Gentilissima signora Cancellieri,
La chiamerò anzi Anna Maria, e addirittura, pur con tutto il
rispetto dovuto alla grandezza dell’augusta persona quale essenzialmente sei e all’altezza
sublime del ruolo che degnamente, assai degnamente ricopri, ti darò del tu,
ricordando la tua natura profondamente democratica, buona, e sinceramente amica di tutte le donne e gli
uomini, a partire dagli ultimi, dai miserabili, insignificanti, privi di
qualsiasi potere e appoggio, quale sono io da sempre.
Faccio parte della schiera delle genti grame, dei poveri
morti di fame che, però, dormono in pace[1]. Per
ora su questa terra, poi si vedrà.
Ho letto del tuo atto di generosità, magnifica ministra,
della tua carità, virtù senza la quale, pur con tutti i mezzi di questo mondo,
saremmo pezzi di rame risonante o un
cembalo che tintinna. Lo insegna Paolo di Tarso[2], cui ti dimostri devota. Continua l’apostolo: “Caritas
patiens est, benigna est caritas, non aemulatur, non agit superbe, non
inflatur. Non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non
cogitat malum[3]”.
Tu sei la carità in persona: caritas ipsa Non traduco qui
di fianco per non fare torto alla tua cultura che cede solo alla tua carità. La
tua carità non avrà mai fine.
Sono certo che farai altrettanto per tutti gli altri
infelici carcerati rimasti ammucchiati, come panni sporchi, nelle carceri.
Con la tua carità, Anna Maria, hai restituito la forza della
fede e della speranza quei poveretti, a me e a un popolo intero.
Ma prima di continuare devo presentarmi: mi chiamo Giovanni
Ghiselli. Sono persona minuta, insignificante, non possiedo nulla se non
qualche banale lettura scolastica, ricordata or sì or no, appresa del resto quando la scuola funzionava ancora e potevamo andarci anche noi
emaciati e smunti, magari con l’aiuto del presalario.
Mi chiamo Giovanni, ma non grido nel deserto come l’onesto Battista che
preparava la via a Cristo[4], siccome non ho la sua voce, però gli sono
devoto e non solo per l’omonimia, ma anche perché, come lui, sono assai trito e
parco[5], e,
se non mi nutro solo di miele selvatico e locuste[6], peso
comunque soltanto cinquantacinque chili, se non si contano i pochi altri etti
che si aggiungono per qualche ora in seguito all’unico frugalissimo pasto
quotidiano annaffiato con acqua di rubinetto. Che qui a Bologna del resto non è
peggiore di quella imbottigliata.
Talora, nei giorni di festa, mi permetto di aggiungervi un
po’ di limone e di cospargere gli orli del bicchiere con il liquido dolce e
biondo del miele. D’ora in avanti renderò celebrativi tali pocula dei dì di festa
brindando alla salute tua.
Non ho fatto nessuna carriera, giustamente, poiché non me lo
meritavo.
Non ho mai avuto la carità tua che procura le benemerenze. Non ho
nemmeno un millesimo della tua cultura. Sono rimasto un povero professore di
liceo classico con qualche contratto all’Università, qualche chiacchierata qua
e là da conferenziere vagante e
alloggiante in albergucci ordinari. Camere singole però, e pulite. Quindi non
ho bisogno di un tuo intervento come i prigionieri ammassati.
Sono comunque molto contento di questo mio lavoro modesto ma
non disonesto, né inutile. Mi è piaciuto educare i giovani e i meno giovani. Se
rinascerò, lo rifarò. Come il mendico di Pascoli, arrivato al tramonto, dico:
“Ti lodo, Fortuna!”
Forse lascerò qualche eredità solo di affetti ma questi
buoni e forti, e a non poche persone.
Dal basso gradino
della scala sociale in cui mi trovo , ti
dirò, guardando in alto, nell’etere sublime dove meritamente eppure nolente ti
hanno fatto salire, che il tuo comportamento davvero magnanimo con la poverina
in ceppi, mi ha fatto pensare a un paio di versi dell’Odissea, che tu signora conosci certamente molto meglio di me, da a[ndra moi e[nnepe Mou`sa all’ultimo piede
dell’ultimo esametro, ma che voglio comunque riferire qui a edificazione di
eventuali altri lettori di questo mio blog minimo, l’unica ricchezza mia, oltre gli
affetti, una dovizia che, paragonata alle tue colossali, le spirituali dico, è
ben povera e piccola cosa, ma è comunque a me molto cara.
Ecco dunque i versi di Omero che il tuo comportamento nobile
e umano mi ha fatto tornare in mente. E’ come se tu stessa me li avessi
insegnati di nuovo facendomeli davvero capire con una comprensione profonda,
anche emotiva, di cuore.
