Cara ministra,
vedo che a me non rispondi. Eppure hai detto che rivolgi sempre
una buona parola ai supplici che si rivolgono a te. Io non chiedo altro che un
segno di risposta sia chiaro, ma questo piccolo dono così caro a noi gente
grama, a me lo hai negato.
Tornerò quindi a darLe del lei.
L’ho pensata ieri mentre correvo tra Pesaro e Fano. Con questa
mia Le trascrivo i pensieri. Pensieri di un cervello lucido in una stagione triste.
“Quella Signora di Roma ha deluso le mie aspettative.
Tuttavia, mentre sono
qui che corro digiuno sulla sabbia della costa pesarese, mi sento ancora
seguito dall’immagine del suo volto che mi osserva con occhi innumerevoli e
fitti: quelli del prefetto, quelli del ministro, quelli del presidente in pectore, quelli della mamma di
Piergiorgio Peluso, quelli della grande Signora beneficentissima che si prende
cura di tutti, eccetto me, uno dei tanti, uno che del resto assai poco le chiede.
Visto che non mi ha dato risposte,
rivolgo una domanda a me stesso : ‘dove mi portano questi lungivaganti passi?
Troverò aperto il “Pesce azzurro” di Fano?
O dovrò procedere
fino a quella simpatica bettola del porto di Senigallia?’
In entrambi i locali bastano e avanzano i pochi euro che mi sono rimasti dall’ultima
trita pensione. Pochi, ma sufficienti
per il necessario. Non voglio niente di più. Entro questa sera però devo
nutrirmi.
So che se non mangio
prima di Falconara, divento pazzo.
Fino alla sazietà,
alla nausea della fatica, mi stanno sfiancando gli innumerevoli passi erranti
su questa cedevole rena, e le onde marine non mi lanciano innumerevoli sorrisi[1]
siccome il sole non c’è in questa estate dei Morti, mentre lo sciabordare dell’acqua mi bagna le
scarpe di gomma appesantendo la corsa. Sono così minuto nei fianchi[2] che
uno di questi gabbiani affamati potrebbe trapassarli con il becco, poi
divorarmi.
Ma è il pensiero della grande Signora che non mi risponde, il vero
cormorano che mi divora[3].
Ma Lei è ben pasciuta, e forse del mio parlare di fame e di
cibo poco Le cale, e mentre ascolta il singulto della Ligresti che
volontariamente non mangia, non sente il grido di quanti non hanno alcunché da
mangiare.
Ora non parlo di me. Sia chiaro che non sono qui a questuare.
Non chiedo soldi a nessuno. Anzi, offro
gratuitamente, a chi lo vuole, quel poco sapere che ho messo insieme in una
vita di studio. La maggior parte del mio
lavoro è volontariato. Collaboro gratis perfino con il Ministero della Pubblica
Istruzione, pensi un po’. Non ho chiesto nemmeno il rimborso che potevo avere
per l’albergo e il viaggio.
Non voglio denaro dunque, né raccomandazioni, però una Sua
risposta, egregia Signora, la vorrei: aiuterebbe tanto questo vecchio
maratoneta assillato dal suo silenzio.
Sono arrivato a Fosso Seiore che, tra Pesaro e Fano, divide
in due l’Italia linguistica: da Pesaro in su, “io” si dice “me” o “mi”; da Fano
in giù si dice “io”. Sopra fosso Seiore insomma c’è l’ex Italia celtica. Con
qualche propaggine fino a Senigallia.
I Galli come i Greci delle colonie italiote e siceliote
erano considerati dai Romani poco
affidabili: Livio racconta che dopo il disastro di Canne, dovuto anche
all’aiuto che Annibale ricevette dai Celti e dai Greci dell’Italia meridionale, vennero sacrificati
nel foro boario un Gallo e una Galla, persone dico, non pennuti, un Greco e una
Greca[4].
Ma io sono di sangue prevalentemente etrusco, preso dai
Martelli di Sansepolcro, e questo popolo chiuse le porte ad Annibale, rimase
fedele ai Romani. Dunque non credo che Lei in quanto Romana ce l’abbia con me
anche se vivo nell’Italia ex celtica, tra Pesaro e Bologna. L’origine toscana
dovrebbe salvarmi.
Ha sentito dire che la vera Italia per i Romani era quella
cisappenninica?
Se vuole saperne di più, venga alle mie conferenze. Sono gratuite e forse Le
saranno utili.
Intanto la fame mi punge con aculei terribili.
Salto il fosso che fa da confine tra Pesaro e Fano. D’ora in
avanti lo chiamerò Bosforo, in ricordo dei pensieri che Lei mi ha ispirato[5].
