Terza parte della
conferenza del 22 ottobre 2013.
Ore
15.00
BOLOGNA,
Sala del Risorgimento, Museo Civico Archeologico, Via de' Musei, 8
Solone
poeta e legislatore, conferenza
di Giovanni Ghiselli
Concludo con i
versi forse più famosi di Solone: quelli con i quali il legislatore
replica a Mimnermo, il quale aveva auspicato che a sessant'anni lo
cogliesse il destino di morte, senza malattie e affanni dolorosi (fr.
6 D.). Ebbene il legislatore ateniese insorge "contro la
raffinata stanchezza pessimistica che vuol già fare punto a
sessant'anni"1,
e risponde
"Ma se ora
finalmente vuoi darmi retta, togli questo verso,
e non essere
invidioso, per il fatto che ho pensato meglio di te,
e cambialo,
arguto cantore, e canta così:
ottantenne mi
colga il destino di morte". ojgdwkontaevth
moi`ra kivcoi qanavtou
Né incompianta
mi giunga la morte, ma ai cari
io lasci morendo
dolori e gemiti.
Mhde;
moi a[klausto~ qavnato~ movloi, ajlla; fivloisi- kallevpoimi qanw;n
a[lgea kai; stonacav~
Invecchio
imparando sempre molte cose»(ghravskw
d j aijei; polla; didaskovmeno~
fr.22 D.).
Cicerone nelle
Tusculanae
(I, 49) ha tradotto alcuni di questi versi in "mors mea ne
careat lacrimis, linquamus amicis maerorem, ut celebrent funera cum
gemitu ", la mia morte non manchi di lacrime, lasciamo agli
amici il dolore, perché affollino il funerale piangendo.
In questi distici
soloniani troviamo una concezione ottimistica della vita che è
riscontrabile anche negli altri poeti che credono nella giustizia e
nell'ordine del mondo. Il vivere degli uomini è duro e travagliato
("Nessun uomo è felice. Carichi di fatica sono tutti i mortali
sotto il sole", fr.15 ) ma può essere nobile e significativo se
è impiegato per il bene della comunità.
"Per
Solone", scrive Jaeger, "invecchiare non è un doloroso
estinguersi a poco a poco. L'inestinguibile vigor giovanile fa ogni
anno metter nuovi fiori all'albero ancor verde della sua felice
esperienza".
Alla vita non
mancano le gioie, come leggiamo nel fr. 13 D.:
"Beato chi
ha fanciulli che ama (w|/
pai`dev~ te fivloi) e cavalli
solidunghi
e cani da caccia
e un ospite di terra lontana",
versi tradotti,
pudicamente, da Pascoli in Solon
dei Poemi Conviviali (1905):"Solon,
dicesti un giorno tu: Beato/chi ama, chi cavalli ha solidunghi,/cani
da preda, un ospite lontano".
Ho citato questa
traduzione perché può essere un esempio di come i Greci vengano
manipolati, tante volte "evirati»come denuncia Nietzsche da
filologi e traduttori.
La sana risposta
di Solone a Mimnermo sul valore della vita anche dopo i sessant'anni
ci induce a un caloroso e convinto elogio della vecchiaia.
Per rendere
omaggio a quella di Solone citiamo intanto alcune parole di Carlotta
a Weimar di Thomas Mann :"è la
fede della nostra giovinezza, quella che in fondo non perdiamo mai.
Constatare che tale fiducia ha resistito, che siamo restati gli
stessi, che l'invecchiare è fenomeno fisico esteriore incapace di
influire sulla perennità del nostro intimo io, di questo pazzo io
che trasciniamo attraverso ai decenni...Era una cosiddetta vecchia
signora, si definiva ella stessa così, e viaggiava...ma ecco che lì
distesa sentiva il cuore battere come una ragazzina pronta ad una
grossa birichinata"2.
