassandra, la bellissima e folle figlia di Priamo. Euripide, nell’Ifigenia in Aulide, userà questo e altri argomenti per giustificare e  rivalutare Clitennestra.
Ma qualche giustificazione dell’odio di Clitennestra possiamo indicarla già ora: Agamennone nell' Iliade , afferma di preferire Criseide alla moglie in quanto la schiava-amante non  era inferiore a sua moglie " né per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere" (I, 115).
Leggendo l'Agamennone  di Eschilo anzi. pare  che sia stato questo  amore ancillare troppo elogiato a mettere  in moto il risentimento di Clitennestra che dopo l'assassinio dello sposo grida:"kei'tai gunaiko;" th'sde lumanthvrio",-Crushivdwn meivligma tw'n uJp j  jIlivw/"(vv. 1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle Criseidi sotto Ilio,.
Ma torniamo al canto dei morti dell’Odissea e concludiamo l’argomento “Tu, continua Agamennone,, non essere mite con la donna, e non confidarti: fai approdare la nave di nascosto: “ejpei; oujkevti pista; gunaixivn ” (v. 456), non le donne non ci sono patti fidati.

Nausicaa
Quanto a Nausicaa, si tratta di una ragazzina cui Atena manda un sogno per disporla a innamorarsi di Odisseo e ad aiutarlo.
L’Itacese coglie l’occasione che gli è stata offerta, ma certamente non abusa dell’inesperienza fanciulla che non subisce violenza né alcuna molestia.
Alla fine la giovanissima principessa di Scheria, l’isola dei Feaci,  saluta il suo seduttore spirituale dicendogli con grande delicatezza: “Sii felice, ospite e, tornato alla terra dei padri, ricordati di me (mnhvsh/ ejmei`  j  VIII, 462) siccome a me per prima devi la vita.
Odisseo ricambia l’augurio con piena riconoscenza del beneficio ricevuto: “ “su; ga;r m j‘ ejbiwvsao, kouvrh, tu in effetti mi hai salvato ragazza (v. 468).
Ha ragione Nietzsche:". Bisogna prendere congedo dalla vita come Odisseo da Nausicaa-benedicendola,  più che restandone innamorati"[19].
Rapporto tra Ulisse e Nausicaa. L’amore e la gratitudine.
Secondo Fausto Codino, la figlia di Alcinoo rappresenta nei poemi omerici "l'unico caso in cui si trova rappresentato il nascere e il crescere del sentimento amoroso. Il personaggio di Nausicaa gode naturalmente le simpatie di tutta la critica moderna. Nel suo caso Omero non solo parla dell'evolversi di un sentimento privato dominante ed esclusivo, ma lo mette al centro del racconto, rinnovando risolutamente per questo la tecnica della narrazione epica: l'episodio del libro VI dell'Odissea è retto da un pensiero che si era già visto nascere e crescere nella mente della fanciulla prima dell'incontro, il quale è osservato e raccontato dalla parte di lei. Nella vicenda del ritorno di Odisseo, Nausicaa è soltanto una figura strutturale episodica che poi scompare, è un personaggio di raccordo. Basterebbe dunque un cenno alla sua funzione positiva nei piani del reduce. Invece il poeta fa dei suoi vagheggiamenti amorosi il motivo dominante di tutto l'episodio... Nausicaa è nell'età in cui anche nella Grecia arcaica, si può credere, le adolescenti lasciavano i giochi fanciulleschi per infatuarsi nel pensiero dello sposo, s'invaghivano del primo ospite bello e forte che capitava e conoscevano la prima delusione. Ma che fa Odisseo di fronte alle acerbe seduzioni di Nausicaa? Intesse un idillio, educa paternamente gli slanci della fanciulla inesperta? Niente, pensa ai suoi progetti e va diritto allo scopo. Sul piano sentimentale non c'è alcuna comunicazione fra i due: Odisseo non corrisponde, né finge di corrispondere, né lusinga, né tradisce la fanciulla: non mostra neppure di comprenderla, non si sa neppure che cosa pensi di lei. Eppure egli è civile e cortese, per naturale cortesia rivolge a lei il primo delicato discorso"[20].
Vero è che Nausicaa, stimolata e predisposta da un sogno mandatole da Atena, sogna le nozze, ma Odisseo non fa niente per illuderla. Egli si adopera per la propria salvezza e, veramente, la lusinga facendole dei complimenti da agiografo. Ma non si propone come marito o amante di lei. La vezzeggia come può fare un padre con una figlia affettuosa e carina.
