Sommario
Stazio: “nil falsum trepidis”
Livio e il re Numa
Il dramma satiresco Sisifo attribuito a Crizia
Seneca. Stazio.
Machiavelli
Hitler e la cricca di Bush
Stazio: “nil falsum trepidis”
Livio e il re Numa
Il dramma satiresco Sisifo attribuito a Crizia
Seneca. Stazio.
Machiavelli
Hitler e la cricca di Bush
Terenzio condanna l’educazione basata sulla paura.
La paura inculcata
dalla religio.
Eppure l’intimidazione
non viene sempre disapprovata come diseducativa: Eschilo (to; deinovn, nelle Eumenidi), Menelao nell’Aiace
di Sofocle, e gli Spartani di Plutarco (Vita
di Cleomene) celebrano la paura. Anche
Sallustio (metus, formido, Bellum Iugurthinum) è un fautore della paura.
Giovenale: la vicinanza di Annibale e la povertà frenavano
la libidine. Polibio e il koino;~ fovbo~ che costringe i Romani alla concordia. Del resto lo storiografo di Mantinea è contrario alla
presenza di ta; deinav nella
storiografia. La paura comunque è funzionale al potere.
La liberalitas, la
generosità di chi è davvero libero, con il pudor, il rispetto di chi sa
di essere uomo, sono i valori che trattengono i giovani dal fare il male, dal
farsi del male, in modo più efficace del metus secondo Terenzio: "Pudore
et liberalitate liberos / retinere satius esse credo quam metu: / hoc pater ac
dominus interest" (Adelphoe[1], vv. 57-58), credo che sia meglio tenere a freno i figli con il rispetto e con
la generosità che con la paura. In questo differisce un padre da un padrone.
Non c'è solo il padre
padrone ma anche la madre padrona: tale è Clitennestra secondo l'opinione della
figlia nell'Elettra[2] di
Sofocle: "kaiv s j e[gwge despovtin h]
mhtevr j oujk e[lasson eij" hJma'" nevmw" (597-598) e io
ti considero padrona non meno che madre verso di noi.
L’educazione deve
liberare il giovane da ogni forma di asservimento: "I tuoi educatori non
possono essere niente altro che i tuoi liberatori". Ogni formazione
"è liberazione, rimozione di tutte le erbacce, delle macerie, dei vermi
che vogliono intaccare i germi delicati delle piante, irradiazione di luce e di
calore"[3]
La paura inculcata dalla superstizione
Fu il re Numa che decise di
infondere il timore degli dèi (“deorum
metum iniciendum ratus est” Livio, I, 19, 4), cosa efficacissima per la
massa ignorante e rozza di quei tempi.
E' la ragione già
svelata da Crizia, sofista e tiranno sanguinario, (460-403 a. C.) nel dramma
satiresco Sisifo che contiene la teoria razionalistica
dell'utilità politica della religione la quale è un'invenzione geniale e valida
a frenare i male intenzionati con la paura dei castighi poiché le leggi non
bastavano a inceppare i malvagi quando agivano di nascosto: "Mi sembra che
prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i
malvagi ci fosse uno spauracchio (ti
dei'ma) anche se fanno o parlano o pensano qualche cosa
furtivamente (lavqra/)"[4].
Seneca (1 a. c. ca-65d. C.) nelle Naturales quaestiones
(opera della vecchiaia) ribadisce questo concetto: "Ad coercendos
imperitorum animos sapientissimi viri iudicaverunt inevitabilem metum ut
aliquid supra nos timeremus. Utile erat in tanta audacia scelerum esse aliquid
adversus quod nemo sibi satis potens videretur" (II, 42, 3), per
tenere a freno gli animi degli ignoranti, degli uomini sapientissimi
giudicarono inevitabile la paura perché temessimo qualche cosa sopra di noi.
Era utile in così grande audacia di delitti che ci fosse qualche cosa contro la
quale nessuno si credesse abbastanza potente.
Nella Tebaide di Stazio (45 ca-96 d. C.) Anfiarao
annuncia cattivi presagi e Capaneo replica: "Quid inertia pectora
terres? / Primus in orbe deos fecit timor" (III, 660-661), perché
terrorizzi i petti senza energia? per prima la paura impose gli dèi al mondo.
Un argomento che in
epoca moderna viene ripreso da
Machiavelli. L'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1517) verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando
un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti
della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere
mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai
tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque
impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare... E
vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a
comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a
fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma
fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo
grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove
sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella... E
veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non
ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che
"ricorrono a Dio" nomina Licurgo e Solone. Infine tira le
somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da
Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella
causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna
nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino
è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è
cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o
che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che
sopperisca a' defetti della religione".
