NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 11 ottobre 2013

"Il rivoluzionario" di Valerio Varesi




Il libro di Valerio Varesi Il rivoluzionario (Frassinelli) e i topoi (luoghi) letterari.  

Il bel libro di Valerio Varesi contiene dei topoi, dei luoghi della storia della politica e della letteratura nei quali ho ritrovato i miei auctores, gli autori-accrescitori che hanno arricchito la mia umanità di coscienza e di bellezza.
Il primo topos è “la nostalgia della guerra” (Il rivoluzionario, p. 3) che induce alcuni partigiani a continuare in un modo o in un altro, in un luogo o in un altro, la guerra di liberazione combattuta contro i nazisti.

La guerra in sé è una cosa brutta, ma  ancora più brutta è la schiavitù.
Io, forse perché sono inermis, auspico una  guerra senza armi letali, e usa la buona Eris delle parole. Considero pessima l’Eris delle armi.

La guerra viene esecrata sin dall’Iliade, il poema delle battaglie “sempre sonanti” dove tuttavia  Zeus  dice ad Ares: "e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi} [ Olumpon e[cousin(Iliade, V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
Ares è appunto il dio della guerra ed esso viene esecrato anche dal religioso Eschilo: nel primo Stasimo dei  Sette a Tebe 
il Coro dissacra il dio sanguinario  definendolo un domatore di popoli che  soffia con furia violenta e contamina la pietà "mainovmeno" d j ejpipnei' laodavma"-miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343-344).  
Nell' Agamennone (del 458) Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d' j  [Arh" swmavtwn"(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori. Quando i conflitti armati finiscono infatti "Invece di uomini, / urne e cenere /  giungono alla casa di ciascuno" (vv. 434-436).
Un’ultima testimonianza: il religiosissimo Sofocle prega tutti gli dèi, ma nell'Edipo re Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" (ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è privo di onore poiché la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica eroica e senza riguardo per l'umanità: Tucidide nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli imperialisti Ateniesi  ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi rovine agli uomini. 
La guerra dunque è cruenta, omicida e senza onore.

Eppure in certi casi è difficile evitarla. Dopo la liberazione, chi ha lottato per il comunismo, per la giustizia, per l’uguaglianza tra gli uomini senza la quale non c’è vera libertà, prova sensi di delusione, frustrazione, sente di avere subito un tradimento da chi prometteva equità e moralità nei rapporti tra gli uomini. Invece nell’Italia del dopoguerra il fascismo rialza la testa, sebbene mascherato e camuffato: “Carabinieri e poliziotti sono rimasti quelli del Fascio così come i funzionari della Questura” (Il rivoluzionario, p. 27). E’  Oscar che parla. il protagonista di questo romanzo storico che, come quello del Manzoni, fornisce il quadro di un’epoca e nello stesso tempo scava nella psicologia dei suoi personaggi, rappresenta scene di massa, dà voce a dibattiti politici e di partito. Il PCI è spesso sullo sfondo perdendo un poco per volta credibilità nell’animo del rivoluzionario e dei suoi sodali. A Bologna già con Dozza si fanno le prove generali del compromesso storico mentre il partito dà uno spazio sempre maggiore ai mediocri, ai burocrati senza pathos, ai pedanti, e nello stesso tempo lo riduce ai generosi appassionati di giustizia e libertà. 
C’è il racconto dei morti di Reggio Emilia, un massacro programmato dall’alto, perpetrato con ferocia dai cani da guardia della borghesia, la  “sesquiplebe” già vituperata da Vittorio Alfieri.
Oscar vedeva i mali presenti e prevedeva quelli futuri “perché lui stesso era convinto che il sistema del profitto, oltre che iniquo e autoritario, fosse destinato a disintegrarsi in una macelleria sociale com’era già capitato nel ‘29” (Il rivoluzionario, p. 124). E come sta ri-capitando ora.
Il rivoluzionario è, come Tiresia, il profeta in grado di capire e “presoffrire tutto”. 
Obiettivi polemici sono la Democrazia Cristiana e i preti, ma la moglie di Oscar, Italina, “una brava compagna”, sa distinguere tra loro e non li considera tutti dei nemici di classe: “C’è anche chi non ha tradito Cristo e con quelli io ci vado d’accordo, benché il partito sia contrario” (p. 155). 
Questa donna equilibrata e triste diviene la custode della casa, del figlio Dalmazio, mentre Oscar, deluso e annoiato dai compromessi paludosi dei comunisti nostrani, va in Russia e in Mozambico per dare  stimoli e significato alla sua vita.
L’Italia infatti è sempre più calpestata e schiacciata dallo stivale statunitense: “Chi tiene il guinzaglio sono gli americani - soggiunse Oscar - democristiani, repubblicani, liberali e fascisti sono solo marionette. Fanfani, Gronchi, Segni… Tutti al servizio di Truman e dei capitalisti” (p. 163). La denuncia della nostra sovranità limitata è esplicita.