Ma un
bell'elogio dell'età provetta si trova già nel terzo canto
dell'Iliade,
quando Menelao chiede la presenza di Priamo perché stringa i patti
in persona (o[fr
j o{rkia tavmnh/-aujtov",
105-106) siccome i figli sono arroganti e infidi (ejpeiv
oiJ pai'de»uJperfivaloi kai; a[pistoi,
106) e i cuori dei più giovani svolazzano sempre ("aijei;
d j oJplotevrwn ajndrw'n frevne»hjerevqontai",
108), mentre il vecchio vede il prima e il poi, insomma ha la visione
d'insieme («a{ma
provssw kai; ojpivssw-leuvssei",
III 109-110) e capisce quello che è meglio per gli uni e per gli
altri.
Appendice
Vecchiaia e
giovinezza
Euripide nel
secondo stasimo dell’ Eracle
fa dire ai vecchi
compagni d'armi di Anfitrione che la vecchiaia grava sul loro capo
dei come un carico più pesante delle rupi dell'Etna ("to;
de; gh'ra»a[cqo"-baruvteron Ai[tna»skopevlwn-ejpi; krati;
kei'tai»(vv.
638-640).
Callimaco,
poeta alessandrino che ri-usa i classici apportando variazioni,
scrive che vorrebbe spogliarsi delle vecchiaia la quale gli pesa
addosso quanto l’isola tricuspide sul maledetto Encelado (Aitia
fr.
1, vv. 35-36).
Per
i vecchi di Euripide, la giovinezza è preferibile alla ricchezza, ed
è bellissima tanto nella prosperità quanto nella povertà:
“kallivsta
me;n ejn o[lbw/, -kallivsta d j ejn peniva/”,
Euripide, Eracle,
vv. 647-648.
E
allora, Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi"-kai;
sofiva)
riguardo agli uomini donerebbero una doppia giovinezza (divdumon
h{ban)
come segno evidente di virtù (fanero;n
carakth`r j ajreta`~)
a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce
del sole (eij»aujga;»pavlin
aJlivou),
percorrerebbero una seconda corsa (dissou;~
diauvlou~3),
mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita
(Euripide, Eracle,
vv.661-669).
Ma
la vecchiaia è diversa se è il seguito di una gioventù vissuta
bene o passata male, senza costrutto
Marziale
afferma che l’uomo buono che è senza rimorsi e gode del frutto
della sua vita, accresce e raddoppia lo spazio della sua esistenza:
“ampliat
aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore
frui”
(X 23, 7-8).
Ora
sentiamo altri biasimi dell’età avanzata cui contrapporrò altri
elogi.
Il
terzo stasimo dell’ Edipo
a Colono
di Sofocle annuncia la sapienza silenica e maledice la vecchiaia:"Non
essere nati (mh;
fu'nai)
supera/ tutte le condizioni, poi, una volta apparsi,/ tornare al più
presto là/ donde si venne,/ è certo il secondo bene./ Poiché
quando uno ha oltrepassato la gioventù/ che porta follie leggere
(kouvfa»ajfrosuvna»fevron),
/quale travagliosa disfatta resta fuori?/ Quale degli affanni non
c'è?/Invidia, discordie, contesa battaglie,/ e uccisioni; e
sopraggiunge estrema/ la spregiata-katavmempton-
vecchiaia impotente (ajkrate;")
,/
asociale (ajprosovmilon),
priva di amici (a[filon)
/dove convivono tutti i mali dei mali"(vv.1224-1238). non essere
nati è la condizione che supera tutte e una volta nati
Di questa
maledizione della vecchiaia, possiamo trovare una eco in Menandro: un
suo frammento arcinoto fa:»o{n
oiJ qeoi; filou'sin ajpoqnhvskei nevo"”,
colui che gli dei amano, muore
giovane".
Virgilio mette la
"tristisque senectus
"(Eneide
, VI, 275) in faucibus Orci (v.273),
sulla bocca dell'Orco in compagnia dei pallentes
morbi pallidi morbi, pianti, rimorsi
vendicatori, e diverse altre presenze inamene.
