NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 13 novembre 2013

Ifigenia in Aulide di Euripide


Cratere rappresentante Ifigenia



Venerdì 22 novembre ore 20.30
Mediateca di San Lazzaro - spazio reading - via Caselle, 22
Le figure femminili nell’epica e nella tragedia greca
Incontro condotto dal Prof. Giovanni Ghiselli
Giovanni Ghiselli propone un percorso nel tempo della condizione femminile,
presentando alcune delle figure femminili più note dell’epica e della tragedia greca

Seconda parte su Ifigenia
Ifigenia in Aulide di Euripide (del 405)

Prologo 1-163
  Agamennone ha scritto una lettera ingannevole a Clitennestra , ed è pentito. Invidia un vecchio servo che passa una vita ajkivndunon , priva di rischi, rimanendo  ajgnw;~  ajklehv~ (18) sconosciuto e oscuro.
Invidia meno chi vive ejn timai`~, tra gli onori.

Superiorità della vita privata
Euripide ricorre spesso la fuga dai luoghi e dai tempi, insomma dalla storia quale "favola mentita".
Il drammaturgo prefigura il  lavqe biwvsa~ di Epicuro

Ione  sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato[1]: "del potere lodato a torto / l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo / c'è il dolore (tajn dovmoisi de luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina / il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"), / il quale si compiace di avere amici malvagi, / mentre odia i generosi per paura di attentati" (Ione, vv. 621-628).
Si apre la strada all’Ellenismo[2]: nel mito[3] di Er della Repubblica  di Platone, l'anima di Odisseo, capitata nel sorteggio per ultima, dovendo  scegliersi un'altra vita "guarita da ogni ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò in giro a lungo cercando la vita di un uomo privato e disimpegnato" (bivon ajndro;~ ijdiwvtou ajpravgmono~, 620c). Agamennone del resto sceglierà di rinascere come aquila[4].

Il topos prosegue con Seneca.  
"Il tema fondamentale di tutto il teatro senecano… E’ che potere e regno, condizioni di illusoria felicità soggette a rovinosi cambiamenti di sorte, coincidono con la frode, con l'Erinni familiare, con il furor mentre l'unica salvezza è la obscura quies [5], la serenità del proprio cantuccio, l'esser parte indistinguibile della folla. L'avversione al regno ha come aspetto complementare l'esaltazione della tranquillità di ogni piccolo uomo, uno qualsiasi della massa silenziosa: felix mediae quisquis turbae, come canta un coro dell' Agamennone (v. 103). Liceat in media mihi/latere turba (Thy. 533 sg,) afferma Tieste prima di cadere nelle lusinghe del potere e nella trappola tesagli da Atreo"[6].
La bellezza del potere , continua l’Agamennone di Euripide, è insicura: “ to; kalo;n sfalerovn (Ifigenia in Aulide, 21),
L’ambizione appagata può dare dolore. Talora le cose che non vanno dritte ci sconvolgono la vita, talora ci tormentano le varie fastidiose opinioni degli uomini-gnw`mai pollai; dusavrestoi (vv.26-27).
Il vecchio, che Tindaro aveva mandato quale servo  da Clitennestra,  vede che Agamennone scrive su una tavoletta (devlton) cancellando e cambiando le parole, mettendo e rompendo il sigillo
Gli chiede di confidarsi.
Agamennone racconta l’antefatto, cioè la storia di Elena con Paride che venne fiorente ajnqhrov~ di vesti  raffinate (73) e crusw`/ lamprov~ luminoso nell’oro di un barbarico lusso (74). E la moglie di Menelao andò via con lui.
Ora devono andare a riprendere Elena, ma l’esercito ne è impedito dai vènti.
Calcante ha prescritto di sacrificare Ifigenia alla dea Artemide.
Menelao lo ha persuaso a osare la cosa tremenda (e[peise tlh`nai deinav, 98). Sicché lui ha scritto a Clitennestra chiedendole di portare Ifigenia. Si è inventato yeudh` gavmon (105) mentite nozze con Achille che non ne sa niente.
Ora sono pentito, continua l’ a[nax,  e metagravfw, cambio quello che ho scritto (109)
Agamennone legge la lettera con il contrordine e ammette che era uscito di senno.
“Se le incontri per strada mandale indietro agli altari della ciclopica città” (152), ordina al vecchio servitore.
Conclude dicendo che dei mortali nessuno è felice e beato (o[lbio~, eujdaivmwn[7]) fino in fondo, nessuno è immune da dolore (161-163)