Un asservimento dei nostri politici che ha spinto Pasolini a incriminarli addirittura per le stragi :
“In conclusione il Psi e il Pci dovrebbero per prima cosa (se vale questa ipotesi) giungere ad un processo degli esponenti democristiani che hanno governato in questi trent’anni (specialmente gli ultimi dieci) l’Italia. Parlo proprio di un processo penale, dentro un tribunale. Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani (compreso forse per correttezza qualche presidente della Repubblica) dovrebbero essere trascinati, come Nixon, sul banco degli imputati. Anzi, no, non come Nixon, restiamo alle giuste proporzioni: come Papadopulos… Nel banco degli imputati come Papadopulos. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati, che io enuncio solo moralmente… Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori) distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani… Responsabilità della condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono “selvaggio” delle campagne, responsabilità dell’esplosione “selvaggia” della cultura di massa e dei mass-media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari, distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese. E’ chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla”.

In una situazione del genere non è possibile che un uomo onesto faccia finta di niente. La guerra allora può diventare plausibile quale guerra di liberazione.
Euripide nelle Troiane (del 415) fa dire a Poseidone: "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", -naou;" te tuvmbou" q  j, iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Nell'Elena (vv. 37-40), nell’Elettra (vv. 1282-1283) e nell'Oreste (vv. 1640-1642) il tragediografo afferma che la guerra di Troia è stata combattuta per un fantasma poiché a Ilio andò soltanto un’icona di Elena, mentre la bellissima donna in carne e ossa venne trasportata a Ilio dagli dèi che vollero alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali. 
Eppure nell’Ifigenia in Aulide  scritta negli ultimi anni di vita del tragediografo, quando Ciro il Giovane: "parei'ce crhvmata Peloponnhsivoi" ej" to; nautikovn"( Tucidide, II, 65, 12) forniva agli Spartani il denaro per la flotta, Euripide esorta alla guerra. La ragazza, fatta venire in Aulide dal padre Agamennone come vittima sacrificale perché l’armata potesse partire, in un primo tempo ha paura, poi però, in un impeto di patriottismo, proclama la necessità della guerra santa contro i barbari di Oriente, identificabili con i Persiani da parte del pubblico ateniese, e si offre come prima combattente e prima vittima in uno scontro, giusto e necessario, fra civiltà: “Offro il mio corpo per l'Ellade. Sacrificatelo, espugnate Troia. Questo sacrificio infatti sarà il mio monumento duraturo, questi i figli, le nozze e la gloria. E’ naturale che i Greci comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi" (vv. 1397-1401).

Anche Oscar Montuschi e alcuni altri ex partigiani sentono questa necessità di combattere contro l’oppressione e l’asservimento.
Il rivoluzionario va prima a Mosca a preparare il terreno, non senza farsi un’amante, Irina, poi in Mozambico, a fare la guerra. Per queste missioni si allontana dal figlio Dalmazio e dalla moglie Italina  che mantiene sempre un atteggiamento dignitoso, anzi nobile. “A Mosca di preti se ne vedevano pochi e la loro influenza sulla politica era inesistente. Oscar lo scriveva a Italina ricordandole l’appoggio incondizionato del clero alla repressione in atto e ogni volta lei replicava che anche i russi erano molto religiosi e forse avevano capito che i comunisti e i cristiani stavano tutti da una parte sola: quella degli ultimi” ( Il rivoluzionario p. 179).

