Il fascino discreto della borghesia (Luis Bunuel) |
Che cosa è il
borghese.
C’è una satira (la IV[1])
di Vittorio Alfieri contro la borghesia
(La sesqui-plebe)
che merita di essere
letta tutta. Ma è lunga e ne cito solo
gli ultimi versi:
“D'ogni Città voi la più prava parte,
“D'ogni Città voi la più prava parte,
Rei disertor delle paterne glebe,
Vi appello io dunque in mie veraci carte,
Non Medio-ceto, no, ma Sesqui-plebe” (vv. 31-34).
Non Medio-ceto, no, ma Sesqui-plebe” (vv. 31-34).
In un brano dell’ autobiografia l’Astigiano
prende di mira i banchieri.
Vittorio
Alfieri nella Vita[2]
racconta che un banchiere cui aveva regalato un cavallo di pregio, in Spagna,
nel 1772, lo contraccambiò truffandolo attraverso una cambiale: “ Ma io non
avea neppur bisogno di aver provato questa cortesia banchieresca per fissare la
mia opinione su codesta classe di gente, che sempre mi è sembrata l’una delle
più vili e pessime del mondo sociale; e ciò tanto più, quanto essi si van
mascherando da signori, e mentre vi danno un lauto pranzo in casa loro per
fasto, vi spogliano per uso d’arte al loro banco; e sempre poi sono pronti ad
impinguarsi delle calamità pubbliche” (3, 12).
Schopenhauer vede il borghese come "l'uomo privo di ogni
bisogno spirituale... E' per l’appunto ciò che viene chiamato… Un filisteo.
Costui è e rimane cioè l' a[mouso"
ajnhvr", ossia
l'uomo estraneo alle muse”[3]
.
Dopo un
“reazionario”, il padre del comunismo, uno dei miei padri.
“La
borghesia non lascia tra uomo e uomo 'altro vincolo che il nudo interesse,
lo spietato pagamento in contanti. Essa ha affogato nell'acqua gelida del calcolo
egoistico i santi fremiti dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo
cavalleresco'"[4].
Quindi un
esteta.
Oscar Wilde nel De Profundis (del 1897) identifica il filisteo con il nemico della spiritualità. Cristo “capì che gli uomini non dovevano prendere troppo sul serio gli interessi materiali, quotidiani; che non essere pratici è una gran cosa; e che non occorreva angustiarsi eccessivamente per gli affari…la guerra più dura la muoveva ai filistei. La guerra che ogni figlio della luce deve combattere. Tutti eran filistei nel tempo e nella comunità in cui viveva. Nella loro cieca incapacità d’accogliere nuove idee, nella loro ottusa rispettabilità, nella loro tediosa ortodossia, nel loro culto dei meschini successi, nel loro preoccuparsi esclusivamente del lato grossolano, materiale dell’esistenza, nella loro ridicola presunzione e vanagloria, gli ebrei di Gerusalemme al tempo di Cristo corrispondevano esattamente ai nostri filistei britannici”[5].
Oscar Wilde nel De Profundis (del 1897) identifica il filisteo con il nemico della spiritualità. Cristo “capì che gli uomini non dovevano prendere troppo sul serio gli interessi materiali, quotidiani; che non essere pratici è una gran cosa; e che non occorreva angustiarsi eccessivamente per gli affari…la guerra più dura la muoveva ai filistei. La guerra che ogni figlio della luce deve combattere. Tutti eran filistei nel tempo e nella comunità in cui viveva. Nella loro cieca incapacità d’accogliere nuove idee, nella loro ottusa rispettabilità, nella loro tediosa ortodossia, nel loro culto dei meschini successi, nel loro preoccuparsi esclusivamente del lato grossolano, materiale dell’esistenza, nella loro ridicola presunzione e vanagloria, gli ebrei di Gerusalemme al tempo di Cristo corrispondevano esattamente ai nostri filistei britannici”[5].