Il fatto è che: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto”[21].
L'utile presente nelle testa di Ulisse, il profitto e il vantaggio, appaiono contrastanti con l'amore il quale, è vero, deve essere assolutamente gratuito. Ma Ulisse non propone il proprio amore alla ragazza.
Del resto che cosa c'è di tanto positivo nell'amore quanto l'aiutarsi gratis a vicenda? Questo aiuto comporta la gratitudine che è uno dei sentimenti più belli, e Odisseo la manifesta alla fanciulla che lo ha aiutato.
Ma leggiamo cosa dice l’uomo provato all’adolescente inesperta:
"ti prego, signora, sei forse tu un dio o  un mortale?/se davvero sei un dio, di quelli che abitano l'ampio cielo,/ad Artemide io, alla figlia di Zeus grande,/per aspetto e  statura e figura ti assomiglio assai da vicino/.Se invece sei uno dei mortali, che dimorano sulla terra,/tre volte felici (trismavkare~) certo per merito tuo il padre e la veneranda madre,/tre volte felici i fratelli: molto, credo, a loro l'animo/tutte le volte di letizia si scalda per te/quando vedono un tale germoglio (toiovnde qavlo~) entrare nella danza./Ma quello nel cuore è in modo speciale il più felice al di sopra degli altri/che carico di doni nuziali ti porti a casa./Non ancora infatti una tale creatura io vidi con gli occhi/,né uomo né donna: venerazione mi prende a guardarti./Invero una volta a Delo presso l'altare di Apollo siffatto/ vidi alzarsi un nuovo virgulto di palma (foivniko~ nevon e[rno~)./Arrivai infatti anche là, e molta gente mi seguì/per quel viaggio nel quale cattivi affanni (kaka; khvde j[22]) era destino che ci sarebbero stati per me./E così allo stesso modo vedendo anche quello rimanevo stupito nell'animo/a lungo, poiché
Frederic Leighton, Nausicaa
circa 1878
non ancora un tale fusto si era alzato dalla terra,/come te, donna, ammiro e sono preso da stupore e temo terribilmente/ di toccarti le ginocchia: ma un duro dolore mi pervade". (vv. 149-169).
Odisseo, nel suo encomio totale, assimila la ragazza prima alla dea Artemide, la dea vergine, povtnia qhrw'n signora delle fiere come si ricorderà, poi a un germoglio e a un virgulto, mettendone in risalto la sacra naturalezza. Si pensi che Saffo  per  nobilitare un uomo lo paragona a un vegetale:""A che cosa, caro sposo, posso paragonarti con efficacia?/ A un giovane ramo flessibile ti paragono precisamente (" o[rpaki bradivnw/ se mavlist j ejikavsdw", fr. 127 D. ).
Aristocratica è la classe di provenienza di Saffo, come l'educazione impartita alle allieve, ma niente è nobile quanto la natura, la quale è aristocratica “più aristocratica di qualsiasi società feudale basata sulle caste”[23] . E alla natura come modello, siccome ricca di bellezza, indirizzano la loro attenzione tanto la poetessa di Lesbo quanto Omero.
La ragazza virgulto, fiore, erba.
La ragazza bella e vivace ha  evocato diverse volte il ricordo di una forza rigogliosa della natura.
Vediamone qualche esempio. Nel Cantico Dei Cantici  lo sposo dice alla sposa:"La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli. Ho detto:"Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri; mi siano i tuoi seni come grappoli d'uva e il profumo del tuo respiro come di polmi" (Quarto Poema).
Leopardi definisce "una giovane dai sedici ai diciotto anni... Quel fiore, insomma, quel primissimo fior della vita"[24].
Questo aspetto non è ignorato dal seduttore di Kierkegaard: "Slanciata e altiera ella era, misteriosa e grave come un abete, un virgulto, un pensiero, che dal grembo della terra germogli verso il cielo, incomprensibile, incomprensibile perfino a se stesso, un tutto che non ha parti... Questa essenza della donna... Viene indicata giustamente come Grazia, espressione questa che ricorda la vita vegetativa; ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di vegetativo"[25].
Proust individua nei capelli di Gilberte qualcosa di naturale e di sacro, come Ulisse in Nausicaa: "Le trecce di Gilberte in quei momenti mi sfioravano la guancia. Nella finezza della loro gramigna, naturale e soprannaturale ad un tempo, nel volume dei loro accurati viticci, esse mi sembravano un'opera unica per cui si fosse utilizzata l'erba stessa del paradiso"[26].