Il Vaticano dunque, secondo Oscar, era un centro di potere, di intrighi, di faide. Il cattolicesimo romano viene visto continuazione dell’impero romano, tutt’altra cosa dal messaggio di Cristo. Anche  pontefice Joseph Ratzinger se ne è accorto, se ne è andato con la sua pena.
Il successore Bergoglio-Francesco sta cercando di cambiare le cose. 
Ma torniamo a Varesi. Il suo bel  libro non si perde nelle inezie prive di significato ma coglie le quintessenze della storia e commenta con intelligenza e sensibillità i fatti storici epocali degli anni che vanno dal 1945 al 1980.
Nel 1956 c’è l’invasione dell’Ungheria da parte dei Russi: “Togliatti si schierò coi sovietici e più tardi si seppe che votò per la condanna a morte di Nagy, mentre l’Unità liquidava gli insorti come “teppisti”, “spregevoli provocatori” e persino “fascisti”. A Bologna, i fatti avevano superato la capacità di analisi, appannando la lucidità dei dirigenti di via Barberia che balbettavano temporeggiando” (Il rivoluzionario, p. 193).

Dopo tanti anni da quell’autunno in cui ero bambino, Luciano Canfora, all’epoca bambino anche lui, ha trovato un parallelo tra la repressione degli Ungheresi riottosi all’impero sovietico e quella degli oligarchi di Samo che provarono a ribellarsi alla democrazia ateniese che era di fatto una talassocrazia, un impero marittimo.
Samo si era ribellata nel 441 all’oppressione ateniese. In quell’occasione i democratici partigiani degli Ateniesi “furono letteralmente massacrati, tranne beninteso quelli che trovarono scampo fuggendo. Esattamente come i comunisti ungheresi nei giorni della rivolta popolare tra il 23 ottobre ed il 3 novembre del 1956… Nella guerra contro Samo, Atene si impegnò con una flotta comprendente anche forze alleate (per dare l’impressione che tutta la “lega” puniva l’alleato ribelle) e inviò alla testa di questa grande flotta, che penò non poco a sopraffare tutti i ribelli, tutto il collegio degli strateghi, compreso il poeta Sofocle che in quell’anno ricopriva tale carica. L’intervento contro l’Ungheria fu anch’esso “corale”, per le stesse ragioni propagandistiche… Dopo la sconfitta del 440-439, a Samo tornò, imposto dagli Ateniesi, un governo “popolare”, che fece piazza pulita della fazione che aveva alimentato la ribellione e condotto senza esclusione di colpi la guerra. A partire da quel momento Samo fu il più fedele alleato di Atene”. 

Credo che l’impiccagione di Nagy sia stato un errore politico oltre che un crimine, come lo è ogni condanna a morte.
Fu saggio invece Kádar a proclamare, dopo la restaurazione: “Chi non è contro di noi è con noi”.
In Italia poi ci fu il governo Tambroni appoggiato dai fascisti del Movimento Sociale, quindi l’insurrezione di Genova, altra città martire delle violenze poliziesche. Nel freddo di Mosca, Oscar non rimpiange il sole italiano: “Qui tutto si misura con l’inverno, un tribunale che ci processa da ottobre a maggio - sorrise Irina - nei mesi di neve e di buio cosa puoi fare se non pensare alla tua vita e farti domande? Da voi in Italia, invece, c’è luce e sole”
Una luce che però non illumina il potere, né mentalmente né in altro modo: “Non sempre”, la contraddisse Oscar. “C’è l’oscurità della nebbia e l’oscurità del potere. Non a caso i fascisti sono neri” (p. 245).

L’oscurità, la non trasparenza connaturata al potere  viene denunciata anche da  Guicciardini che  scrive :"spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India".

Poi i funerali di Togliatti, le dimissioni di Dozza, l’elezione di Fanti, l’allontanamento del cardinal Lercaro che aveva condannato i bombardamenti americani sul Vietnam
“Ve’ mo’ - esclamò Scaramagli - altro che le purghe di Stalin!” (v. 296). Lercaro del resto “venne insignito dell’Archiginnasio d’oro e della cittadinanza onoraria. Era il primo cardinale cacciato da Bologna dal papa e reintegrato da un sindaco comunista” (p. 296).
Comunque  Montuschi, tornato dalla Russia, a casa sua non si sente a proprio agio
“Dopo qualche settimana a Bologna, Oscar sentiva il bisogno di evadere da una città in cui anche i comunisti si portavano dietro l’odore di sacrestia” (p. 301). 
Né a livello nazionale era diverso: “A Bologna abbiamo Fanti, a Roma c’è Amendola e Napolitano, ma sono tutti uguali: vogliono andare a cena coi preti” si lamentava (p. 305). 
Quindi le stragi, a cominciare da quella di piazza Fontana.
L’analisi è lucida: sono stati i fascisti manovrati quali sicari
“E dietro ci sono gli americani coi servizi, non dimenticartelo” gli dice Guerrino, il politico-imprenditore che organizza i viaggi all’estero di Oscar. E continua: “Vogliono creare paura, incertezza, disordine, così al momento giusto tirano fuori la soluzione autoritaria che, a quel punto, in un paese di pecore come il nostro, verrà subito applaudita” (310).

