La sepoltura dei morti è un gesto minimo, e obbligatorio,
della pietas umana “dal dì che nozze tribunali ed are / diero alle umane
belve esser pietose / di se stesse e d’altrui”.
Da allora, continua Ugo Foscolo, “toglieano i vivi / all'etere
maligno ed alle fere / i miserandi avanzi che Natura / con veci eterne a sensi
altri destina (I sepolcri, 91-96).
Epigrafe di questo splendido carme è una legge delle Dodici Tavole, il primo codice romano
che risale alla metà del V secolo a. C.: “Deorum Manium jura sancta sunto”. I diritti degli dèi Mani siano sacri, insomma siano sacre le
leggi che riguardano i morti
Non solo e non tanto le leggi scritte, quanto quelle della
coscienza o degli dèi, come le chiama Sofocle
nell’Antigone.
In questa tragedia Creonte, il capo dei Tebani, vuole impedire la sepoltura del nipote Polinice che, esiliato dal fratello Eteocle e
rifugiatosi in Argo, ha radunato un
esercito e ha attaccato la propria patria guidando le truppe ostili alla città beota,
con altri sei capi. La schiera dei Sette contro Tebe è stata respinta dai guerrieri difensori, ma
il capo dei Tebani aggrediti, Eteocle, è morto ammazzando il fratello
comandante degli aggressori.
Ebbene, un bando del nuovo capo, il loro zio Creonte,
cognato di Edipo, ordina che Eteocle sia sepolto con tutti gli onori, mentre il
fratello traditore sia lasciato insepolto, pasto per i cani e gli uccelli che
lo fissano per la gioia del cibo (Sofocle, Antigone,
vv. vv.29-30)
Nell’Antigone di
Alfieri, la protagonista eponima, sorella dei due morti, definisce “cruda
legge” (II, 176) e “inuman divieto” (II, 180) la proibizione di seppellire
Polinice.
Infatti lei, la sorella Ismene e i due fratelli maschi sono
nati tutti dalle stesse viscere[1],
quelle di Giocasta e dallo stesso seme, quello di Edipo.
Contro il decreto
disumano del tiranno, Antigone si
rifiuta di obbedire dicendogli queste parole: "Secondo me non è stato per
niente Zeus il banditore di questo editto / né Giustizia che convive con gli dei
di sotterra / determinò tali leggi tra gli uomini, / né pensavo che i tuoi
bandi avessero tanta / forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare / i
diritti degli dei, non scritti e non vacillanti[2].
Lo stesso pensa il coro dell'Edipo re che nella prima
strofe del secondo Stasimo, punto nodale della tragedia, canta: "Oh, mi
accompagni sempre la sorte di portare / la sacra purezza delle parole / e delle
opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi / sublimi, procreate / attraverso
l'aria celeste di cui Olimpo è padre da solo né le / generava natura mortale di
uomini / né mai dimenticanza / potrà addormentarle: / grande c'è un dio in loro
e non invecchia" (vv. 863-872).
Non insultare i morti che non possono difendersi è una delle
leggi non scritte.
Ma un tiranno non può essere pio. Lo dice chiaramente, nell'Aiace
di Sofocle, Agamennone a Odisseo che lo esorta a non calpestare il
suicida: "to; toi tuvrannon eujsebei'n
ouj raJ/dion" (v. 1350), non è facile che sia pio chi detiene il
potere assoluto.
La coraggiosa ragazza Antigone dunque, trasgredisce il
divieto di Creonte e seppellisce, simbolicamente, il proprio fratello
cospargendogli la faccia con una manciata di terra. Il capo dei Tebani fa
togliere la sottile copertura dal volto
di Polinice e fa arrestare la nipote che non rinnega il proprio gesto pietoso.
Il Creonte tiranno[3]
dell'Antigone è nemico dell'uomo: tanto che fa disseppellire il nipote morto e seppellire in una caverna la
nipote viva, Antigone, che poi si impicca. Un suicidio cui seguono, a catena,
quelli di Emone, fidanzato di Antigone e figlio di Creonte, e quello di
Euridice, madre del primo e moglie del secondo. Nell’esodo della tragedia di
Sofocle, lo sciagurato duce si trova desolato sulla scena dove, pentito troppo
tardi dice di se stesso: "Si
porti via l'uomo stolto / che, o figlio, senza volere uccisi te, / e anche te ,
ahimé infelice, non so / a quale dei due debba guardare, dove appoggiarmi:
tutto infatti / va di traverso nelle mie mani, e sul capo / mi è saltato un
destino difficile da sopportare" (Antigone,
vv. 1339-1346).