La ragazza  è vista come entità sacra e naturale nello stesso tempo. Anche l'accostamento  della donna adulta alla natura è un topos letterario; anzi Mircea Eliade nel Trattato di storia delle religioni  fa notare che"l'assimilazione fra donna e solco arato...è intuizione arcaica e molto diffusa" (p. 265).
Per questo tipo di similitudine,  volto a significare la fertilità e la maternità piuttosto che l'aspetto primaverile e adolescenziale, si possono trarre esempi da un paio di tragedie sofoclee.
Nel quarto stasimo dell' Edipo re (1210-1212), il coro domanda al protagonista: "come mai i solchi paterni  poterono sopportarti fino a tanto in silenzio, o infelice?" I solchi paterni (aiJ parw`/ai a[loke~) sono quelli già seminati dal padre di Edipo, Laio che fecondò Giocasta.
Nelle Trachinie ,  Deianira lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, e come marito si comporta alla pari di un colono assenteista che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo una volta quando semina e una quando miete (speivrwn movnon prosei`de kajmaxw`n a{pax” v. 33).
Nell’Antigone, Creonte intende ammazzare la fidanzata del suo stesso figlio, tanto, argomenta, ci sono campi da arare anche di altre ( ajrwvsimoi ga;r caJtevrwn eisi;n guvai”, v. 569).
Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un  autore moderno , uno dei massimi del Novecento, Robert Musil (1880-1942) che, in L'uomo senza qualità , compie l'operazione inversa: assimila la terra alla donna. "Ulrich la trattenne e le mostrò il paesaggio: ‘Mille e mille anni fa questo era un ghiacciaio. Anche la terra non è con tutta l'anima quello che momentaneamente finge di essere - egli spiegò - questa creatura tondeggiante è di temperamento isterico. Oggi recita la parte della provvida madre borghese. A quei tempi invece era frigida e gelida come una ragazza maligna. E migliaia di anni prima si era comportata lascivamente, con foreste di felci arboree, paludi ardenti e animali diabolici’"( p.279).

Concludo con D'Annunzio: in Il Piacere (1889) Andrea Sperelli dichiara che "fra i mesi neutri" aprile e settembre preferisce il secondo in quanto "più feminino... E la terra? - aggiunge - Non so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una una bella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d'un sorriso attonito, pallido, inestinguibile. E' un'impressione giusta! C'è qualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di settembre!"(p. 169).
In Il Fuoco (1890) l'amante non più giovane, la grande attrice tragica Foscarina, viene assimilata, tra l'altro, a "un campo che è stato mietuto"(p. 306).
Ma ora torniamo al VI dell’Odissea e concludiamo questa  parte relativa a Nausicaa.
Dice ancora Odisseo: "Ma, signora, tu sii pietosa: da te infatti per prima sono giunto supplice/dopo avere sofferto molti mali, e non conosco nessuno degli altri/uomini che abitano questa città e il territorio./Fammi vedere la rocca, e dammi uno straccio da buttarmi addosso/se mai venendo qui avevi un telo dei panni./A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri nel tuo cuore,/un uomo e una famiglia e la concordia (oJmofrosuvnhn) vi diano/buona: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso di questo,/di quando concordi nei pensieri (oJmofronevonte) reggono la casa/l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,/e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro (175-185).
Come si vede Odisseo augura le nozze a Nausicaa, ma non propone se stesso come sposo.
L’Itacese voleva assolutamente tornare a casa, desiderava il ritorno sopra ogni cosa. Il tabù, il divieto che Odisseo si è imposto e sente con maggior forza è  novstou  laqevsqai (Odissea, IX, 97) “dimenticare il ritorno”.
“L'espressione che Omero usa in questi casi è "scordare il ritorno". Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve dimenticare l'Odissea. Ma anche l'aedo che compone improvvisando o il rapsodo che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se vogliono "dire il ritorno"; per chi canta versi senza l'appoggio di un testo scritto "dimenticare" è il verbo più negativo che esista; e per loro "dimenticare il ritorno" vuol dire dimenticare i poemi chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro repertorio"[27]. 

Calipso
Fin dal primo canto dell’Odissea,  Atena dice a Zeus che Ulisse si trova in un'isola amena, dov'è l'ombelico del mare (v. 50) e vi abita una dea la quale cerca di incantarlo con dolci e seducenti parole perché dimentichi Itaca, ma egli, per il desiderio di scorgere anche solo il fumo che balza dalla sua terra, agogna  morire ("iJevmeno" kai; kapno;n ajpoqrwv/skonta noh'sai-h|" gaivh", qanevein iJmeivretai",  I, vv. 58-59).
