Altro spezzone della conferenza del
22 ottobre su Solone
Martedì 22 ottobre
Ore 15.00
BOLOGNA, Sala del Risorgimento,
Museo Civico Archeologico, Via de' Musei, 8
Solone poeta e legislatore, conferenza di Giovanni Ghiselli
Il Buon Governo e il Cattivo Governo sono
temi di totale e drammatica attualità
L’Eujnomivh. Il
Buon Governo
Un'altra
elegia di Solone molto nota, e di contenuto in gran parte politico è quella
così detta del Buon Governo (fr. 3 D)
nella quale cresce la responsabilità dell'uomo relativamente al proprio
destino. La traduciamo tutta e commentiamo i versi più significativi, ossia più
accrescitori di conoscenza: "La nostra città non andrà mai in rovina per destino di Zeus e
volontà dei beati dèi immortali: infatti
tale custode magnanima (megavqumo~ ejpivskopo~), figlia di padre potente Pallade Atena le
tiene sopra le mani (cei`ra~ u{perqen e[cei). Ma i cittadini stessi (aujtoiv…ajstoiv) con la loro
follia (ajfradivh//sin[1]) vogliono
distruggere la grande città sedotti dalle ricchezze, e ingiusta è la mente dei capi del popolo (dhvmou q j hJgemovnwn
a[diko~ novo~),
cui è destinato soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza (u{brio~ ejk megavlh~
a[lgea polla; paqei`n): infatti non sanno trattenere l'avidità (katevcein kovron) né godere con
ordine le gioie presenti nella serenità del convito (daito;~ ejn hJsucivh/[2]).
Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste e non risparmiando le proprietà sacre nè in alcun modo le
ricchezze pubbliche, rubano per arraffare (klevptousin ejfj aJrpagh`/) chi da una
parte chi dall'altra né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia, che, pur
mentre tace, conosce il passato e il presente, e con il tempo in ogni caso
giunge a fare pagare. Questa piaga ineludibile oramai arriva su tutta la città,
ed essa subito cade nella squallida servitù (ej~ kakh;n doulosuvnhn), che
risveglia la lotta dentro la stirpe e la guerra dormiente (stavsin e[mfulon
povlemovn q j eu{dont j ejpegeivrei), la quale distrugge l'amabile giovinezza di
molti: infatti per opera dei malevoli tosto la città molto amata si rovina nei
partiti cari agli ingiusti. Questi mali nel popolo si aggirano: e dei poveri molti giungono in terra straniera venduti e
legati con ceppi indegni. Così il danno comune entra in casa a ciascuno: né
valgono più le porte del cortile a trattenerlo, e salta oltre il recinto pur alto, e trova in
ogni caso, anche se uno sia rifugiato
nel fondo del talamo.
Questi
precetti l'animo mi spinge ad insegnare agli Ateniesi, che il Malgoverno
procura moltissimi mali alla città, kaka; plei'sta povlei Dusnomivh parevcei mentre il
Buongoverno mostra ogni cosa ordinata e armonizzata Eujnomivh d j
eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei e
spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti: leviga le asperità, fa cessare
l'insolenza, oscura la prepotenza, dissecca i fiori nascenti dell'accecamento (a[th~ a[nqea), raddrizza i
giudizi tortuosi (eujquvnei de; divka~ skoliav~), mitiga le azioni superbe, e fa cessare
le opere della discordia, e fa cessare la rabbia della contesa terribile, e
sono sotto di lui tutte le cose tra gli uomini armonizzate e assennate" (pavnta a[rtia kai;
pinutav).
Religione, e
superstizione. Greci e Romani
Si può notare anche
qui, a proposito di Pallade Atena, la dea eponima della città di Solone, il
rapporto di fiducia e di confidenza che l'uomo greco riesce ad avere con la
divinità, mentre il romano avrà una relazione più formalizzata con il dio,
costellando la vita privata e quella statale di una serie di riti che
garantivano la pax deum: “Apud antiquos
non solum publice, sed etiam privatim nihil gerebatur nisi auspicio prius sumpto”[3],
presso gli antichi non si faceva nulla, non solo di pubblica ma anche di
privato, se prima non si erano tratti gli auspici.
Era una specie di alleanza con
gli dei che non si stabiliva
attraverso la purezza morale, ma con le vittime espiatorie, talora anche umane:
Tito Livio (XXII, 57) racconta che dopo il disastro di Canne (216 a. C.) si presero vari provvedimenti, e si
compirono riti propiziatori con sacrifici, tra i quali: "Ex fatalibus
Libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla,
Graecus et Graeca in Foro bovario sub terram vivi demissi sunt ", secondo
i Libri fatali furono compiuti alcuni sacrifici straordinari; tra i quali un
uomo e una donna galli, un greco e una greca furono sepolti vivi nel Foro
boario. Niente comunque si intraprendeva nella vita pubblica e
privata se non si era sicuri dell'approvazione degli dei.
Lo
storico greco Polibio che visse a Roma nel circolo degli Scipioni (II sec. a.