Poi un altro
corifèo del decadentismo letterario.
“E che cosa
d’altronde poteva esserci di comune tra lui e quella borghesia che s’era fatta
a poco a poco, profittando per arricchirsi di tutti i disastri, suscitando
catastrofi pur d’imporre il rispetto dei suoi misfatti e delle sue
ruberie… Autoritaria e sorniona, bassa e vigliacca, essa infieriva senza pietà
contro l’eterna necessaria sua vittima, il popolino, cui pure aveva di sua mano
tolta la museruola e che aveva appostato perché saltasse alla gola delle
vecchie caste… Conseguenza della sua salita al potere, era stata la
mortificazione di ogni intelligenza, la fine di ogni probità, la morte di ogni
arte. Gli artisti umiliati, s’eran buttati ginocchioni a divorar di baci i
fetidi piedi dei grandi sensali e dei vili satrapi, delle cui elemosine
campavano…. Era insomma la galera in grande dell’America trapiantata nel nostro
continente; era l’inguaribile incommensurabile pacchianeria del finanziere e
del nuovo arrivato che splendeva, abbietto sole, sulla città idolatra che
vomitava, ventre a terra, laidi cantici davanti all’empio tabernacolo delle
Banche”[6].
H. Hesse in Il lupo della steppa
definisce il borghese: "una creatura di debole slancio
vitale...l'assoluto gli è intollerabile"(p.XVII).
Quando si
esclude l’assoluto fiorisce la chiacchiera: “Perché c'è soltanto un'antitesi
assoluta all'assoluto e cioè la chiacchiera vana"[7].
In La montagna incantata di T. Mann ci sono
due personaggi che si contendono l’anima del giovane protagonista Hans Castorp.
Ebbene il quasi gesuita[8]
Naphta considera il rivale, l’umanista, “il signor Settembrini, il
letterato…l'uomo del progresso, del liberalismo, della rivoluzione borghese”.
Ma “il progresso era puro nichilismo ed il borghese liberale l’uomo del nulla e
del diavolo. Anzi egli negava Dio, l'Assoluto, per darsi in braccio al
diabolico antiassoluto, e nel suo pacifismo di morte si credeva chissà quanto
devoto e pio"[9].
Questo grande libro di T. Mann, un “romanzo come architettura di idee”[10],
è una di quelle opere che i giovani dovrebbero legge per il loro arricchimento
mentale e per la loro educazione.
Veniamo a Pasolini e sentiamo un suo anatema contro la
cultura pragmatica che è poi quella borghese: “Io per borghesia non intendo
tanto una classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia molto
contagiosa: tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la
combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal Sud, ai
borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il borghese - diciamolo
spiritosamente – è un vampiro, che non sta in pace finché non morde sul collo
la sua vittima per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar
pallida, triste, brutta, devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, piena di
senso di colpa, calcolatrice, aggressiva, terroristica, come lui.[11]”
“Nessuna opera, di narrativa, di poesia, di filosofia che
conti può conciliarsi ideologicamente - per
la contradizion che nol consente - con il lettore medio borghese: ogni opera
di poesia è fondamentalmente innovativa, e quindi scandalosa. E il borghese
teme soprattutto, come la peste, l’innovazione e lo scandalo: egli è
conservatore quando non è reazionario. La poesia lo contraddice alle radici”[12].
Il fatto è che il borghese deve continuamente riaffermare e
rafforzare la propria identità attraverso la roba: “Il borghese deve affermare
quella che sarà la sua identità per tutta la vita. L’aristocratico si manifesta
per quello che è già al momento della nascita. Il borghese si sente costretto
ad accumulare, o quanto meno a salvaguardare”[13].
Un prete
cristiano: “Una classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo,
la guerra, la disoccupazione. Se occorresse 'cambiare tutto perché non cambi
nulla' non esiterà a abbracciare il comunismo”[14].
Sembra che l’abbia capito anche Papa Francesco.