Odisseo si presenta assai malridotto alla principessa
Nausicaa nel VI canto e al guardiano di porci Eumeo nel XIV dell’Odissea.
In entrambi i casi l’uomo perseguitato da un dio malevolo è bisognoso di aiuto, e lo chiede
mostrando tutta la sua indigenza. Come ha fatto il tuo amico con te, quando ti ha chiesto di
intercedere per quella sua miseranda parente in carcere et vinculis[7].
Nel poema omerico la
ragazza soccorre Odisseo naufrago e
l’uomo addetto ai maiali aiuta Odisseo mendico.
Entrambi dicono, e con parole identiche, qual è il movente della
loro carità: “pro;~ ga;r Dio;~ eijsin
a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”[8].
Non metto qui di seguito la traduzione per non urtare
con tanta indelicatezza la tua finissima
sensibilità: non ho dubbi sul fatto che tu conosca molto meglio di me questo
antico idioma che altri ministri hanno reso oramai sepolcrale. Ma tu lo
possiedi con sicurezza e sai impiegarlo ad ogni evenienza: lo sento dalla
maestria cruscante e dalla finezza principesca con cui ti esprimi quando parli con voce
flautata padroneggiando la nostra lingua fino alle radici più nascoste di ogni
vocabolo. Solo chi conosce il greco e il latino sa mettere tanta bellezza nelle
parole.
Io ti assimilo a Nausicaa la giovanissima principessa dei
Feaci, fresca come un germoglio (qavlo~[10]),
dritta e slanciata come un nuovo
virgulto di palma (foivniko~ nevon e[rno~[11])
e , per altri motivi, ti reputo uguale
al porcaio di Itaca, il generoso Eumeo che accoglie Odisseo travestito da
pitocco, senza riconoscerlo e quindi sicuro di non ricevere nulla in cambio. Anche tu, magnifica signora, hai
aiutato una creatura chiusa in un carcere orrendo, una prigioniera povera che
non potrà mai contraccambiarti se non con un fievole “grazie, il buon Dio ti
ricompenserà” e con un mesto sorriso.
Infatti la persona di cui ti sei presa cura e la sua
famiglia non hanno altro da darti che la
loro gratitudine.
Tu dunque, amabile Anna Maria, sei l’idolo mio e lo sarai
sempre poiché ho già innalzato in camera un altare con la tua immagine santa,
un’ara tutt’altro che sfarzosa, ma ricca
della mia devozione.
Presto diventerai un modello, o modella dato che sei donna,
per tutti: ti imiteranno anche i cuori
duri di quanti non si curano del
dolore dei fratelli che stravolti dalla
povertà e dagli stenti, tendono loro le mani.
Tu con il tuo gesto emblematico, hai dato un esempio di generosità
destinato a brillare in saecula
saeculorum. D’ora in avanti non mancherò di togliermi dalla bocca metà del
poco pane che la ridotta pensione mi consente per donarlo al povero cui anche
un piccolo dono è gradito.
L’avevo letto in Omero ma l’ho capito veramente leggendo di
questa tua grande generosità disinteressata, ovvero interessata soltanto a fare
del bene. Nessuno dei sessantanovemilanovecentonovantanove carcerati rimasti in
carcere et vinculis cadrà più nella
disperazione dopo la tua epifania, angelica benefattrice ispirata da Dio.
Mi sembra un’infamia
che alcuni sacrileghi vogliano presentare una mozione di sfiducia e altri
blasfemi chiedano le tue dimissioni.
Dio è con te, e li
punirà.
Tuo devoto
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Giovanni Pascoli, Il mendico,
[2] Ai Corinzi
I, 13, 1
[3] Ai Corinzi I, 13, 4. La carità è
paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si
gonfia, non è finalizzata al consenso,
non cerca il suo interesse, non si adira, non concepisce il male
[4] Cfr, N. T. Marco I, 2
[5] Cfr. Paulo
Uccello di Giovanni Pascoli
[6] N. T. Marco I, 6: “Et
locusta set mel silvestre edebat”
[7] Cfr, De
Profundis di Oscar Wilde.
[8] Odissea VI
207-208 e XIV 57-58. Infatti gli ospiti e i poveri vengono tutti da Zeus, e il
nostro piccolo dono è gradito
[9] Nell’XI canto dell’Odissea, Alcinoo dice a Odisseo che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai; frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e
che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv. 367-368).
[10] Odissea,
VI, 157.
[11] Odissea,
VI, 163
fiera di appartenere alla nobile schiera delle genti grame che pero' dormono in pace,condivido in tutto la lettera alla ministra e la sottoscrivo Margherita
RispondiEliminaNon appartengo alle genti grame per mia fortuna, ma se la Cancellieri farà questo per tutti i carcerati anoressici... Vedremo!!!
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