Nel V canto Atena intercede di nuovo per il rientro a Itaca del suo protetto. Ricorda a Zeus che Odisseo giace  soffrendo dure pene nell’isola dove Calipso lo tiene per forza ( h{ min ajnavgkh/-i[scei, vv. 14-15). Il padre degli dèi si convince e manda Ermes a Ogigia perché ordini a Calipso di lasciar partire Ulisse. Ermes  si recò nell’isola a volo (pevteto, v. 49), poi entrò nella grande spelonca (mevga spevo~, v. 57),  dove abitava la ninfa dai bei riccioli: la trovò, ma non con lei non c’era Odisseo il quale piangeva seduto sulla riva (o{ g j  ejp j ajkth`~  klai`e kaqhvmeno~, v. 82) , lacerandosi l'anima con lamenti e dolori, e lanciava lo sguardo sul mare infecondo versando lacrime. Calipso chiese a Ermes la causa della sua venuta, non senza offrirgli il pranzo ospitale e permettergli di desinare prima di rispondere. Ermes riferì alla ninfa il volere di Zeus. Allora rabbrividì (rJivghsen) Calipso, luminosa tra le dèe (v. 116),  poi si mise a parlare. Rinfacciò agli dèi la loro invidia della felicità sessuale delle dèe con i mortali ricordando i casi di Aurora e del cacciatore Orione, che fu ucciso da Artemide[28], e di Demetra con Iasìone che venne fulminato da Zeus.
Ora l'invidia degli dèi colpisce Calipso e gli vuole strappare Odisseo che ella aveva salvato dopo il naufragio causato dal fulmine abbagliante di Zeus. Non è giusto, ma se questa è la volontà del Cronide, ella obbedirà: lascerà partire Ulisse, e, pur se non potrà soccorrerlo, gli darà volentieri consigli e non gli nasconderà il modo di tornare sano e salvo nella sua terra (vv. 143-144).
Infine Ermes ripartì e Calipso andò in cerca del magnanimo Ulisse. Quindi “lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa" (ejpei; oujkevti h{ndane nuvmfh,  V, 151-153).
Quattro parole per spiegare un fatto naturale colto nella sua essenzialità.
Non c’è bisogno di chiacchiere per spiegare il calo o la mancanza del desiderio.
Calipso gli dice che lo lascia partire, che, anzi, lo aiuterà a partire dandogli il viatico di pane,acqua, vino rosso  (si`ton kai; u{dwr kai; oi\non ejruqrovn, v. 265) e vesti (ei{mata, v. 167). Odisseo è, come sempre, diffidente, ma Calipso giura sulla terra, sul cielo e sullo Stige, il giuramento più grande e terribile, che lo aiuterà con lo stesso impegno con il quale provvederebbe a se stessa “poiché - dice - sono giusta e nel mio petto non c’è un cuore di ferro ma compassionevole” ( ujde; moi aujth`/qumo;~ ejni; sthvqessi sidhvreo~, ajll j ejlehvmwn, vv. 190-191)

La nobiltà di Calipso.
E' nobile questa reazione della persona abbandonata la quale capisce le ragioni del distacco e aiuta l'amante che se ne va. Poiché quando un uomo e una donna si scambiano aiuto e piacere, se davvero sono un uomo e una donna e non due caricature di esseri umani, non può non rimanere la riconoscenza per quanto si è ricevuto e la soddisfazione per ciò che si è dato.
Segnalo, viceversa, il peccato che  il Giobbe  di J. Roth attribuisce a se stesso e alla moglie morta:" Piena di travaglio e senza senso è stata la tua vita. Nella giovinezza ho goduto della tua carne, più tardi l'ho sdegnata. Forse è stato questo il nostro peccato. Perché non c'era in noi il calore dell'amore, ma fra noi il gelo dell'abitudine, tutto è morto intorno a noi, tutto è intristito e si è rovinato"[29].

Conclusione su Nausicaa.
 E’ dunque evidente che Odisseo non intendeva sistemarsi a Scheria sposando la principessa dell’isola o diventando il suo amante.
Certamente, trovandosi nel bisogno, il figlio di Laerte, o di Sisifo che sia, cerca di farsi aiutare, e per ricevere attenzione, deve tentare di rendersi gradito, di piacere.
Ma lo fa come un padre che vuole piacere alla propria figliola
Piero Boitani infatti la assimila ad altre figlie, compresa la sua.