Infatti alla gente impaurita si può fare credere tutto: “nil falsum trepidis”, nulla è falso per chi è spaventato.
La paura dunque è funzionale al potere. Joachim Fest riporta queste parole di Hitler: “La gente ha bisogno della paura risanatrice. La gente vuole temere qualcosa, pretende che la si intimidisca e che ci sia qualcuno cui assoggettarsi tremando. Non avete forse constatato voi stessi, con i vostri occhi, che dopo lo scontro nei locali pubblici, sono proprio quelli che le hanno buscate i primi a chiedere di entrare nel partito? Cosa sono dunque queste chiacchiere sulla crudeltà, e perché vi scaldate tanto per un atto di violenza? E’ proprio quello che la massa vuole. La massa pretende qualcosa che le faccia orrore”.
Infatti: le torri gemelle hanno potenziato la cricca di Bush. 
E la paura del baratro ha dato il potere a Monti, poi alla strana coppia Letta (il Giovane) e Alfano  che nel baratro ci stanno facendo cadere, poiché se tu guardi a lungo in un burrone, alla fine il burrone entrerà in te.

Quindi il Mozambico, per combattere l’oppressione dei Portoghesi del dittatore fascista Salazar. Laggiù la natura sovrasta l’uomo e tutto appare carico di colori, di sapori, di luce di vita. La quale manifesta tutta la sua potenza e la sua crudeltà, dionisiaca se vogliamo..
Il Mozambico viene liberato, Salazar cade, ma dall’Italia arrivano notizie inquietanti e anche il paese africano continuava a essere dilaniato da rigurgiti di guerra, dalla povertà, dalla fame.  Oscar era convinto che il fondamento del comunismo fosse la crescita cooperativa, ma  Guerrino Casadei, il manager, il tecnico voleva instaurare il mercato, suscitando la reazione di Oscar, una reazione profetica: “Certe volte non ti capisco. Non so se parli da comunista o come uno di quei saccenti della Bocconi istruiti per affamare il mondo” sibilò Oscar (Il rivoluzionario, p. 392).
Intanto in Italia procede il compromesso storico, nascono le cosiddette Brigate Rosse, e “il terrorismo che non porta da nessuna parte” (p. 398)
Né le cose andavano meglio in Mozambico: “Oscar ebbe l’impressione che un potente riflusso stesse investendo il paese” (406). 
Le cooperative funzionavano male, o non funzionavano proprio; qua e là scoppiavano focolai di guerra civile, carnevale sinistro in cui cambia perfino il significato delle parole. Il mercato è la quintessenza del male contro il quale Oscar si batte, ma questo Leviatano non lascia scampo, nemmeno in Mozambico dove arrivano “i boiardi, gli uomini di partito a capo delle aziende statali italiane con tutta una corte di cicisbei, tra sottopancia, passacarte e amanti travestite da portavoce. Arrivarono anche imprenditori contro i quali il partito e il sindacato avevano combattuto lotte sanguinose al prezzo di bastonature e scontri in piazza. Oscar osservava quel corteo osceno in preda a un’angoscia crescente. Mai come in quel momento si sentiva spodestato, derubato della propria parte. Credeva di essere un rivoluzionario, ma si accorgeva di aver lavorato per i padroni di sempre” (p.415). 