C.) sostiene che la deisidaimoniva (6, 56, 7), la superstizione, se altrove può essere oggetto di biasimo,
a Roma tiene insieme lo Stato: "kaiv moi dokei' to; para; toi'" a[lloi"
ajnqrwvpoi" ojneidizovmenon tou'to sunevcein ta; JRwmaivwn pravgmata”.
Essa
venne istituita pensando alla natura del volgo. In una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a
tali mezzi, ma la moltitudine soggiace a sfrenata avidità, a ira violenta e
bisogna trattarla con tali apparati e misteriosi timori. Il terrore degli dèi
viene esagerato e drammatizzato nella vita pubblica e privata". In vita
mia ho visto brandire il terrore del tabù sessuale, poi quello delle stragi,
adesso è il terrore della disoccupazione e della miseria.
Del resto “Si chiama
Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri… Io chiamo Stato il luogo dove si
trovano tutti i bevitori di veleno, buoni e cattivi”[4].
Come sappiamo contro
questa religio (superstizione)
mostruosa si leverà la voce della ragione attraverso Lucrezio nel De rerum natura: "tantum
religio potuit suadere malorum", a delitti così grandi poté indurre la
superstizione (I, 101).
Ma torniamo al Buon governo di Solone.
Dal capo discende
benessere o malessere al suo popolo e alla sua terra.
Solone ai vv.5 e
sgg. attribuisce ai cittadini, e in particolare ai loro capi la causa della
rovina comune. Questa responsabilizzazione dell'uomo quale artefice del suo
destino, comincia con il primo libro dell'Odissea,
quando Zeus afferma il libero arbitrio degli uomini dicendo che essi incolpano
gli dèi, ma è per la loro follia che soffrono dolori contro il fato (v.34).
Risale all’Odissea, e pure alle Opere e i
giorni di Esiodo anche la
correlazione presente in questa elegia tra la salute, sia fisica sia morale,
del capo e quella della sua terra (vv. 32 ss. il Buongoverno mostra ogni cosa
ordinata e armonizzata 32 Eujnomivh d j
eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei).
Del
resto, secondo alcuni studi di
antropologia tra i quali cito solo Il
ramo d'oro di J. G. Frazer, tale
credenza risale a miti e a riti più
antichi di Omero, e sono confluiti anche in altre culture, non esclusa quella
cristiana. Questo significa che Il governante è il demiurgo, quasi l'autore
della sua gente: dalla impareggiabile potenza e dalla integrità di lui,
dipendono la vita e il benessere della polis.
Nell’Odissea il buon governo è attribuito a
una donna. Il poluvmhti~ Ulisse ancora non riconosciuto, dice a
Penelope:
"Raggiunge l'ampio cielo la tua fama, / come quella di un re
irreprensibile che pio, regnando su molti uomini forti, / tenga alta la
giustizia; allora la nera terra produce / grano e orzo, gli alberi si
appesantiscono di frutti, / figliano continuamente le greggi e il mare offre i
pesci, / per il suo buon governo (ejx eujhgesivh"), insomma prosperano le genti sotto di
lui" (XIX, 106-114).
L'altro
lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di un solo uomo
ridondano in favore e in danno di un
popolo intero , per il principio della responsabilità collettiva, lo
troviamo in Esiodo (Opere, vv.240-244): "Spesso
anche un'intera città di un uomo malvagio soffre, / uno che si rende colpevole
e architetta scelleratezze. / Su di loro dal cielo il Cronide fa piombare
grandi malanni, / fame e peste insieme (limo;n oJmou` kai; loimovn),e le genti
vanno in rovina, / le donne non fanno figli (oude; gunai`ke~ tivktousin) e le case
diminuiscono".
Il
rex non può essere contorto
Se si pone mente al
latino rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo
greco ojrevgw, "tendo, stendo". La radice deriva
dall'indoeuropeo *reg- che ha dato come esito in greco ojreg- (con protesi di oj- ) in latino reg-[5]
da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus,
diritto. Quindi "in rex
bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che traccia la linea, la via
da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto[6].
Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti,
quando giocano, dicono: sarai re se farai bene, "at pueri ludentes Rex eris - aiunt - si recte facies" [7]. Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere
contorto.
Nemmeno
la virtù può esserlo: “Et haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non
ammette piegatura.
Nel
De clementia[8]
Seneca ricorda a Nerone che è il principe a stabilire i buoni costumi per il
suo Sato: “constituit bonos mores civitati princeps” (III, 20, 3).
La
premessa è che la immensa multitudo
dei cittadini illius spiritu regitur,
illius ratione flectitur, è retta
dal suo spirito, viene piegata dalla ragione di lui, mentre si spezzerebbe per
i propri sforzi se non venisse sostenuta dalla saggezza del reggitore (III, 1,
5). Nella cooperazione tra il principe e lo Stato, questo costituisce la forza
del corpo del quale Cesare è il caput
(III, 2, 3).
Ricordo pure l'Oedipus
senecano dove il protagonista si accusa dicendo "fecimus coelum nocens
(v.36), abbiamo reso colpevole il cielo.