“Quando le parla la prima volta, Odisseo la scambia per un’immortale, paragonandola ad Artemide, la figlia cacciatrice di Zeus. Quindi, appena pensa che possa essere una mortale, la vede come un “germoglio che muove alla danza”, una cosa mai vista, che desta “sgomento” (sébas, occorreva recitare con la meraviglia sulle labbra, m’ échei eisoróonta, “stupore mi prende guardandoti”). Germoglio, sì: thállon; e subito “virgulto di palma”… La immagina muoversi a passo di danza, Odisseo: e Nausicaa, per noi, fa il suo ingresso nel coro, aerea e lieve, sottile e flessuosa come un virgulto di palma (la similitudine verrà raccolta, non per niente, da Saffo). Ella è la benedizione del padre, della madre, dei fratelli, del futuro marito: fonte di felicità, di beatitudine.
Nausicaa è una Grazia e la grazia. Assomiglia in molti modi a quelle giovani donne delle quali, dalla tragedia di Re Lear ai “romances”, sono pieni gli ultimi drammi di Shakespeare. Cordelia, Marina, Imogene, Perdita, Miranda. Figlie, tutte, di vecchi padri, tutte, per loro, benedizioni, grazie beatificanti: sulla Terra, qui e ora. Nausicaa è la consolazione, la speranza, la vita.
Per me, ora, è mia figlia Giulia: colei che sentivo come un’intrusa e che adesso è fiorita come un germoglio di palma. Su; gavr m’ ejbiwvsao, kouvrh[30]: tu mi hai salvato, o fanciulla: tu mi hai dato la vita. Volevo, quando nacque, chiamarla proprio Nausicaa, ma moglie e figli si ribellarono al nome straniero, antiquato-dicevano- e troppo letterario. Intanto, mentre scrivo queste righe, sto per recitare un’altra volta, a Ravenna e a Cetaldo, un Odisseo e Nausicaa in greco. E all’improvviso mi rendo conto che Nausicaa significa “colei che primeggia fra le navi”. E’ Giulia, la più cara delle navi: snella e leggera, muove a passo di danza sulle onde del mare, mentre io mi faccio pesante e navigo, assonnato, verso il porto”[31].

Penelope al ritorno di Odisseo
Un’ultima breve sezione riguarda il comportamento di Penelope al ritorno di Odisseo. I due coniugi hanno in comune l’intelligenza, l’accortezza (p. e. perivfrwn Penhlovpeia, Odissea,  I, 329).
 Odisseo travestito da  mendicante ravvisa in  Penelope le buone qualità del re che fa prosperare la sua terra (XIX, 107-111). Lo stesso Antinoo, pur polemizzando con Telemaco, riconosce che Penelope è una donna eccezionale: “fivlh mhvthr , h{ toi peri; kevrdea oi\den”, (II, 88), la tua cara madre  che sa troppe astuzie.
Atena le ha donato atti bellissimi a sapersi,  pensieri di valore (II , 117) e kevrdea, astuzie quali nemmeno le antiche eroine Tiro, Alcmena e Micene sapevano fare e dire. E’ certamente una lode ambigua, è un elogio pieno di sospetto, non privo di paura.
Infatti Penelope ispirata da Atena pose per i pretendenti l’arco e il ferro nel megaron  di Odisseo  (XXI, 1-2).

La diffidenza di Odisseo e quella di Penelope.
Un altro aspetto che associa Penelope a Odisseo è  la diffidenza.
“Essendo la diffidenza un tratto tipico della saggezza omerica, Penelope non crede né a Euriclea, né a Telemaco” [32]  .
In precedenza Odisseo aveva messo in dubbio le intenzioni di Calipso, non certo cattive .
Non si fidava della ninfa che voleva fargli passare mevga lai`tma qalavssh~ (V. 174) , un abisso immenso di mare schdivh/, su una zattera.  Uguale cautela usa Odisseo con Leucotea che gli offre il velo-talismano (krhvdemnon, V, 346) con il quale dovrà gettarsi dalla zattera.
Odisseo mermhvrixe (v. 354), ci pensò su, e non si tuffò, ma fu gettato in acqua da un’onda.
Quando Odisseo arriva a Itaca, gli si fa incontro Atena simile a un giovinetto pastore di greggi, e il reduce, sebbene non richiesto della identità, non le dice  il vero (oujd j o{ g j ajlhqeva ei\pe (XIII, 254), ma si inventa di essere scappato da Creta dove avrebbe ucciso un figlio di Idomeneo.