Parodo  (164-302)
Nella Parodo, il Coro, formato da donne di Calcide, racconta che Paride, il bovaro (oJ boukovlo~, 180) portò Elena via dall’Eurota che fa crescere le canne (ajp j  Eujrwvta  donakotrovfou).
Il Coro descrive l’esercito utilizzando il catalogo delle navi del II libro dell’Iliade .
Achille si allenava correndo in armi sulla ghiaia del litorale.
Gareggiava a piedi con una quadriga e vinceva.
Il Coro ammira la nautica forza, l’indicibile spettacolo (232) che dà soave piacere agli occhi. E’ la bellezza apparente della guerra, il suo ingannevole estetismo.
Euripide denuncia le guerre con particolare forza nelle Troiane, scritte a ridosso dell’eccidio di Melo (415).

Primo episodio (303-542)
Arriva Menelao, come sempre in Euripide un personaggio negativo. In quanto è re di Sparta, la città nemica degli Ateniesi
Ha intercettato il servo, rotto il sigillo e letto le parole. Litiga con il vecchio.
Agamennone esce dalla tenda disturbato dall’ ejn puvlaisi qovrubo~  (317), il fracasso sulla porta.
I due fratelli discutono animosamente. Menelao  rinfaccia ad Agamennone di avere brigato assai per ottenere il comando: “ eri umile e stringevi la mano a tutti (339) la tua porta era aperta a chiunque. Ora che hai raggiunto lo scopo sei diventato inaccessibile (dusprovsito~, 344.).
L’uomo di valore non dovrebbe cambiare carattere[8]  una volta salito al potere . Dovrebbe rimanere costante bevbaion con gli amici.
Non dovrebbero comandare sempre e solo quelli che hanno privilegi di nascita: “nou`n crh; to;n strathlavthn e[cein” (v. 374) è necessario che il comandante abbia senno.
Il Coro qualifica come deinovn questo alterco tra fratelli (376).
Agamennone replica dicendo che vuole parlare senza alzare troppo il sopracciglio davanti all’impudenza
Poi fa del sarcasmo: ami riprendere il vostro letto onesto? (382).
 Tu vuoi avere di nuovo tra le braccia la tua bella moglie, ma ponerou` fwto;~  hJdonai; kakaiv (387) sono volgari i piaceri del farabutto.
Hai la possibilità di liberarti di una sposa indegna e te la vuoi riprendere
Io non ucciderò i miei figli (396)
La Corifea manifesta il suo accordo.
Agamennone dice al fratello che, come lui, la Grecia nosei`, è malata per opera di un dio (411).
Arriva Ifigenia accompagnata da Clitennestra e dal fratellino Oreste.
Sono venuti senza essere stati chiamati, prima di ricevere la lettera.
Un messo le annuncia.
Il volgo, sempre interessato ai potenti, non parla di altro.
 Il messo prevede nozze.
Agamennone è disperato :  hJ dusgevneia d j wJ~ e[cei ti crhvsimon” (445) oh se avere bassi natali ha qualche cosa di utile.
I poveracci possono piangere con facilità dakru`sai rJa/divw~ (447). Il nobile non può. Noi siamo schiavi della massa. “tw`/  t j o[clw/ douleuvomen” (v. 450). Mia figlia dovrà sposare Ades.
Dunque Agamennone piange, ma cede alla pressione dell’esercito.
A questo punto si pente Menelao: prova compassione per Ifigenia
Ma ora Agamennone dice che non può e non vuole tornare indietro
Calcante aizzerebbe l’esercito contro di lui: la razza degli indovini è un malanno ambizioso (filovtimon kakovn, 520).
 Nell’Antigone di Sofocle, Creonte dice che la pretaglia è filavrguron gevno~ (1056).
Per giunta il figlio di Sisifo è al corrente ed è poikivlo~, e sta  demagicamente con la massa (tou` t j o[clou mevta, Ifigenia in Aulide 526)
Inoltre l’Itacese è preso dall’ambizione, un male tremendo  filotimiva/ ejnevcetai deinw`/ kakw`/ (527).
Molto frequente è l’aggettivo deinov~, qualificazione tragica per eccellenza[9].
Agamennone  teme che la consumata volpe di Itaca spinga la turba a ucciderlo.
Chiede a Menelao di non svelare il suo proposito a Clitennestra.