Il Coro negli ultimi versi mette in rilievo con
l’empietà anche la stupidità di
Creonte e degli uomini siffatti: "Il comprendere è di gran lunga il primo
requisito / della felicità; è necessario poi non essere empio / in nessun modo
negli atti che riguardano gli dèi "(1347-1350)
L’atto disumano di disseppellire i morti si può commentare
anche con un paio di versi di una tragedia dell’elisabettiano Webster: fanno
parte della nenia funebre cantata da Cornelia
"in vari modi di follia", sul cadavere del figlio Marcello, ucciso
dal fratello Flaminio: "Chiamate il pettirosso e lo scricciolo, che volano
sopra i boschetti ombrosi, e con foglie e fiori coprono i corpi soli al mondo
degli insepolti. Chiamate al suo lamento funebre la formica, il topo dei campi
e la talpa, che levino mucchi di terra per tenerlo caldo e quando le ricche
tombe vengono depredate non soffra danno: ma tenete lontano il lupo, che è nemico degli uomini, altrimenti con le
sue unghie li dissotterrerà (“But
keep the wolf far hence, that's foe to men,/For with his nails he' ll dig them
up again”)[4].
Io sono contrario alla pena di morte. A maggior ragione sono
ostile a quanti vogliono lasciare insepolto un cadavere, fosse pure la salma
del peggiore degli uomini, posto che sia possibile compilare una graduatoria di
quanti, anche se hanno oltraggiato e violentato la vita su questa terra, non
pesano più su di lei, non possono fare altro male. Comunque sia chiaro a voi
che mi leggerete che io scrivo per seppellire l’ex esecutore di ordini
criminali, non certo per lodarlo.
Del resto chi diede quegli ordini orribili, Kappler, fu
lasciato scappare, visibilmente e risibilmente,
nascosto in una valigia portata via a mano dalla moglie settantenne.
Non abbiamo perduto tante occasioni per riempirci di
ridicolo e disprezzo agli occhi del mondo.
Giovanni Ghiselli
P. S. Il
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Io invece sono contraria sia a un funerale decente sia alla sepoltura di un uomo come quello, se uomo si può chiamare una persona che ne ha fatte massacrare oltre 300 altre, né mai si è pentita anzi, si è sempre scaricata di dosso le colpe dicendo che eseguiva ordini e ha concluso la sua dannosa vita senza subire alcuna giustissima punizione. Perché è così che è andata.
RispondiEliminaPersonalmente ritengo che né la vecchiaia né la morte diano alcuna dignità a chi si comporta in modo ignobile, perciò non rispetto alcun vecchio in quanto vecchio né morto in quanto morto, rispetto solo chi fa del bene, chi al limite si fa ammazzare piuttosto di compiere un crimine, quello sì, merita il massimo dei rispetti e dell'amore! E certo che ora questo non fa più del male, ci mancherebbe che ne facesse anche da morto!
Ci riempiamo di ridicolo e disprezzo anche perché non siamo mai decisi in una cosa o nell'altra, soprattutto non siamo mai decisi per quel che riguarda quell'orribile passato che ha visto anche l'Italia colpevole di stragi a danno di innocenti; e proprio qui sta il punto: per non dover fare i conti con il nostro peccato, soprassediamo su quelli altrui. Non vogliamo vedere che anche noi siamo macchiati di sangue; se avessimo punito sul serio certi aguzzini avremmo dovuto anche guardarci attentamente scoprire quelle macchie e pagare anche noi.
Maddalena Roversi
Io penso che, per quanto male uno possa aver inflitto, quando è morto è morto. Il fatto poi che egli non abbia avuto pietas nella propria vita non giustifica gli altri nel non averla a loro volta: sarebbe la legge del taglione che giustifica la pena di morte e ogni tipo di crimine. Non stiamo parlando di celebrare della gesta ma di seppellire un cadavere tale quale saremo tutti noi, speriamo il più tardi possibile. Non si rimedia all'ingiustizia con l'ingiustizia.
RispondiEliminaCondivido in pieno quanto scrive Gianni.
alessandro
Molto commovente e altrettanto condivisibile. Il vecchio nazista poi, poche gioie avrà dell'urna per non aver lasciato eredità d'affetti, ma l'urna è giusto che l'abbia.
RispondiEliminaMargherita
apparirò schiumante di crudeltà, me insisto: a parte il fatto che nessuno l'ha condannato a morte ed è giusto così, comunque non si è fatto un giorno di galera né - ripeto - mai si è pentito o ha mostrato cordoglio per quei morti, oltre 300 come si sa. Se parliamo di giustizia, che giustizia c'è per loro? Perché non c'entra la vendetta qui, ma appunto la giustizia; anche gli Dei della Grecia si indignerebbero, per una cosa del genere.
RispondiEliminaPer me, che sia cremato e messo nell'urna e consegnato a chi lo vuole va bne, ma non va bene una cerimonia né il parlarne: non lo merita. Lui non è come il fratello di Antigone, è tutt'un'altra razza di persona.
Nessuna legge del taglione, ché se ci fosse lui sarebbe stato fucilato e gettato in una cava.
Ma invece così i morti restano senza pace, si sorvola su una riflessione che scatenerebbe pianti e rabbie, ma sfogherebbe quel desiderio di giustizia che rimane invece soffocato e lascia rancori mai sopiti. Fare i conti con questo e con gli orrori che italiani hanno perpetrato contro altri italiani, ci renderebbe migliori, ci insegnerebbe che fare il male davvero non paga e fare il bene innalza. Così invece è tutto appiattito, quelli che ne vengono fuori male alla fine sono le vittime e i loro congiunti rimasti con la bocca amara e le lacrime inascoltate.
Maddalena