Un’identità da Cretese è scelta bene: lo afferma proprio il cretese Epimenide, profeta delle Erinni: L’apostolo Paolo ricorda che il  profeta caratteristico (proprius) dei Cretesi disse: “Krh`te~ ajei; yeu`stai, kaka; qhriva, gastevre~ ajrgaiv ( Lettera a Tito, I,  12) Cretenses semper mendaces, malae bestiae, ventres pigri.
Allora rise Atena (meivdhsen, 287), e,  rivelandosi,  lo accarezzò, poi gli disse: “ sarebbe scaltro (kerdalevo~[33], 291), e astuto ingannatore chi ti superasse in tutti gli inganni, anche se è un dio che ti incontra”.
La dea quindi gli riconobbe una somiglianza con se stessa: “ anche io sono come te: eijdovte~ a[mfw- kevrde j , conosciamo entrambi il modo di trarre profitto: tu sei di gran lunga il migliore di tutti i mortali per consiglio e parola ("boulh'/ kai; muvqoisin", XIII, 298), io fra tutti gli dèi sono famosa per senno e accortezza ("mhvti te klevomai kai; kevrdesin", 299).
Sono entrambi capaci di individuare i nessi. Intelligenza in greco è suvnesi~, da sunivhmi, “metto insieme”.
Ebbene Penelope è simile a suo marito . In fondo l’Odissea è un campo di battaglia dove gli intelligenti (Odisseo, Telemaco[34], Penelope) prevalgono sui cretini (i proci, il Ciclope etc.).
Gli stupidi sono anche immorali, smodati, eccessivi nel mangiare e nel bere, violenti
Penelope ha in comune con il consorte anche il prendere tempo. 
Odisseo con il Ciclope adotta la strategia dell’attesa, come Penelope con i proci
Nella diffidenza poi la moglie supera il marito: Penelope è  restia a credere alla vera identità di Odisseo anche dopo la mnesterofonia che l’ha rivelata: a Euriclea che le annuncia il massacro dei proci, la regina dice che i pretendenti sono stati ammazzati da qualche nume ed essi dij ajtasqaliva~ (XXIII, 67), per la loro stupida presunzione sono andati in malora.
Poi Penelope scende dal piano alto. Quindi i due sposi siedono uno davanti all’altro e nessuno dei due parla. Odisseo seduto nel chiarore del fuoco (ejn puro~ aujgh`/, v. 89)  vicino a un’alta colonna ( v. 90, pro;~ kiovna makrhvn)  aspettava che sua moglie gli dicesse qualcosa. “Si produce dunque una scena surreale, dove il silenzio esprime la reciproca attesa di due intelligenze che si guardano allo specchio, e viene rotto dall’unico terzo possibile, Telemaco”[35].

 Telemaco rimprovera la madre perché non butta le braccia al collo del marito e Penelope gli risponde che il suo qumov~ è attonito (tevqhpen XXIII, 105) nel petto. Comunque se l’ospite è davvero Odisseo, loro due si riconosceranno poiché hanno dei segni (shvmaq j )che solo loro due conoscono in quanto sono kekrummevna (110), coperti dal segreto.
La gioia di Penelope è trattenuta in quanto “vaccinata dalla minaccia della delusione”[36].
Odisseo a un certo punto si irrita davanti alla diffidenza eccessiva di Penelope e la chiama daimonivh (v. 166) disgraziata, cui  gli dei  fecero un cuore ajtevramnon (167) duro, quindi ordina a Euriclea di preparargli il letto dove può dormire anche da solo.
La moglie lo mette alla prova e ordina alla nutrice di stendere per l’ospite il  letto robusto di Odisseo fuori dalla solida stanza: “ jall j a[ge oiJ J stovreson pukino;n levco~ , Eujruvkleia-  ejkto;~ eu>staqevo~  qalavmou” (XIII, 176-177).
Odisseo  a questo punto si arrabbia e perde il solito autocontrollo: il suo letto infatti non è spostabile siccome l’ha fatto lui, con le sue mani su un tronco d’olivo grosso come una colonna. Intorno a quello egli costruì la stanza (v. 192).
Così Penelope ha shvmat j e[mpeda (206)  segni sicuri (saldamente fissati al suolo).
Quindi c’è il ricongiungimento sessuale: giunsero al diritto del letto antico: “ levktroio palaiou` qesmo;n i[konto” (v. 296). E’ il lieto fine canonico della letteratura occidentale sottolineato dagli alessandrini Aristarco e Aristofane di Bisanzio, ma il valore erotico dell’incontro è accentuato pochi versi più avanti: i due sposi,  quando ebbero goduto dell’amore gradevole  (Tw; d’ ejpei; ou\n filovthto~ ejtarphvthn ejrateinh`~, v300), godettero nel parlarsi.  terpevsqhn muvqoisi (v. 301).