Primo Stasimo (543-589)
Il Coro auspica per sé un buon equilibrio, desideri santi (povqoi o{sioi, 555) e metriva cavri~, una gioia misurata. Inoltre: ciò che è  direttamente buono è sempre chiaro (to; d’ orqw`~ ejsqlo;n safe;~ ajeiv, 560)
Sapienza è avere pudore e rispetto (tov te ga;r aijdei`sqai sofiva, 563).
La verità  è ajlhvqeia, disvelamento
Grande cosa è andare a caccia della virtù (568): per le donne evitare Venere furtiva, per gli uomini l’ordine interiore (kovsmo~ ejnwvn, 571) che fa crescere la polis. Infine c’è il ricordo del giudizio di Paride.

Secondo episodio (vv. 790-750)
Entra in scena il carro con Clitennestra e i due figli.
Ifigenia corre ad abbracciare il padre precedendo la madre che le dice è giusto: tu sei la più filopavtwr tra i miei figli (638).
La ragazza si accorge che lo sguardo del padre non è sereno (ouj blevpei~ eu[khlon, 644). Gli chiede di non essere accigliato.
Agamennone dice che come comandante ha molte preoccupazioni. E piange. La figlia non si capacita.
“Il pianto è tipica espressione di un insufficiente controllo della realtà esterna”[10].
Comunque il padre maledice le armi (o[lointo lovgcai, 658, le lance) e i guai di Menelao.
Agamennone allude in forma enigmatica e con doppi sensi al prossimo sacrificio  e la figlia non cimprende.
Il padre dice zhlw` se , ti invidio perché non capisci (677).
 Infine le ordina di entrare nella tenda: “ ojfqh`nai kovrai~-pikrovn (678-679), è un brutto affare per le ragazze venire osservate.
I due si baciano e si stringono le mani (fivlhma dou`sa dexiavn tev moi, 679).
 Il padre dice w\ stevrna kai; parh//`/e~, w\ xanqai; kovmai (681),  oh petto e guance, oh bionde chiome, che peso (a[cqo~) Elena e Troia!
Nel toccarla piange.
Poi Agamennone si scusa con Clitennestra per tanta commozione. La donna chiede notizie su Achille. L’eroe nacque da Peleo, figlio di Eaco, figlio di Zeus.
Peleo e Tetide si unirono nel Pelio dove abita Chirone che allevò Achille
Il Centauro lo educò  i{n j h[qh  mh; mavqoi kakw`n brotw`n (709) perché i costumi degli uomini malvagi non li imparasse.
Clitennestra benedice l’unione.
 Le nozze saranno celebrate nel momento del ciclo propizio della luna (piena)
Agamennone. dice a Clitennestra che deve obbedirgli.
E le suggerisce:” ouj kalo;n ejn o[clw/ s j ejxomile`sqai stratou`(735) non è bene che tu ti mescoli alla truppa.
La madre vorrebbe accompagnare la figlia all’altare, ma il marito le dice piqou` (738), obbedisci!  
Clitennestra insiste, ma poi entra nella tenda.
Agamennone, rimasto solo, si lamenta di essere costretto a sofisticare, escogitare sottigliezze  e cercare artifici sofivzomai kai; tevcna~ porivzw (745) anche contro le persone più care, per poi  essere vinto su tutti i fronti.
Poi deplora la sua condizione di uomo sposato con Clitennestra: un uomo saggio dovrebbe prendersi in casa una moglie utile e buona (gunai`ka crhsth;n kajgaqhvn) o non mantenere (trevfein) nessuno (749-750).