Oscar  soffre la vittoria del mercato e del capitale anche fisicamente. Gli viene un piccolo infarto. Il medico russo gli consiglia il ritorno in Italia  dove intanto “Moro e Berlinguer sono decisi all’abbraccio” (p. 419) e le cooperative stavano diventando “il cavallo di Troia del capitale” (p. 420)
Quindi Montuschi riparte, sconfitto, tra i saluti ipocriti di chi rimane a introdurre in Mozambico i metodi del capitalismo per il quale i conti vengono prima delle persone, “ma i conti sono sempre disumani alla fine, com’è disumano il capitalismo… La cooperazione sarebbe stato il miglior antidoto contro gli apparati totalitari: tutti uguali, tutti lavoratori, tutti padroni. Ma voi avete scelto il mercato e nel mercato ci sono sempre pochi padroni e molti servi” (p. 421), dice Montuschi a Ravaglia, l’uomo del mercato che annulla l’uguaglianza poiché attribuisce stipendi con differenze sesquipedali tra lavori diversi.
Quindi Montuschi torna a Bologna dove trova Italina “coi capelli più grigi, con più rughe. Nel suo volto Oscar misurò amaramente la propria età “ (p. 423). Dalmazio intanto, il loro figliolo aveva lasciato la madre, secondo Irina per seguire l’esempio del padre. Il ragazzo ricompare al Sant’Orsola dove il padre è ricoverato. Dalmazio si era trasferito alle fonderie Reggiane “dove il comunismo sopravvive”, dice (p. 425). 
In Italia procede il compromesso storico e anche la cultura, anzi la sottocultura del liberismo che aizza gli istinti più volgari: “la lotta bestiale per prevalere sull’altro, l’egoismo sfrenato” (428). Intanto l’Unione sovietica sta collassando. Nel febbraio del ’77 Oscar, disgustato, strappa la tessera del partito e segue con simpatia la protesta studentesca fatta di “canti, sberleffi, disegni, ironia” (p. 435). La contestazione giovanile però era caotica e poco produttiva.
Nel mese di marzo la reazione giunse all’omicidio di Francesco Lo Russo. Ci fu una reazione violenta dei giovani, e Cossiga mandò i blindati a Bologna “La città era in stato d’assedio. Elicotteri la sorvolavano, tremila poliziotti e carabinieri la presidiavano, centotré studenti furono arrestati e la repressione durò fino all’estate”. (440). 
Sono avvenimenti che quelli della mia generazione ricordano bene, sono eventi epocali della nostra vita e, mentre ne leggiamo  la storia ci  tornano in mente tante vicende cui abbiamo partecipato, se non altro con il sentimento. La rivoluzione ancora una volta viene soffocata ma Oscar cedere nescius, come Achille , non molla: “mise in piedi, con Italina e i soliti vecchi compagni delusi dal partito una cooperativa in cui avrebbero lavorato persone dimesse dai manicomi e ragazzi handicappati” (p. 441). Si trattava sempre di stare dalla parte degli ultimi: “Lavoriamo per gli altri, i più deboli: questo è il comunismo” dichiarava orgogliosamente Oscar” (p, 444). Nell’impresa umanitaria c’erano anche dei preti, “i preti da marciapiede che ogni giorno, in silenzio, soccorrono gli ultimi”. I precursori di don Ciotti e don Gallo.
Oscar rifiuta di rinnovare la tessera. Al segretario della sezione del PCI che glielo chiedeva, ricorda l’assassinio di Pasolini che aveva capito molte cose, e il burocrate ottuso risponde: “Ma dai! Che tiri fuori? Un busone che sognava le lucciole!” (p. 445). Frase emblematica di ignoranza, chiusura mentale, ottuso spirito gregario.