Leopardi è un
dichiarato nemico della vecchiaia: in Le
Ricordanze del 1829 scrive:"E
qual mortale ignaro/di sventura esser può, se a lui già
scorsa/quella vaga stagion, se il suo buon tempo,/se giovanezza, ahi
giovanezza, è spenta?"(vv.132-135).
Quindi premette
il verso di Menandro, come epigrafe, ad Amore
e morte del 1832.
In Il
tramonto della luna , del 1836, il
poeta di Recanati poco prima di morire compone l'anatema definitivo
dell'ultima età: "estremo/di tutti i mali, ritrovàr gli
eterni/la vecchiezza, ove fosse/incolume il desio, la speme
estinta,/secche le fonti del piacer, le pene/maggiori sempre, e non
più dato il bene"(vv.45-50).
Elogi della vecchiaia
Ebbene, a così
forti biasimi vogliamo contrapporre qualche elogio della senilità
cui tutti siamo avviati e alla quale arriveremo se non moriremo
prima, forse schivando qualche incomodo, ma certamente perdendo
parecchie occasioni, se non altre di "imparare molte cose",
come ci ha insegnato Solone: “ghravskw
d jaijei; polla; didaskovmeno"”
(fr. 28 Gentili-Prato). Ho scritto sopra che Solone suggerisce di
aspirare al traguardo degli ottant’anni.
Io andrei molto
più in là: quella mi sembra solo l’età per cominciare a pensare
alla pensione.
Cicerone nel De
senectute (del 44 a. C.) compone
l'elogio più articolato della vecchiaia, facendo dire a Catone
ottantatreenne: "in moribus est culpa, non in aetate", il
difetto sta nei costumi, non nell'età; e la pena deriva dai sensi di
colpa dovuti a una vita mal vissuta: "quia coscientia bene actae
vitae multorumque benefactorum recordatio iucundissima est",
poiché la coscienza di una vita impiegata bene e il ricordo di molte
buone azioni fatte sono fonti di dolcissima gioia.
Vengono portati
esempi di vecchiaie vigorose e produttive: Platone che morì a
ottant'anni scribens,
scrivendo ancora, Isocrate che a novantatré anni compose il
Panatenaico,
poi visse altri cinque anni, e il suo maestro Gorgia che compì
centosette anni, studiando e lavorando, tanto che disse: "Nihil
habeo quod accusem senectutem" non ho niente da rimproverare
alla vecchiaia. Insomma, secondo Cicerone, c'è una montatura
negativa nei confronti dell'età avanzata.
Montatura che ai
giorni nostri è di moda poiché i giovani sono meno attrezzati per
smontare le menzogne della pubblicità.
Gli
indebolimenti, almeno quelli mentali, sono dovuti alla mancanza di
esercizio. "At memoria minuitur", ma la memoria diminuisce;
ebbene a questa obiezione-luogo comune degli imbecilli, l’autore
risponde:"credo, nisi eam exerceas, aut etiam si sis natura
tardior ", lo credo, se non la si esercita, o anche se sei
piuttosto stupido di natura, e fa l'esempio di Sofocle che "ad
summam senectutem tragoedias fecit", compose tragedie fino alla
vecchiaia estrema, e anzi si difese dall'accusa di demenza senile
contestatagli da un figlio che voleva venisse interdetto, leggendo
l'Edipo a Colono,
la tragedia appena composta, ai giudici che naturalmente lo assolsero
a pieni voti. Poco più avanti il De
senectute ricorda anche Solone "qui
se cotidie aliquid addiscentem dicit senem fieri", che dice di
diventare vecchio imparando ogni giorno qualche cosa; non solo, ma a
Pisistrato che gli domandò in che cosa confidasse per opporsi a lui
con tanta audacia, il legislatore-poeta rispose "senectute ",
nella vecchiaia.
I piaceri che
scemano poi sono quelli volgari del corpo: “epularum aut ludorum
aut scortorum voluptates” , dei banchetti o dei giochi o delle
prostitute certo non paragonabili a quelli dello spirito che invece
crescono. Quanto alle solite accuse di essere bisbetici (morosi ),
ansiosi (anxii), iracundi , difficiles, avari, questi sono difetti
dei caratteri, non della vecchiaia:"sed haec morum vitia sunt,
non senectutis" (De senectute,
18).