II Stasimo  (vv. 751-800)
Il coro prevede e canta la guerra di Troia
Spera di non fare la fine delle donne troiane che tirate per le chiome verranno strappate come fiori dalla patria rovinata
La colpa è di Elena la figlia del cigno dal lungo collo (ta;n kuvknou dolicauvceno~ govnon,  793), se è vera la leggenda della metamorfosi di Zeus, e se i miti nelle tavolette pieridi  non portarono queste favole agli uomini contro l’opportunità, vanamente (para; kairo;n a[llw~, 800).
Dubbi razionalistici.
Cfr.  le  favole intarsiate di iridescenti bugie (  dedaidalmevnoi yeuvdesi poikivloi~- mu'qoi) dell’Olimpica I di Pindaro vv. 46-47). Anche queste  traggono in inganno oltre la verità (uJpe;r to;n alaqh` lovgon (v. 45)
Entra Achille maldisposto per l’inattività,
Clitennestra lo sente, e esce dalla tenda e gli si fa incontro.
Il Pelide invoca  povtnia aijdwv~ (821) il venerando pudore nel vedere una donna di nobile aspetto in mezzo ai soldati
Clitennestra si presenta come figlia di Leda e moglie di Agamennone, e
Achille loda la brevità della risposta essenziale : “kalw`~ e[lexa~ ejn bracei` ta; kaivria” 829.
Del resto, dice, è vergognoso che io qui intrecci discorsi con una donna.
Fa per allontanarsi, ma Clitennestra vuole dargli la mano.
Achille ribatte che si vergognerebbe davanti ad Agamennone se toccasse quello che non gli è lecito w|n mh; moi qevmi~ (834)
La madre di Ifigenia replica che gli è lecitissimo (qevmi~ mavlista, 835) poiché lui deve sposare sua figlia.
Achille non ne sa niente e i due si scoprono ingannati.
Si affaccia il vecchio servo, più devoto a Clitennestra che ad Agamennone
Il servo rivela il proposito folle dell’a[nax:  deina; d j  jAgamevmnwn e[tlh (887).
Achille vuole punire chi lo ha offeso. Ouj fauvlw~ fevrwkoujc aJplw`~  non sopporto superficialmente né semplicemente (v.897)
La madre dolorosa supplica Achille di aiutarle.
La corifea commenta che partorire entra nella categoria del deinovn (deino;n to; tivktein) e che porta un filtro magico (fevrei fivltron mevga) in modo che a tutte è comune avere travagli per i figli ( 917-918)
Achille fa della psicologia: dice di essere uno che ragiona, anche se talvolta è dolce mh; livan fronei`n (924), non essere troppo saggi.
Cfr. Orazio misce stultitiam consiliis brevem:/ dulce est desipere in loco (Odi, IV, 12, 28) mescola ai progetti un momento di follia:  è bello folleggiare a tempo debito
Ma, continua Achille, c’è anche il caso in cui è utile avere senno.
Insomma il lovgo~ dovrebbe prevalere. Sono le ragioni e le controragioni con le quali, secondo Nietzsche, Euripide ha mandato in rovina la tragedia.
Chirone piissimo  ha allevato il Pelide che dal centauro ha imparato tou;~ trovpou~ aJplou`~ e[cein (v. 927).
Dunque: “Non obbedirò a ordini ingiusti degli Atridi”, assicura Achille.
E continua: “A Troia mostro una natura libera e onoro Ares.
Sarei un uomo pessimo, sarei una nullità (ejgw; to; mhdevn, 945) se il mio nome servisse a uccidere tua figlia. Ti circondo di pietà. La pietà oi\kto~ distingue l’uomo dal nulla.
Sarei figlio di Alastore, uno spirito maligno, non di Peleo se non ti aiutassi (946).  Se non ti soccorressi, Sipilo in Lidia da cui provengono i Pelopidi, sarebbe più civile di Ftia. E Calcante deve stare attento. Un indovino è un tale che dice molte menzogne e poche verità e (957), quando  va bene.
Non dico questo per le nozze-murivai kovrai qhrw`si levktron toujmovn, 959-60), migliaia di ragazze danno la caccia al mio letto[11], ma perché Agamennone mi ha offeso.
Clitennestra lo ringrazia dicendo che aiutare i disgraziati ha una bella forma, un decoro, (e[cei sch`ma dustucou`nta~ wjfelei`n , 983-984).
Achille sconsiglia Clitennestra dal portagli la figlia per non incorrere nel biasimo ignorante (eij~ o[neido~  ajmaqev~ , 999), in  rozze censure da parte da una truppa che è raccogliticcia, in ozio, e ama le tristi, malefiche ciance (1001).
La madre benedice il giovane guerriero: possa avere il bene tu che aiuti i disgraziati (1008)[12].
Achille vorrebbe convincere Agamennone con le parole, ma Clitennestra ribatte che suo marito  è un vile e teme troppo l’esercito (1012)
Quindi la donna ringrazia il suo difensore: “se gli dei esistono, tu che sei un uomo giusto, otterrai cose buone, eij de; mhv, tiv dei` ponei`n ; (1035), se no, perché affaticarsi?

III Stasimo (vv. 1036-1097)
Il Coro ricorda le nozze di Peleo e Tetide[13], una grande festa con uomini ninfe, dei e centauri
Ora invece si approssima un lugubre sacrificio: una ragazza verrà incoronata nelle belle chiome come montana vitella pezzata intatta che viene da pietrose grotte, eppure Ifigenia non è cresciuta tra zampogne né tra zufoli di pastori ma presso la madre, per andare un giorno sposa.
Dove ha qualche forza il volto del Pudore, della Virtù? Da quando l’empietà ha potere, mentre la Virtù è negletta dai mortali, l’illegalità prevale sulle leggi-ajnomiva de; novmwn kratei`  (1094) e non c’è gara tra gli uomini perché non giunga il rancore degli dèi.