Devo raggiungere il Pesce azzurro di Fano prima che lo
chiudano, alle 14. Le pene dell’inedia per ora non rallentano i miei balzi,
anche perché mi sono trasferito sulla pista ciclabile dopo avere rischiato una
storta in una buca della cedevole sabbia. Come mi capitò quando balzai nel prato di Lerna in cerca della corrente
Cercnea dolce da bere[6].
Ora procedo impetuosamente.
Ancora non dispero che Lei, pasciutissima Ministra, risponda a me
come agli altri cento e più supplici che l’hanno interpellata. E lo faccia
senza intrecciare ambigui enigmi con voce roca, o spiattellare generici luoghi
comuni con dizione confusa.
Se vorrò degli enigmi,
tornerò a Delfi, in bicicletta, a pregare
sull’intangibile ombelico della terra[7], o all’ancora
più antica Dodona dove le profetica
quercia[8]
dall’alta chioma scossa da Dio sussurra sacri presagi agli uomini pii.
Voglio sapere come hanno fatto i detenuti a contattarla. Io
che sono un quidam de populo non
saprei farlo. Voglio anche sapere perché Suo figlio che, come dice Lei è “un
bravo figliolo” guadagna centinaia di volte più di quello che riceve per il suo
lavoro un bravo maestro o un onesto bidello. Ha forse donato il fuoco ai
mortali come Prometeo[9] il
suo Piergiorgio?
E’ stato di conforto
alle pene comuni?
Se non è così, non si vergogna il Suo rampollo di fruire di
un trattamento tanto diverso da quello della maggior parte degli altri mortali?
Queste enormi disuguaglianze sono state trovate per il male
dell’uomo, come, secondo Erodoto[10], il
ferro strumento di guerra
Lei ha chiesto: “non lo fareste voi?” Intendeva l’atto
prendere vari milioni di liquidazione dopo un anno di lavoro.
Io no, egregia
Ministra molto nutrita, io sono fiero della mia magrezza stilizzata, del mio
essere parco e sobrio. Sono fiero di andare a dormire negli ostelli della
gioventù quando giro la Grecia in bicicletta con tre amici. Sono contento di lavorare gratis
e, come me lo sono tante persone del volontariato, uomini e donne che non sono
certo peggiori del suo “bravo figliolo”, anzi, per i miei gusti, sono molto
migliori di suo figlio. E, mi perdoni, pure di Lei.
Ora l’aria si annera minacciosa. Anche il mare si è incupito
e non si distingue dal cielo.
Del resto oramai sono alle porte di Fano, fanum
Fortunae. Mi porterà fortuna.
Poi la tempesta esala il suo furore: si alzano i turbini che fanno girare la sabbia[11] e il cielo, il mare e la terra sono
sconvolti insieme.
E’ il correlativo oggettivo della confusione politica,
culturale, morale che affligge l’Italia da più di trent’anni.
Ma sono arrivato al sicuro: il Pesce azzurro mi ha accolto
con la bella cassiera bruna, sorridente che festeggiava la mamma mia tutte le
volte che ce la portavo dagli ottanta ai novantasette suoi anni.
Ce la porto ancora. Dentro di me.
Prendo tre diversi piatti di pesce e un bicchiere di vino
per 11 euro.
Ottima è l’acqua e ottimo tutto il resto.
Non voglio più nessuna risposta da Lei, Eccellenza.
La prego, non mi risponda: "to; mh; maqei'n moi krei'sson h] maqei'n tavde"[12], non sapere certe cose per me è meglio che
saperle.
Del resto le sue risposte sono tutte prevedibili e non dicono niente di
nuovo.
giovanni ghiselli
g.ghiselli@tin.it
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[1] Cfr. Eschilo, Prometeo
incatenato , 89-90: pontivwn
te kumavtwn ajnhvriqmon gevlasma" innumerevole sorriso delle onde
marine.
[2] Cfr. Dante, Infeeno, XX, 115.
[3] Nella
prima scena di Love’s Labour’ s lost di
Shakespeare, Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant
devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.
[4] Tito Livio racconta che dopo Canne (216 a. C.) “ex
fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et
Galla, Graecus et Graeca, in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum
saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri
fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e
una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario, in un luogo recintato da sassi, già prima
insanguinato da vittime umane, con un rito però non romano.
[5] Cfr, Eschilo, Prometeo
incatenato, 733.
[6] Cfr. Prometeo
incatenato, v. 676.
[7] Cfr. Sofocle, Edipo
re, vv. 897-898
[8] Cfr. Odissea,
XIX, 295-296.
[9] Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, 612.
[11] Cfr. Prometeo incatenato, 1084-1085
[12] Cfr. Eschilo, Prometeo
incatenato, v. 624. Sto preparando
una conferenza su questa tragedia. Verranno ad ascoltarmi in tanti, gratis e
con amore
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