A proposito della polivalenza problematica delle parole, la
paura, e tanto meno il terrore, non è elemento utile all'educazione dei figli
secondo il personaggio Micio di Terenzio, un uomo sostanzialmente positivo;
eppure nelle Eumenidi di Eschilo entrambe le parti contendenti affermano
la necessità di mantenere vivo to; deinovn
per il bene della povli" : nel
secondo Stasimo, il coro delle Erinni canta: "A volte è bene il terrore (e[sq o{pou to; deino;n eu\) /
e quale ispettore delle anime (frenw'n ejpivskopon) / deve restarvi a fare
la guardia" (vv. 517-519).
E subito dopo, ancora le Erinni: "mht j a[narkton bivon-mhvte despotouvmenon aijnevsh/"
: panti; mesw/ to; kravto" qeo;" w[pasen" (526-530), non
lodare una vita di anarchia né una soggetta al dispotismo: in ogni caso il dio
dà potenza al giusto mezzo.
Più avanti la stessa Atena
consiglia ai cittadini che hanno cura della città di rispettare uno stato senza
anarchia né dispotismo (to; mhvt j
a[narcon mhvte despotouvmenon, v. 696) e di non scacciare del
tutto la paura dalla città: infatti quale mortale è giusto se non ha nessuna
paura? ("kai; mh; to; deino;n pa'n
povlew" balei'n tiv" ga;r dedoikw;" mhde;n e[ndiko" brotw'n;" vv. 698-699).
Nell'Aiace di Sofocle il personaggio di Menelao
sostiene la stessa cosa per imporre il suo ordine di non seppellire Aiace che
non obbediva ai capi: “ouj ga;r pot ‘ ou[t
j a]n ejn povlei novmoi kalw̃ς-fevroint j a[n,
e[nqa mh; kaqesthvkh/ devoς, out j a]n stratovς ge
swfrovnwς a[rcoit j e[ti mhde;n fovbou provblhma mhd
jaijdoũς e[cwn»
(vv.1073-1076), mai infatti le leggi potrebbero procedere bene in una città
dove non si trovasse sancito il timore né un esercito potrebbe essere comandato
con equilibrio, se non avesse nessuno scudo di paura né di rispetto.
E poco dopo: “devoς
ga;r w/| provsestin aijscuvnh q’ oJmoũ,-swthrivan
e[conta tovnd j ejpivstasoo”
(vv. 1079-1080), sappi infatti che ha la salvezza quello nel quale risiede la
paura insieme con il rispetto.
NellaVita di Cleomene[5], Plutarco
racconta che gli Spartani onorano la
Paura “timw`si de; to;n Fovbon”, non come venerano gli dèi
che si vogliono distogliere perché ritenuti dannosi, “ajlla; th;n politeivan mavlista sunevcesqai fovbw/ nomivzonteς" (30, 9), ma i quanto credono che
con la paura soprattutto si tenga unito lo Stato.
E poco più avanti: “dio;
kai; para; tw̃n ejfovrwn
sussivtion to;n Fovbon i{druntai Lakedaimovnioi”,
perciò presso la mensa degli efori gli Spartani innalzarono il tempio di
Paura.
Il concetto della paura opportuna
all'ordine torna nel Bellum Iugurthinum[6]
di Sallustio: "Nam ante Carthaginem deletam... Metus hostilis in bonis
artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet
ea quae res secundae amant, lascivia atque superbia, incessere" (41),
infatti prima della distruzione di Cartagine…il timore dei nemici conservava la
cittadinanza nel buon governo. Ma quando quella paura tramontò dagli animi,
naturalmente quei vizi che la prosperità ama, la dissolutezza e la superbia, si
fecero avanti.
Giovenale riprende questo tema nella sesta satira, quella
contro le donne: una delle ragioni della castità delle Romane antiche era “proximus urbi / Hannibal” (vv. 290-291),
Annibale alle porte dell’urbe. E, continua: “Nunc patimur longae pacis mala; saevior armis / luxuria incubuit
victumque ulciscitur orbem. / Nullum crimen abest facinusque libidinis, ex
quo / paupertas Romana perit” (vv. 292-295), ora soffriamo i mali di una
lunga pace; più feroce delle armi, il lusso ci è piombato addosso e vendica il
mondo conquistato. Nessun delitto manca né misfatto della libidine da quando è
morta la povertà di Roma.
“La teoria di una funzione
benefica del pericolo esterno (che riassumiamo in genere sotto la formula
sallustiana del metus hostilis, il
“timore del nemico”: Bellum Iugurthinum
41, 2) è già presente in nuce in
Polibio, benché non pienamente sviluppata, né obiettivamente così urgente (nel
terzo quarto del II secolo a. C.) come sarà in Posidonio e in Sallustio, nelle
tempeste civili della Roma del I secolo. Ma quando, liberatisi dai pericoli
esterni, i cittadini di uno stato a costituzione mista vivono nella prosperità,
insorgono dall’interno motivi di deterioramento e disgregazione, che tuttavia
la costituzione mista possiede in sé i meccanismi per frenare, riportando
nell’ordine costituito l’elemento che tende a prevaricare”[7].
