Adriana Pedicini, Sazia di Luce, Edizioni Il Foglio
E’ un libro di poesie: liriche belle,
piene di amore per la vita, un amore sicuro, anche se non privo di
note dolorose.
Il titolo, Sazia di luce, può
trarre in inganno: di fatto l’autrice non è sazia di quella che la
più rallegrante delle cose1,
simbolo di salvezza e di beatitudine, ma è piuttosto alla ricerca di
una luce che prosegua anche dopo la vita e ci accompagni quale
yucagwgov~ verso benefiche immensità.
Questo amore e desiderio di vita,
terrena ed eterna, dilaga dall’anima di Adriana e si espande
sull’umanità, sugli animali, sulle piante, sulla natura intera
osservata con l’acume di un’intelligenza emotiva che ne riconosce
aspetti topici, già cantati dalla poesia, e ne scopre altri nuovi
con una sensibilità vivace .
Il lettore fin dai primi versi si
sente incoraggiato ad amare la vita assimilandosi alla poetessa la
cui forte vena ha l’effetto di una corrente che trascina con sé.
Questa immersione dionisiaca nei flutti del gran “mare dell’essere”
è un naufragio dolce. Le barriere elevate dall’egoismo, dai luoghi
comuni volgari, cadono; le separazioni tra uomo e uomo dovute
all’egoismo sono abbattute; anche i confini tra gli esseri umani,
gli animali, i fiori e le piante, insomma tutte le creature di Dio,
vengono cancellati da questo amore che comprende ogni aspeto della
vita in una comunione amorosa e mistica.
Vediamo allora, per cominciare, una di
queste poesie.
Ancora un minuto (p. 14)
Adriana chiede un poco di tempo, appena
un minuto, ma una frazione di vita così piccina può essere densa di
significato, può rappresentare un momento epifanico, avere il
valore e la forza di una rivelazione, l’intensità di
un’apocalissi.
L’autrice, come Penelope, chiede
questa dilazione “per rifinire la mia parte di tela”. Adriana è
una studiosa, una finissima grecista e latinista: di certo la sua
tela allude al sudario di Laerte mai finito dalla saggia moglie di
Odisseo. Questa tessitura dunque non verrà ma portata a termine: è
come la vita che non può terminare ma continuerà sempre,
indistruttibilmente viva.
In quel minuto eterno l’autrice
vuole rivedere e ripensare a tutto : “rimestare ancora una volta/ i
colori dell’iride/nel mastello dei giorni ”. L’iride è anche
la parte pigmentata degli occhi che sono le porte e le guide
dell’amore2,
e il mastello dei giorni contiene l’impasto delle azioni e degli
eventi della nostra vita con le tante prove che abbiamo dovuto
affrontare, ora superandole, ora cadendo sugli ostacoli, ora
facendoli cadere.
Poi: “Cicala d’estate/saranno miei
rami /le braccia dei figli/ove d’amore/ assidue melodie canterò”.
La cicala “pazza di sole”, come la chiama Aristofane3,
può essere un alter ego del poeta che canta, pazzo di amore
per la vita del mondo di cui sa cogliere la bellezza. I figli sono il
proseguimento dell’esistenza della madre che continua ad avere una
presenza anche terrena nella prole, poi nei nipoti e così via.
Infatti “i piccoli bimbi” che
“molceranno il mio cuore di nonna” sono nominati subito dopo.
Questi figli dei figli e poi i loro figli dovranno scovare l’ava
“tra le tremule foglie dei mesi”. Le foglie vengono e vanno come
le generazioni di noi mortali. Quelli della nostra generazione lo
leggevano fin da bambini nel poeta sovrano con ammirazione pensosa:
“Tidide magnanimo, perché mi domandi
la stirpe?”.
Domanda Glauco a Diomede.
Poi il figlio di Ippoloco continua:
“quale è la stirpe delle foglie,
tale è anche quella degli uomini.
Le foglie alcune ne sparge il vento a
terra, altre la selva
fiorente genera quando arriva il tempo
di primavera;
così le stirpi degli uomini: una
nasce, un'altra finisce”4.
Ebbene, noi educatori, amantissimi
della vita e della cultura come conoscenza e come paideia, non
saremo annientati quando usciremo da questo vestito che è il corpo,
ma continueremo a vivere nell’eredità di affetti, di cultura di
educazione che lasciamo su questa terra ai nostri figli, carnali e
spirituali, ai figli dei nostri figli e così via
“Tu mi sorriderai.
E socchiuderai gli occhi
Gonfi di noi”.
Con questa immagine si chiude la poesia
Ancora un minuto della collega e amica Adriana Pedicini.
Più avanti ne commenterò altre, e
l’amicizia non toglierà rigore alla mia critica.
giovanni ghiselli
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1
"La luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo
di tutto ciò ch'è buono e salutare. In tutte le religioni indica
la eterna salvezza, mentre l'oscurità indica dannazione" (A.
Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, p.
274).
2
Gli occhi, sostiene Properzio, sono, per chi ancora non l'avesse
capito, comandanti nella guerra amorosa: "Si nescis, oculi
sunt in amore duces" (II, 15, 12). Adriana l’ha capito di
sicuro.
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