Quarto episodio  (vv. 1098-1282)
Clitennestra   Agamennone e Ifigenia si incontrano.
 La ragazza piange. Il padre continua a mentire, ma la moglie gli pone la domanda diretta: è vero che vuoi uccidere nostra figlia? (1131)
Il padre tenta di eludere la risposta ma poi è costretto ad ammettere.
Clitennestra lo accusa : hai ucciso il mio primo marito, Tantalo[14]  e  hai strappato dal mio seno e sfracellato al suolo il bambino avuto da lui
I miei fratelli Dioscuri volevano punirti, ma mio padre Tindaro ti salvò e così mi sposasti. Quindi sono stata una moglie irreprensibile (a[mempto~ gunhv). Una fortuna per te: una moglie siffatta è spavnion qhvreum j (1162) raro bottino, mentre non c’è spavni~, penuria di spose cattive.
Ti ho dato un maschio e  3 figlie: Ifigenia, Elettra, Crisotemi.
Come credi che reagirò se me ne  toglierai una; quali sentimenti pensi che avrò, vedendo vuoti i seggi di Ifigenia ?. Lascerai odio (mi`so~, 1179) partendo e al ritorno basterà un lieve pretesto per farti avere l’accoglienza che meriti.
 Nell’Agamennone di Eschilo, tra i motivi di odio c’è anche la gelosia.
L’Atride nell' Iliade  afferma di preferire a Clitennestra Criseide in quanto la schiava-amante non le era inferiore "per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere" (I, 115).
Nel primo dramma dell’Orestea  pare  che sia stato questo  amore ancillare troppo elogiato a mettere  in moto il risentimento della moglie legittima:"kei'tai gunaiko;" th'sde lumanthvrio",-Crushivdwn meivligma tw'n uJp& jIlivw/"( Agamennone, vv. 1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle Criseidi sotto Ilio , grida Clitennestra dopo l'assassinio dello sposo
Allora non costringermi a diventare cattiva, e non diventarlo tu (1183-1184).
L'inimicizia delle donne nei confronti degli uomini ha avuto spesso la genesi che Seneca attribuisce a quella degli schiavi per i padroni:"non habemus illos hostes, sed facimus  (Epist. ad Luc. , 47, 5), non li abbiamo nemici, ma li rendiamo tali.
Hai pensato agli affetti che annienti, o a te importa solo portare lo scettro e comandare l’esercito? (1195).
Si poteva almeno tirare a sorte, o meglio sacrificare Ermione, invece così  paido;~  ejsterhvsomai (1203), io che ho salvato il tuo letto, mentre
hJ ejxamartou`s j , la peccatrice. Elena, si terrà la figlioletta.
Nel Secondo Stasimo  dell’Agamennone, il Coro canta di Elena, la donna che può essere nello stesso tempo, o in tempi diversi, personificazione di Afrodite e di Nemesi, della gioia amorosa e della vendetta divina. Viene esecrata:
"Elena le cui nozze furono causa di guerra, poiché chiaramente
distruggitrice di navi , di uomini, di città".
Si tratta di un'etimologia fantasiosa del nome dell'adultera (nomen omen) :"ejpei; prepovntw"-eJlevna", e{landro", eJlev-ptoli", poiché corrispondentemente distruggitrice di navi, di uomini, di città (vv. 688-690).
Dunque, non ammazzare nostra figlia. La corifea approva.
Quindi parla Ifigenia, pateticamente. Vorrebbe avere la parola di Orfeo[15] per sedurre khlei`n. Invece mostrerà i soli mezzi sapienti (ta; sofav) che possiede: le lacrime (davkrua, v. 1215).
Quale supplice ramo, la ragazza attacca alle ginocchia del padre il corpo che la madre partorì per lui
Quindi gli chiede di non ucciderla prima del tempo: “mh; m j ajpolevsh/~ a[wron [16](1218):  hJdu; ga;r to; fw`~-blevpein (1218-1219) è dolce infatti vedere la luce del sole.
Seneca nell’Epistola 122 mette in rilievo che sono attirate dalla luce le persone oneste: “gravis malae conscientiae lux est” (13), è molesta la luce alla cattiva coscienza. I lucifugae  sono farabutti[17].   Perfino i corpi di costoro sono disgustosi
Continua Ifigenia: prwvth s j ejkavlesa patevra (1220), per prima ti ho chiamato padre.
Lucrezio ricorda queste parole: “Nec miserae prodesse in tali tempore quibat/quod patrio princeps donarat nomine rege” ( De rerum natura, 93-94) né all'infelice in tale circostanza poteva giovare/ il fatto che aveva donato per prima al re il nome di padre.
Continua la ragazza di Euripide: e tu per primo mi chiamasti figlia, e mi tenevi sulle ginocchia e ci scambiammo tenere carezze.
E mi dicevi: “ti vedrò , o figlia, nella casa di un uomo fortunato vivere e fiorire in modo degno di me? o[yomai-zw`savn te kai; qavllousan[18] ajxivw~ ejmou`; (1224-1225).
E io ti promettevo un contraccambio di tante cure quando saresti stato vecchio. Di queste parole io conservo memoria (mhvmhn e[cw, 1231),  tu invece te ne sei dimenticato (su; d j ejpilevlhsai, 1232)
Ti supplico per Pelope, per Atreo, per mia madre che partorendomi prima tra i dolori[19] (pri;n wjdivnous j ejmev, 1234) ora riceve questo travaglio ( wjdi`na thvnde lambavnei, 1235).
 Che cosa c’entro io con Elena e Paride?
blevyon  pro;~ hjma`~, o[mma do;~ fivlhmav te (1238). Guardami, dammi uno sguardo e un bacio (1238) per avere dopo la morte almeno questo segno in ricordo di te, se non potrò convincerti.
Si rivolge poi a Oreste, il fratellino, troppo piccolo per essere ejpivkouro~ fivloi~ (1241) di aiuto ai suoi cari, “ma puoi piangere con me[20] e supplicare il babbo per me”. Una percezione del dolore è insita anche in chi non sa parlare: “ai[sqhma toi-kajn nhpivoi~ ge tw`n kakw`n ejggivgnetai” (1243-1244).
Ti supplichiamo entrambi, lui neossov~ (1248), cucciolo, io già cresciuta. Riassumendo tutto in una sola frase vincerò ogni obiezione:  vedere questa luce è per gli uomini il piacere più grande, laggiù c’è il nulla: è matto chi si augura di morire: kakw`~ zh`n krei`sson h] kalw`~ qanei`n (1252), vivere male è meglio che morire bene[21].
Affermazioni contrarie a questa si trovano in altri personaggi della tragedia e anche in questo dramma, da parte di Ifigenia, nella conclusione del dramma.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma  Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378),  vivere senza bellezza è un grande tormento".
Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj-tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95-97).
 Aiace  il quale risponde al corifeo (vv.479-480):"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi. Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done?) , replica : "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Il coro accusa Elena (dia; sev) 
Agamennone risponde con la logica del politico al potere: io amo i figli ma pra`xaiv me dei` (1258),  devo agire anche se per me è tremendo (deinw`~ e[cei moi, 1257). Deve osare il sacrificio perché non farlo è pure tremendo.
L’amore per il suo ruolo è più forte di quello per la figlia e di tutti i ragionamenti[22].
In questo contesto la causa dei mali è la passione del potere.
Del resto la passione viscerale non manca nemmeno nella truppa: “mevmhne d   j   jAfrodivth ti~  JEllhvnwn stratw/` ” (1264) folleggia una Afrodite nell’esercito degli Elleni.
Già Achille ai vv. 808-809 aveva detto che un terribile amore (deino;~ e[rw~) di questa spedizione era caduto sull’Ellade non senza il volere di un dio.
Agamennone continua dicendo che non è stato Menelao a volere la spedizione, ma l’Ellade per la quale devo sacrificarti  (dei` qu`saiv se, 1272) che io lo voglia o no. A questa realtà di fatto siamo inferiori.
E’ necessario che l’Ellade sia libera  e che i barbari non rapiscano più le nostre spose.
Clitennestra compiange la figlia
Segue una monodia di Ifigenia (1283-1335)
La ragazza ricorda il giudizio di Paride quando le tre dèe vennero krivsin ejpi; stugnavn, e[rin te-kallona`~, ejmo;n de; qavnaton (1308-1309),  a un odioso giudizio, a una gara di bellezza, alla mia morte.
Chi mi ha dato la vita se ne è andato tradendomi e abbandonandomi da sola.
Io che ho visto pikra;n Duselevnan [23](1316) amara Elena[24] funesta,devo morire assassinata dagli empi colpi di un empio padre (1328)     
Ifigenia conclude la sua monodia lamentando la sorte della stirpe dei mortali un gevno~ poluvmocqon (1330), una razza piena di travagli