Polibio afferma che è difficile
trovare un sistema politico migliore della costituzione mista dei Romani: “o{tan me;n ga;r ti~ e[xwqen koino;~ fovbo~
ejpista;~ ajnagkavsh/ sfa'~ sumfronei'n kai; sunergei'n ajllhvloi~,
thvlikauvthn kai; toiauvthn sumbaivnei givnesqai th;n duvnamin tou'
politeuvmato~ w{ste mhvte paraleivpesqai tw'n deovntwn mhdevn… (6, 18,
2-3), quando infatti qualche paura comune incombente da fuori li costringe alla
concordia e alla cooperazione, tanta e tale succede che diventi la potenza
dello Stato che né viene tralasciata nessuna delle cose necessarie, in quanto,
continua Polibio, tutti fanno a gara per trovare i mezzi utili a fronteggiare
la situazione, né le decisioni falliscono l’occasione in quanto tutti
contribuiscono ad attuarle.
Si ricorderà (14. 3) che Polibio biasima e vorrebbe cancellare paura e compassione dalla storiografia: lo storico di parte achea biasima ta; deinav, i fatti terribili che Filarco, partigiano del re di Sparta Cleomene III[8] fautore di una rivolta sociale, racconta nelle sue Storie[9]: “spoudavzwn d j eij" e[leon ejkkalei'sqai tou;" ajnagignwvskonta" …peirwvmeno" ejn eJkavstoi" ajei; pro; ojfqalmw'n tiqevnai ta; deinav” (6, 56, 6 e 8), dandosi da fare per muovere a compassione i lettori… cercando sempre di mettere atrocità davanti agli occhi.
Secondo lo storico, acheo e filoromano, questo mostrare abbracci di donne e chiome scarmigliate e denudamenti di seni è una scelta propagandistica, ajgenne;" kai; gunaikw'de" [10], ignobile e donnesca. L’esposizione delle atrocità inquietanti sarebbe plausibile solo nella tragedia. Infatti lo squillo iniziale del primo stasimo dell'Antigone fa: "polla; ta; deina; koujde;n ajn qrwvpou deinovteron pevlei" (vv. 332-333), molte sono le cose inquietanti e nessuna è più inquietante dell'uomo.
Stazio nella Tebaide
racconta che la Paura diffonde smania di guerra, di morte e di strage
nell’esercito dei Sette contro Tebe: “nil
falsum trepidis” (VII, 131), nulla è falso per chi è spaventato, ed è
quindi disposto a credere a tutto.
La paura dunque è funzionale al potere. Joachim Fest riporta
queste parole di Hitler: “La gente ha bisogno della paura risanatrice. La gente
vuole temere qualcosa, pretende che la si intimidisca e che ci sia qualcuno cui
assoggettarsi tremando. Non avete forse constatato voi stessi, con i vostri
occhi, che dopo lo scontro nei locali pubblici, sono proprio quelli che le
hanno buscate i primi a chiedere di entrare nel partito? Cosa sono dunque
queste chiacchiere sulla crudeltà, e perché vi scaldate tanto per un atto di
violenza? E’ proprio quello che la massa vuole. La massa pretende qualcosa che
le faccia orrore”[11].
Infatti: le torri gemelle hanno potenziato la cricca di
Bush.
Giovanni ghiselli
[1] Del 160
a. C.
[2] Intorno al 415 a. C.
[3] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III,
Schopenhauer come educatore, p. 168.
[5] Re di Sparta dal 235 alla battaglia di Sellasia del
222. Fu sconfitto da Antigono
[6] Del 40 ca.
[7] D. Musti (a cura di) Polibio, Storie, vol. primo, p. 51
[8] Combattè la guerra, detta cleomenica appunto, contro
Achei e Macedoni difensori della classe abbiente. Fu sconfitto a Sellasia nel 222 a. C.
[9] Andavano dal 272 al 219, anno della morte del re
riformatore Cleomene III.
[10] Polibio, Storie, II, 56, 9.
[11] Hitler, Una
biografia, p. 214.
Bellissimo!
RispondiEliminaSpecie la conclusione!
noto purtroppo che si comincia a impaurire le persone fin da quando sono infanti, spesso con spauracchi inutili per contenere i bambini e distoglierli da azioni considerate sbagliate.
La paura è una cosa sana quando ci salva la vita e basta. Dopo questa funzione diventa proprio l'elemento che costringe e imprigiona la vita. La paura è la madre principale della violenza e los trumento principale dei dittatori.
Le torri gemelle le ha davvero fatte crollare Bin Laden? Se fu lui, fu in combutta con Bush. E guarda che disastro dopo! Disastro per il Medio Oriente, per gli stesso Statunitensi, per tutti. Tutti terrorizzati, da un nemico che in realtà è in casa, non fuori...