Un
intellettuale vivente, uno degli studiosi seri:“La vita borghese è micrologia,
visione analitica e riduttiva nella quale l'esistenza non fa più balenare un
senso globale che la illumini e le dia valore”[15].
Concludo riferendo una interpretazione per lo meno stravagante e bizzarra che non condivido: quella di Santo Mazzarino il quale contrappone
la visione aristocratica di Tucidide a quella borghese di Socrate: "La
profonda differenza fra quei due grandi contemporanei riproduce un dualismo che
caratterizza tutta la storia greca. Tucidide esprime una società aristocratica,
la quale svolge sino alle estreme conseguenze la capacità greca di contemplare
teoricamente le aporie del lògos , ed
insomma fonda il suo pensiero sullo antilogeîn
"parlare in sensi opposti", ugualmente validi. Dobbiamo ribadire
questo punto: per la società aristocratica tucididèa non ci può essere una Dìke
sola, come aveva già detto Eschilo; "utilità" si oppone a
"giustizia", come nel tucidideo dialogo dei Melii. La cultura borghese
di Socrate ha invece bisogno di un punto fermo: e lo può trovare soltanto
nell'identificazione dell'utile col giusto, nella presenza di una giustizia
assoluta"[16].
Socrate aveva diversi difetti, poè essere anche un reazionario, ma sicuramente non viveva da borghese e non aveva
simpatia per la pragmatica cultura borghese.
Nel Gorgia, il
maestro di Platone afferma che Pericle e
prima di lui Temistocle e Cimone, "non hanno reso grande la città, come si
dice, in quanto Atene è piuttosto gonfia
e purulenta (oijdei` kai; u{poulo~ ejstin,
518e) poiché l’hanno riempita di porti, di arsenali, di mura, di contributi e di altre sciocchezze del
genere senza preoccuparsi in effetti della temperanza e della giustizia" (a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~,
519a).
giovanni ghiselli
[1] Le satire furono scritte fra il 1786 e il 1797
[2] La prima stesura della Vita, datata 1790, comprende la prima parte. Alfieri continuò a
comporre la propria autobiografia fino alla morte, avvenuta nel 1803.
[3] Parerga e
Paralipomena
, Tomo I, p. 462.
[4] Manifesto del
partito comunista di Marx-Engels, p. 59.
[5] De Profundis in Wilde Opere, p. 737.
[6] J. K. Huysmans, Controcorrente
(del 1884) p. 218.
[7]S. Kierkegaard, In
vino veritas , p. 58.
[8]
“Il signor Naphta non è padre. La malattia gli ha impedito finora di
diventarlo. Ma ha fatto il noviziato ed anche i primi voti… Ma è un membro
dell’Ordine.”, T. Mann, La montagna
incantata, II, p. 74. E’ Settembrini che parla.
[9] T. Mann, La
montagna incantata (del 1924), p.
201,II vol.
[10] T. Mann, Saggio autobiografico in Thomas Mann Nobiltà dello spirito e altri saggi,
p. 1466.
[11] P- P. Pasolini, Il
caos, p. 39.
[12] P. P. Pasolini, Le
belle bandiere, p. 128,
[13] Sàndor Màrai, La
donna giusta, p. 18.
[14] La citazione all'interno della frase tra virgolette è nel romanzo “Il
Gattopardo”. La dice un principe siciliano all’arrivo dei garibaldini (1860).
Poi fa il garibaldino anche lui e così non perde né i soldi né il potere. Scuola di Barbiana. Lettera a una professoressa, p. 74.
[15] C. Magris, L’anello
di Clarisse, p. 191
[16]Il pensiero
storico classico , I vol., p.
329. Sulla doppia dike di Eschilo torneremo
al cap. 33.
pezzo illuminante! E ora voglio leggere Il lupo della steppa :-)
RispondiEliminaPer tutte le volte che io stessa - da borghese - ho troppo chiaccherato, lontana dall'assoluto cui pure aspiro...
Maddalena