Quinto Episodio  (vv.1336-1509)
Ifigenia dice alla madre che vede appressarsi ajndrw`n o[clon (1338), una turba di uomini. C’è anche Achille e la ragazza si vergogna per le fallite nozze.
Entra in scena Achille
Dice alla madre che gli Achei vogliono sgozzarle la figlia.
Achille stesso ha rischiato la lapidazione per aver difeso Ifigenia
Perfino i suoi Mirmidoni gli hanno dato addosso
Lo chiamavano to;n gavmwn h{sson j  j.j (1353), lo schiavo delle nozze. E fu sopraffatto dalle grida.
Clitennestra risponde che la massa è un male terribile to; polu; ga;r deino;n kakovn (1357)
Achille vuole comunque difendere Ifigenia.
Odisseo delinquenziale
Odisseo guiderà la turba assetata di sangue
La Tindaride chede: dici il figlio di Sisifo?  (1363), tanto per rincarare la dose
Sì, è stato scelto e ha accettato volentieri (aiJreqei;~ eJkwvn, 1363)
E Clitennestra riprendendo aijrevw: ponhra;n  g  ai{resin, miaifonei`n (1363) una scelta delinquenziale, assassinare[25].
A questo punto c’è un colpo di scena: Ifigenia si converte.
Agamennone non è colpevole: non è facile per noi resistere all’impossibile
Achille è da apprezzare, ma anche lui non potrebbe salvarmi
Dunque: ho deciso di morire e voglio farlo eujklew`~ (1376), gloriosamente buttando via to; dusgenev~, l’ignobiltà[26].
Ifigenia ha assunto il carattere e il ruolo dell’eroina. Leggiamone alcune frasi “ ora tutta la grandissima Grecia guarda verso di me e sta in me la traversata delle navi e l’abbattimento dei Frigi, e il non permettere più che i barbari rapiscano le fiorenti spose.
La mia gloria di liberatrice dell’Ellade sarà benedetta
Kai; ga;r oudev toiv ti livan ejme; filoyucei`n crewvn (v. 1385), non bisogna che io ami troppo la vita.
Tu mi hai partorito per il bene di tutti gli Elleni, non solo per te. pa`si gavr m j  { Ellhsi koino;n e[teke~, oujci; soi; movnh (1386). La mia unica vita non può e non deve impedire di partire a migliaia di soldati. E Achille non deve morire gunaiko;~ ei{nek j (1393).
Un solo uomo merita di vedere la luce più di migliaia di donne Ei|~ gj ajnh;r kreivsswn gunaikw`n murivwn oJra`n favo~ (1394).
Dunque: divdwmi sw`ma toujmo;n  J Ellavdi (1397), offro il mio corpo per l’Ellade, quvet j, ejkporqei`te Troivan (1398), sacrificate, distruggete Troia[27].
Questo sarà il mio monumento perenne, questi i figli, le nozze, la fama[28].
L’Ifigenia in Aulide , scritta negli ultimi anni di vita del poeta, e rappresentata postuma, come le Baccanti, contiene  un appello all’unità dei Greci e alla loro alleanza contro i nemici orientali :"è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi"[29], proclama la fanciulla ( vv. 1400-1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria.
La corifea le dice che il suo comportamento è nobile, mentre è malato (nosei`, 1403) quello della tuvch e della dea[30].
La nobiltà d'animo della ragazza fa innamorare Achille, lo accende addirittura di desiderio: “ma'llon de; levktrwn sw'n povqo" m' ejsevrcetai-ej" th;n fuvsin blevyanta: gennaiva ga;r ei\” (vv. 1410-1411), di più mi prende il desiderio del tuo letto nuziale mirando alla tua natura: infatti sei nobile.
Comunque cerca di dissuaderla: a[qrhson: oJ qavnato~ deino;n kakovn (1415), considera: la morte è un male terribile.
Ma Ifigenia è irremovibile: “lascia che io salvi l’Ellade, se posso” (1420)
Il Pelide rinnova i complimenti: w\ lh`m j a[riston (1421) o anima ottima, non posso dire più niente, se questa è la tua decisione: gennai`a gar fronei`~ (1422-1423) è nobile il tuo pensiero. Comunque se ci ripenserai quando avrai la spada sul collo, io interverrò. Non permetterò che tu muoia ajfrosuvnh/ th`/ sh/`, per la tua folle esaltazione  (1430)
Ifigenia chiede alla madre di non piangere: “me; mh; kavkize”, non avvilirmi (1435)
Dice a Clitennestra che, grazie alla sua primogenita, avrà gloria pure lei. La ragazza si reputa fortunata in quanto evergete dell’Ellade  jEllavdo~ eujergevti~ (1446).