 Penelope raccontò i suoi martìri o{s j ajnevsceto (v. 302) quanto sopportò  dai proci sfacciati e Odisseo narra le pene (khvdej 306) subite e inflitte. Più intenso per due personaggi siffatti è il valore erotico della parola che il contatto tra i corpi.
Odisseo menziona tutte le tappe del suo pellegrinare: i Ciconi, i mangiatori di Loto, il Ciclope, Eolo, i Lestrigoni, Circe, l’incontro con le yucaiv de morti[37]  con Tiresia[38] e con la madre, le Sirene, Scilla e Cariddi, le vacche del Sole, Calipso la quale desiderava che fosse suo sposo lilaiomevnh povsin ei\nai (XXIII, 334) nelle profonde caverne, ma non poteva convincerlo, sebbene gli promettesse che lo avrebbe reso immortale e immune da vecchiezza per sempre (qhvsein ajqavnaton kai; ajghvrwn h[mata paventa, 336).
Ulisse però non dice alla moglie che “la notte dormiva sempre ( V, 154)” con Calipso. E’ pur vero che ci dormiva ajnavgkh/, per forza , almeno negli ultimi tempi.
L’ultima tappa prima del lieto fine nel letto con Penelope è l’isola dei Feaci che lo hanno onorato come un dio (XXIII, 339) e l’hanno riportato a casa.
Ma di Nausicaa nemmeno una parola. Certamente la simpatia reciproca tra Odisseo e la fanciulla in fiore non sarebbe riuscita gradita a Penelope, un fiore di vent’anni prima. Visto, come si è detto, che i due erano tanto simili, non è impossibile che anche Penelope abbia nascosto qualcosa a Odisseo, al figlio, a Laerte, ingannandoli come aveva ingannato i suoi pretendenti con la storia del sudario di Laerte.

Concludo la già lunga sezione sulle donne dell’Odissea con il massacro delle ancelle che non avevano disdegnato i proci come aveva fatto la loro regina.
Siamo nella parte finale de XXII canto, subito dopo la strage dei proci.
Odisseo ha appena terminato la mnesterofonia, quando Euriclea gli dice che delle cinquanta ancelle, dodici giunsero all’impudenza ( ajnaideivh~ ejpevbhsan, 424), ossia non rispettarono i padroni. Quindi la nutrice emerita vorrebbe portare la buona notizia a Penelope, ma Odisseo le ordina di non svegliarla ancora  ( mhv pw thvnd j ejpevgeire, v. 431): prima Euriclea deve convocare le dodici ancelle sfrontate.
Quindi comanda a Telemaco, al porcaro Eumeo e al bovaro Filezio di far pulire la sala alle ancelle infedeli e di ucciderle.
Le donne entrarono tutte insieme “terribilmente gemendo, versando gran pianto” (v. 447). Portarono fuori i cadaveri dei proci, e pulirono i seggi e le mense con acqua e spugne dai molti buchi ( u{dati kai; spovggoisi polutrhvtoisi, XII, v. 453). Poi portarono fuori lo sporco raschiato dal suolo. Quindi vennero ristrette in breve spazio dal quale non potevano scappare e Telemaco disse che non   avrebbero ucciso con una morte pulita  kaqarw`/ qanavtw/ (v. 462) le donne che versavano insulti sul capo di Telemaco e di Penelope e andavano a letto  con i pretendenti (para; te mnhsth`rsin i[auon, v.  464).
Quindi le impiccarono: allora un orrido letto le prese (stugero;~ d j uJpedevxato koi`to~, 470) perché morissero nel modo più miserevole come tordi dalle larghe ali o colombe prese in una rete.
Chiudo con questo verso:
h[spairrn de; povdessi mivnunqav per, ou[ ti mavla dhvn (XXII,475), si dibattevano con i piedi, ma per poco, certo non molto a lungo.

giovanni ghiselli   

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[1] Amintore, il genitore di Fenice, dovette pagare cara l’infedeltà maritale  con una pallaki;~ kallivkomo~ (Iliade, IX, 449): la moglie  gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante dell'amante del padre il quale lo maledì. Fenice fuggì a Ftia dove divenne l’educatore di Achille.