Nel Macbeth[9],
un nobile scozzese, Lennox riferisce quanto si dice sia avvenuto nella notte
dell’assassinio del re: "some say
the earth was feverous, and did shake" (II, 3), la terra era
febbricitante e ha tremato. Quindi un altro nobile, Ross, fuori dal castello
del delitto fa notare a un vecchio che il cielo, quasi sconvolto dal misfatto
umano (as troubled with man's act), minaccia la sua scena sanguinosa, e
il giorno è buio come la notte. Infatti, risponde l'old man: "Tis unnatural, Even like the deed that's
done" (II, 4), è innaturale, come l'azione che è stata perpetrata.
In questi ultimi due esempi la contaminazione” oltrepassa la luna”[10].
Questo topos
vale anche per il costume femminile: il cattivo esempio che le donne importanti
danno a tutte le altre , viene biasimato da queste parole di Fedra nell'Ippolito di Euripide: "wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat
j aijscuvnein levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409), fosse morta
malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini esterni. Infatti, continua, questo male ha cominciato
a propagarsi dalle case nobili: "ejk
de; gennaivwn dovmwn" (v. 409). Quando le turpitudini (aijscrav) sono reputate belle dalle
persone di alta condizione, certo sembreranno belle anche al volgo (vv.
411-412).
Tale idea non manca nella letteratura italiana là dove
si conserva il succo della tradizione classica, anche quando questo sia stato
assimilato da un organismo cristiano. Faccio l'esempio di Dante, Purgatorio
XVI, 103-105: "Ben puoi veder che la mala condott a/ è la
cagion che il mondo ha fatto reo / e non natura che in voi sia corrotta".
Erasmo da Rotterdam
utilizza questo topos nell'Elogio della
follia[11]:
"Aliorum vitia neque perinde sentiri neque tam late manare; principem eo
loco esse, ut si quid vel leviter ab honesto deflexerit, gravis protĭnus ad
quam plurimos homines vitae pestis serpat" (55), i vizi degli altri né si
sentono allo stesso modo né si diffondono così ampiamente; il principe si trova
in posizione tale che se in qualche maniera, perfino di poco, egli si scosta
dalla rettitudine, subito una grave peste della vita si espande su un numero
enorme di persone.
“Non vi è, nel destino tutto dell’uomo,
sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi
uomini. Tutto diventa falso obliquo mostruoso, quando ciò avviene”[12].
Il
culto di Divkh
Non
manca nell' elegia Buongoverno di Solone il culto di Dike che viene realizzata
dal Buongoverno e dai buoni governanti i quali conservano l'ordine sociale svuotando le rivendicazioni estreme dei
poveri attraverso l'accoglimento delle richieste moderate.
Il cattivo governo
invece, e l'egoismo dei nobili, spinge il popolo alla rivoluzione, a quella
contesa terribile e distruttiva (e[ri~, v.38) che già Esiodo (Opere e giorni, 14 e sgg.) aveva distinto dalla buona, siccome questa sta alla base del progresso umano e
sveglia al lavoro anche l'ozioso: grazie a lei il vasaio gareggia con il vasaio, il mendico con il mendico, e l'aedo
con l'aedo (Opere e giorni, v. 26). La e[ri~
cattiva e deleteria fa crescere la guerra,
la più crudele è distruttiva delle guerre è la stavsi~ , la guerra civile,
risvegliata dalla squallida schiavitù, kakh; doulosuvnh (v, 18)
(h{ stavsin e[mfulon
povlemovn q j eu{dont j ejpegeivrei, v. 19, la
quale risveglia la lotta dentro la stirpe e la guerra).
La
guerra civile compie una trasvalutazione nichilistica. In questo “Sinistro
carnevale, mondo a rovescio"[13],
.perfino
le parole cambiano il loro significato: le brutte diventano belle.
Ce
lo ricordano Tucidide[14]
e Sallustio[15].
Sarebbe interessante soffermarsi su questo. Un’altra volta
Giovanni
ghiselli
Il blog tp://giovannighiselli.blogspot.it/
è arrivato a 109743
[1] Cfr. Odissea, I, 34.
[2] Mangiare insieme
infatti dovrebbe essere una comunione.
[3] Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium, II,
1.
[4] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 54 e p. 55.
[5] G. Ugolini, Lexis,
p. 346.
[6] E. Benveniste, Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee , p. 295.
[7] Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[8] In tre libri, scritti
nel 55 d. C. per Nerone diciottenne, con
l’intento, forse, di distoglierlo dall’ammazzare Britannico.
[10] Cfr. Shakespeare, Coriolano, V, 1.
[11] Del 1510.
[12] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 298.
[13] M. Cacciari, Geofilosofia
dell'Europa, pp. 42-43.
[14] Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a
proposito della stavsi" di Corcira (427-425 a. C.), quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole
cambiarono il loro significato originario: "Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw`n ojnomavtwn
ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r
ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono
arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti
l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
[15] Nel Bellum Catilinae , Catone ,
parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i
congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in
catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole: "iam
pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri
liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo
sita est" (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità
nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama
liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo
stremo.
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