Come aveva fatto Cassandra che nelle Troiane profetizza la brutta fine di Agamennone, nemesi del male  fatto alla sua città, dunque consolatoria per i Troiani e propiziata da lei.    .
La principessa invasata  vuole confortare  la madre con queste parole:
“Madre, cingi il capo mio vittorioso
E rallegrati per le mie nozze regali ;
e guidami, e se per te i miei movimenti non sono bene animati,
sospingimi a forza. Se infatti il Lossia c’è,
sposerà me con nozze più amare di quelle di Elena,
l’inclito sire degli Achei, Agamennone.
Infatti lo ammazzerò, e devasterò a mia volta la sua casa
Prendendo le vendette dei fratelli e del padre mio.
Ma tralascerò alcuni orrori. Non canteremo la scure
Che sul collo mio verrà e pure di altri
E i matricidi agoni che le mie nozze
Metteranno in atto, e il crollo della casa di Atreo.
Farò vedere invece che questa città è più felice
Degli Achei, -posseduta dal dio, certo, ma tuttavia
Per il tempo necessario starò fuori dal delirio-
Costoro per una sola donna e una sola Cipride,
mentre andavano a caccia di Elena, ammazzarono innumerevoli persone.
E il comandante, il saggio, per scopi più odiosi
Mandò in rovina gli affetti più cari, sacrificando al fratello
Le gioie domestiche dei figli per una donna,
e questi obbrobri per una consenziente e non rapita per forza.
Quando poi giunsero alle rive dello Scafandro,
morivano, non perché privati dei confini della terra,
né della patria dalle alte torri. E quelli che Ares prendeva
non videro i figli, e non furono avvolti nei pepli
dalle mani della sposa, ma in terra straniera
giacciono. Gli eventi di casa loro poi accadevano simili a questi:
vedove morivano le donne, e gli uomini senza figli nelle case 380
dopo avere allevato i figli per altri; né sulle tombe
di quelli c’è chi  donerà sangue alla terra (Euripide, Troiane, 353-382)..