Nella Repubblica,
Platone racconta che Sofocle oramai anziano, quando Cefalo, il padre
di Lisia, gli domandò: "pw'"...
e[cei»pro;»tajfrodivsia; e[ti
oiJov»te ei\ gunaiki; suggivgnesqai”,
come ti va nelle cose d'amore? sei ancora capace di congiungerti con
una donna?, il poeta rispose: "eujfhvmei
w\ [aqrwpe: aJsmenevstata mevntoi aujto; ajpevfugon, w{sper
luttw'ntav tina kai; a[grion despovthn ajpodrav"”
(329c), sta' zitto tu, infatti con grandissima gioia me ne sono
liberato, come se fossi fuggito da un padrone furente e selvaggio.
Questa
dichiarazione di libertà da Eros nell’età avanzata viene
ricordata e approvata da Catone il vecchio nel De
senectute
di: “Bene Sophocles, cum ex eo quidam iam affecto aetate quaereret
utereturne rebus veneriis: Di meliora! inquit; libenter vero istinc
sicut ab domino agresti ac furioso profūg” (14), opportunamente
Sofocle quando, già vecchio e fiaccato dagli anni, un tale gli
chiedeva se facesse ancora del sesso, disse: dio ne scampi,
volentieri invero sono scappato di lì come da un padrone selvaggio e
furioso!
Se ci affacciamo
nel campo della commedia, continua Catone, basta osservare i due
fratelli degli Adelphoe
di Terenzio: "quanta in altero diritas, in altero comitas!”,
quanta durezza nell'uno (Demea), dolcezza nell'altro (Micione)! Anche
la vicinanza della morte non è terrificante, infatti "omnia
quae secundum naturam fiunt sunt habenda in bonis", tutto quello
che avviene secondo natura deve essere considerato tra i beni.
E noi uomini:
"in hoc sumus sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum
sequimur eique paremus", in questo siamo saggi che seguiamo la
natura ottima guida come un dio, e le obbediamo, aveva già detto
Catone nel prologo.
J. Hillman è
d’accordo con Cicerone: “I fatti dimostrano che, invecchiando, io
rivelo più carattere, non più morte”4.
Purtroppo non
posso soffermarmi oltre sull'argomento, che mi sta a cuore, anche per
ragioni anagrafiche oramai, però voglio menzionare un moderno: Italo
Svevo. Nella sua opera, il protagonista di Senilità
, Emilio Brentani, è un trentacinquenne dall'anima stanca, mentre la
vecchiaia anagrafica di altri personaggi è, come nota
Magris:»libertà dall'obbligo di attestare a se stessi e agli altri
il proprio valore, la propria capacità e vitalità"5.
Concludo con
alcune riflessioni di U. Galimberti: “Nel suo disperato tentativo
di opporsi alla legge di natura, che vuole l’inesorabile declino
degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a stare
continuamente all’erta per cogliere di giorno in giorno il minimo
segno di declino. Ipocondria, ossessività, ansia e depressione
diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre
suoi feticci diventano la bilancia, la dieta, la palestra, la
profumeria, lo specchio.