[2] Euripide scriverà:" oujk e[sti qnhtw'n  o{sti" e[st' ejleuvqero"-h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch""( Ecuba, vv. 864-865), non c'è tra i mortali chi sia libero: infatti siamo schiavi delle ricchezze oppure della sorte.  E’ Ecuba, la madre dolorosa, che parla con Agamennone dopo la caduta di Troia. Al cesti nella tragedia di Euripide  ha con i servi quel comportamento amichevole riservato loro dall'alta aristocrazia di tutti i tempi: da Seneca ai Guermantes  di Proust. Seneca nella Lettera 47 toglie loro l’epiteto di servi  e li definisce  humiles amici, contubernales, conviventi, persone sulle quali la fortuna può tanto quanto può nei confronti di ogni uomo. (Ndr.)
[3] G. Murray, Le origini dell’Epica Greca, p. 29.
[4] Una nota di Servio a Eneide VI 529 dove Ulisse è chiamato “hortator scelerum Aeolides    ricorda la leggenda secondo cui  Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe avuto una relazione con Sisifo, figlio di Eolo,  dal quale avrebbe avuto Odisseo.
[5] Odissea VII, 67: Alcinoo la onorò come nessuna sulla terra è onorata kai; min
e[tis  j wJ~ ou[ ti~ ejpi cqoniv tivetai.
[6] Per il suggerimento di Nausicaa, v. VI 310-315. Cfr. VII 142  (alle ginocchia di Arete gettò le braccia Odisseo). Anche Atena parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi figli per Arete: VII  66-70.
[7] d 120 sgg. Cfr. specialmente le sue parole a vv. 138 ss.
[8] IV, 131.
[9] Jaeger, Paideia  1, p. 62.
[10]Il mestiere di vivere , 19 febbraio 1938.
[11] I, 330 ss Quando scende le scale e appare nel megaron tra due ancelle, chiede a Femio di non cantare il novston degli Achei poiché la cosa la fa soffrire. Invero la zittisce Telemaco cui Omero attribuisce la sua poetica: il canto deve essere il più nuovo possibile e suscitare diletto. Nel XVI canto, Penelope si rivolge ai proci chiedendo loro di non fare del male a Telemaco, ed Eurimaco le risponde con rispetto, chiamandola perivfron Phnelovpeia (v. 435), Penelope saggia. Nel XVIII canto, come Penelope appare, i proci provano desiderio d’amore per lei che era stata resa più bella da Atena (più bianca dell’avorio tagliato, leukotevrhn d’a[ra min qh`ke pristou` ejlevfanto~, v. 196.
[12] La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590-612). 
[13] Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle  jHoi'ai, giunteci col nome di Esiodo.
[14]Jaeger, Paideia  1, pp. 63-64.
[15]Jaeger, Paideia  1, pp. 63-64.
[16] Od., 11, vv. 441-443.
[17] Od., 11, vv. 454-456.
[18] Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, p. 46.
[19]Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 96.
[20]F. Codino, op. cit., pp. 144 e 145.
[21] Leopardi, Zibaldone, 527.
[22] Può essere che in Nausicaa si muova anche un sentimento simile a quello di Desdemona di fronte ai discorsi e ai trascorsi di Otello :"Finita la mia storia, ella mi diede per le mie pene un mondo di sospiri: ella giurò, in fede, era strana, era oltremodo strana, era pietosa, era meravigliosamente pietosa...ella mi amò per i pericoli ch'io aveva passati, ed io l'amai perché ella n'aveva pietà (She loved me for the dangers I had pass'd,/and I loved her that she did pity them) W. Shakespeare, Otello, I, 3.
[23] Schopenhauer, Parerga e paralipomena (del 1851), Tomo I, p. 275.
[24] Zibaldone , 4310.
[25] Diario del seduttore  p. 44 e p. 138.
[26] All'ombra delle fanciulle in fiore , p. 83.
[27] I. Calvino, Perché leggere i classici , pp. 15-16.
[28] Poi mutato in costellazione: Cfr “Quando Orїon dal cielo/declinando imperversa,”  l’incipit dell’Ode La caduta del Parini
[29] J. Roth, Giobbe , p. 141.
[30] Odissea, VIII, 468.
[31] P. Boitani, Sulle orme di Ulisse, pp. 266-267.
[32] Guido Paduano La nascita dell’eroe.Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale, p. 26
[33] capace di trarre kevrdo~ profitto
[34] pepnumevno" assennato”, Odissea I, 367
[35] Guido Padano Op. cit, p. 162
[36] Paduano, Op. cit., p. 163.
[37] Ma dice che giunse nella dimora putrescente di Ade, v. 322. Che si sia inventato tutto?
[38] Senza rivelarne la profezia.

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