E siamo arrivati al 16 marzo del 1978, un giorno che quelli della mia età ricordano come fosse ieri.
“La sera prima, la radio aveva annunciato per quel giorno la fiducia al quarto Governo Andreotti con l’appoggio dei comunisti: il passo decisivo verso il compromesso storico” (p. 449)
Quindi, ossia di qui, il rapimento di Moro che “dava fastidio a tutti”. Ricompariva il passato “con il suo ghigno peggiore” (p. 450). Il compromesso storico con i comunisti al governo dava noia a molti, soprattutto agli Americani, ma anche ai Russi e alle gerarchie ecclesiastiche.
Dunque” expedit ut unus moriatur homo”.
Nel marzo del ’79 il PCI perse voti.
Nel penultimo capitolo c’è un bel dialogo con un reduce da un manicomio, Erminio, un uomo la cui pazzia consisteva nell’assenza dei tanti pregiudizi che ci mettono in testa fin da bambini e ci rendono infelici. Oscar pensò che i veri matti sono quelli fuori dai manicomi mentre “i saggi erano quelli come Erminio e forse per questo erano stati rinchiusi” (p. 459).
I vari componenti la comune comunista di Oscar costituivano un mondo separato. “C’è tutto il mondo qui - spiegava Italina - questi ragazzi ci mostrano la nostra nudità, gli istinti con cui facciamo sempre i conti” (460). Razionalità e istinto dovrebbero cooperare, l’irrazionale dovrebbe essere reso produttivo e benefico, da distruttivo quale è tante volte, se si scatena e non si lascia guidare. Le Erinni devono diventare Eumenidi.
La vittoria del capitalismo che ci rende infantilmente insensati per indurci a comprare una serie di giocattoli inutili è una “sconfitta prima di tutto culturale” (p. 461). Il paese dei balocchi diventa il paese degli asini bastonati.
Nel 1980 il vecchio compagno Aldrovandi finisce in ospedale con un tumore ai polmoni, il 27 giugno “cade” il Dc9 Itavia nel mare di Ustica con ottantuno persone a bordo, tutte morte.
“Immediatamente si mise in moto la consueta macchina della menzogna” (p.464). Il 2 agosto Aldrovandi muore e scoppia la bomba alla stazione di Bologna. In novembre le Brigate Rosse rapirono l’assessore campano della DC Ciro Cirillo per il quale fu aperta la trattativa che nel caso di Moro fu esclusa. Perche? Varesi attraverso i suoi personaggi non manca mai di indicare le cause dei fatti storici, le cause più vere ma meno segnalate dai ruffiani, dagli ambigui prosseneti dell’informazione ufficiale.
“Moro voleva sfuggire alla logica dominante, Cirillo, invece, c’è dentro e forse potrebbe ricattarli”, commentò Italina (p. 467)
Tutto crollava “Gli rimane solo che crolli l’Unione sovietica e potranno essere padroni di tutto” (467)
Nell’ultimo capitolo, Oscar lamenta la propria delusione, ma Italina attribuisce il non conseguimento degli scopi alla brevità della vita: “Le idee non muoiono. Muoiono gli uomini, ma loro continuano a vivere” (p. 467).

Questo libro aiuta le idee a continuare a vivere
Il capitalismo ha avuto una vittoria momentanea, una vittoria di Pirro: “il capitalismo è un sistema stupido perché  pensa che tutto sia infinito. Imprenditori, banchieri e finanzieri sono altrettanto stupidi. L’avidità li porta a giocare sporco fino all’autodistruzione…una volta diventati tiranni, il mondo si ribellerà. Sarà allora che le nostre idee torneranno e lì ci sarà dentro anche un po’ della vita tua e della mia” (p. 468)
Sono parole di Italina, profetiche come quelle della Pizia di Delfi e della Sibilla Cumana.
Cristianesimo e socialismo non si sono ancora realizzati ma non possono morire poiché rappresentano bisogni fondamentali della maggioranza delle persone: quello dell’amore e quello dell’uguaglianza,
Oscar semplifica la storia del mondo “a una lotta tra servi e padroni” Ma è una lotta impari e “non potrà cambiare niente finché migliaia di servi saranno contenti di servire” (p. 469)
Si può replicare che milioni di sfruttati, il meglio dell’umanità, come li chiamava don Milani,  non sono contenti e vogliono l’uguaglianza.
“Noi abbiamo la coopetativa - lo consolò Italina - lì non sono entrati i manager e non ci sono né servi né padroni. A nostro modo continueremo a tener viva la fiammella e arriverà un giorno che verrà buona per appiccare di nuovo l’incendio, quando il capitale avrà seccato il mondo. Noi non ci saremo, ma avremo conservato il fuoco”…
Quella sera andarono a letto sereni” (p. 469)
Sono le ultime parole di questo libro che consiglio di leggere per ricordare, per imparare, per riflettere, per sentire.

Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it

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1 Cfr. Carducci, Sogno d’estate, 1.
2 Del 467 a. C.
3 Propendo per una datazione bassa, posteriore al 415 a. C.
4 460 ca 400 a.C.
5 Cfr. T. S:  Eliot,  And I Tiresias have presuffered all (The Waste Land, , v. 243)..
6 P. P. Pasolini, Lettere luterane, p. 170 e sgg.
7 L. Canfora, Esportare la libertà, p. 40 e p. 44.
8 Ricordi, 141.
9 Stazio, Tebaide, VII, 131.
10 Hitler, Una biografia, p. 214.
11Lettera A Una Professoressa  della Scuola Di Barbiana:"In Africa, in Asia, nell'America latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d'essere fatti eguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell'umanità"(p. 80).

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