Eppure nel
Levitico
(19, 32) leggiamo: “Onora la faccia del vecchio”…La faccia del
vecchio è un bene per il gruppo, e perciò Hillman può scrivere
che, per il bene dell’umanità, “bisognerebbe proibire la
chirurgia cosmetica e considerare il lifting un crimine contro
l’umanità”, perché, oltre a privare il gruppo della faccia del
vecchio, finisce per dar corda a quel mito della giovinezza che
visualizza la vecchiaia come anticamera della morte. A sostegno del
mito della giovinezza ci sono due idee malate che regolano la cultura
occidentale, rendendo l’età avanzata più spaventosa di quello che
è: il primato del fattore biologico
e del fattore economico
che, gettando sullo sfondo tutti gli altri valori, connettono la
vecchiaia all’inutilità, e l’inutilità all’attesa della
morte. Eppure non è da poco il danno che si produce quando le facce
che invecchiano hanno scarsa visibilità…La faccia del vecchio è
un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un
volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia
trasparire l’insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi con
la propria faccia. Se smascheriamo il mito della giovinezza e curiamo
le idee malate che la nostra cultura ha diffuso sulla vecchiaia
potremmo scorgere in essa due virtù: quella del “carattere” e
quella dell’ “amore”. La prima ce la segnala Hillmann ne La
forza del carattere (Adelphi):
“Invecchiando io rivelo il mio carattere, non la mia morte”, dove
per carattere devo pensare a ciò che ha plasmato la mia faccia, che
si chiama “faccia” perché la “faccio” proprio io, con le
abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato, le
peculiarità che mi sono dato, le ambizioni che ho inseguito, gli
amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato”6.
Sulle leggi
Solone
e Anacarsi Scita
Nella
Vita
di Solone
di Plutarco troviamo una derisione delle leggi scritte da parte di
Anacarsi che fu ospite e amico del legislatore Ateniese. Lo Scita
dunque derideva l’opera di Solone che pensava di frenare le
iniquità e l’avidità (ta;~
ajdikiva~ kai pleonexiva~)
dei cittadini con parole scritte (gravmmasin)
le quali, diceva, non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde;n
tw`n ajracnivwn diafevrein,
5, 4), ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre
saranno spezzate dai potenti e dai ricchi (uJpo;
de; dunatw`n kai; plousivwn diarraghvsesqai).
Le
cose poi andarono secondo le previsioni di Anacarsi il quale disse
anche, dopo avere assistito all’assemblea degli Ateniesi, di essere
stupito del fatto che presso i Greci parlassero i sapienti ma
decidessero gli ignoranti (o{ti
levgousi me;n oiJ sofoi; par j { Ellhsi, krivnousi d j oiJ ajmaqei`~
(5,
6). Le leggi dunque colpiscono solo i deboli: “perché vedete, a
saper bene maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è
innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se ne
starà zitto”7,
dice l’Azzecca-garbugli a quel “materialone” di Renzo.
Nietzsche:
“Le leggi contro i ladri e gli assassini sono fatte a favore delle
persone colte e ricche”8.
I
legislatori favorevoli ai poveri vengono anatemizzati.
Nella
storia romana "la maggiore singolarità»è data dal fatto che i
primi
legislatori "e soprattutto il loro capo Appio Claudio siano
stati deposti per la loro indegna tirannide»mentre
diversi altri "veri o mitici legislatori, Licurgo, Solone,
Zaleuco, Mosé, sono dalla tradizione circonfusi da un'aureola di
luce che li rende santi e venerabili". Il fatto è che Appio
Claudio e i decemviri
legibus scribundis
nel 451/450 agirono in favore della plebe:»Di contro alla prepotenza
patrizia, ordinatasi nel sec. V la plebe a Stato entro lo Stato, due
furono le concessioni che prima cercò di ottenere: leggi eguali per
tutti, e una parte per tutti i cittadini nel governo della
repubblica. A soddisfare l'una e l'altra richiesta si accinsero i
decemviri". Di qui la reazione dei patrizi:"Come dalla
decadenza della monarchia, così dalla caduta del decemvirato
trassero sul momento vantaggio i soli patrizi. E dell'una e
dell'altra spetta quindi ai patrizi la responsabilità"9.
Giovanni
Ghiselli g.ghiselli@tin.it
Il
blog è arrivato a 110258
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2
Pp. 30-31.
3
Diavulo~
è già una doppia corsa (div~,
aujlhv) : è l’andata e il ritorno
della pista , circa 384 metri a Olimpia., Una corsa comunque breve,
ahinoi!
4
La forza del carattere, p. 27.
6
U. Galimberti, la Repubblica 29 febbraio 2008, p. 53 : Quando essere
vecchi significa saggezza.
8
Frammenti postumi, 1876, 14
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