foto di M. Roversi |
Adriana Pedicini, Sazia di Luce, Edizioni Il Foglio
Procedo con il commento alle liriche più belle del libro di
Adriana.
Luna grigia (pp.
20-21)
Il titolo è quasi ossimorico.
Abbiamo in mente altri epiteti che
riguardano il nostro pianeta.
Alcuni fanno oramai parte di una
dizione formulare: “candida luna”, “casta diva”, “silenziosa luna”[1],
“vergine luna”[2], “solinga, eterna
peregrina che sì pensosa sei”[3],
giovinetta immortal[4], “graziosa luna”[5].
Rispetto a Leopardi, il poeta
della luna, Adriana ne rinnova l’immagine:
“Questa sera, luna,
celi grigia la tua luce” (vv. 1-2)
Riguardo a Saffo c’è addirittura una specie di ribaltamento:
"Le stelle intorno alla bella
luna
nascondono di nuovo l'immagine
lucente,
quando, piena, splende al massimo
su tutta la terra
... E si inargenta"
In questo frammento (4D) la
poetessa di Lesbo ci fa vedere una luna che con il suo splendore cela le altre
stelle.
La percezione della luna corrisponde a uno stato dell’anima,
e quello della poetessa di Benevento nei primi versi della lirica non è uno
stato buono: la luna non è “quale ne’ plenilunii sereni”[6] e non
ride tra le stelle.
Adriana la chiama
“complice del mio nebbioso dolore” (v. 3),
La luna di questi primi versi non fa risplendere una sera di festa come la luce amabile di Selene dal bel volto (eujwvpido" selavna" ejrato;n favo" , vv. 74-75) dell’Olimpica
X di Pindaro.
La luce triste di
questa luna afflitta sospende l’anima di Adriana
“non su polla di acqua sorgiva
a stemperare la durezza
Dell’antico dramma” (vv. 4-6).
La nostra poetessa sente una sintonia e avverte un accordo tra il proprio pianto e l’aspetto mesto della luna
“Piangi con me questa sera
mentre il mio destino in grumo
mi lacera della mano chiuso il pugno” (vv. 8-10)
La luna è comunque una comes,
una compagna di viaggio[7], una
presenza che, pure se intermittente, non abbandona chi è abituato a osservarla,
a rivolgersi a lei
“Mi accompagni silenziosa
ti celi e appari e ricompari
mai tradisci lo sguardo
che ti attende pur grigia
oltre le cime dei monti e tra le nubi” (vv. 11-15).
Adriana cerca la luce, una luce ridente, come segno divino
che rischiari e allieti la sua anima, e la luna ancora una volta non le nega l’
aiuto:
“D’un tratto mi sorridi e
brilli più fulgida che mai
vicina a me e vicina alla mia casa” .
E’ il segno della vita che torna a brillare, a infondere
speranza, fiducia, gioia, nel cuore delle persone pie che guardano il cielo,
nelle anime di tutti i figli della luce.
Poi il segno si eclissa:
“Presto mi affaccio, ti cerco,
di nuovo
sei svanita lontana e grigia.” (vv. 19-21)
Ma il segno forte c’è stato, ed è stato il segno della vita.
“Appena un attimo la tua luce,
Così è la vita” (vv. 22-23)
Giovanni Ghiselli
[1] Leopardi, Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia, v. 2
[2] Leopardi, Op.
cit., v. 38.
[3] Leopardi, Op.
cit., vv. 61-62
[4] Leopardi, Op.
cit., v. 99.
[5] Leopardi, Alla luna, v. 1.
[6] Dante, Paradiso, XXIII, 15,
[7] Cfr. ancora il Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia: “Somiglia alla tua vita/la vita
del pastore” (vv. vv. 9-10)
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