Ma torniamo a Ifigenia che invece non cerca vendetta.
Infatti chiede alla madre di salutarle le sorelle e di educare Oreste facendone un vero uomo. E di non odiare Agamennone, suo padre e sposo di lei ( Ifigenia in Aulide, 1454)
Ma Clitennestra ribatte che Agamennone dovrà correre prove terribili (deinou;~ ajgw`na~ dramei`n, 1455) per quello che ha fatto alla figlia.
Lo vedremo nel seguito dell’Agamennone, se Dio vorrà.
Mio padre mi ha uccisa per l’Ellade a[kwn, contro la sua volontà (1456), lo giustifica la figlia.
Ma Clitennestra replica: “ ma con l’inganno (dovlw/), in modo indegno di Atreo”.
Poi la ragazza si avvia verso il prato di Artemide. Non vuole che la madre la accompagni. E non deve piangere.  Quindi Ifigenia canta un inno di vittoria più che una melodia funebre.
Invoca la rocca di Micene, fondata da Perseo. La sua terra l’ha nutrita perché fosse luce alla Grecia (   J Ellavdi favo~, 1502), e lei non ricusa di morire  
Con le ultime quattro parole la vittima sacrificale dice addio alla luce amata: cai`rev moi, fivlon favo~ (1509)

V Stasimo (vv.1510-1531
Il coro di donne calcidesi prevede la morte della fanciulla che inonderà di sangue l’altare della dea sanguinaria (bwmovn ai{mono~ qea`~ , v. 1514)
Invoca Artemide la povtnia quvmasin brothsivoi~ carei`sa (1524-1525),  la signora che si compiace di vittime umane, perché conduca l’armata greca alla terra Frigia e alla perfida[31] città di Troia.

Esodo  (1532-1629)
E’ il racconto di un messo che ha assistito al sacrificio.
Ha visto Ifigenia avanzare verso il bosco sacro (eij~ a[lso~, 548) del sacrificio. Allora Agamennone si coprì gli occhi. Piangeva. Ma la figlia lo confortava dicendo che stava offrendo volentieri (eJkou`sa, 1555) il suo corpo per la patria. Nessuno doveva toccarla: lei avrebbe offerto il collo in silenzio, coraggiosamente, quasi cordialmente (sigh`/ parevxw ga;r devrhn eujkardivw~, 1560).
Si ricordi che in Eschilo la ragazza veniva imbavagliata (vv. 235-238) e sollevata sull’altare come una capra
Poi Taltibio ordinò il religioso silenzio devoto  all’esercito (eujfhmivan kai; sighvn, 1564)  
Calcante estrasse la spada affilata (ojxu; favsganon, 1566) e incoronò la ragazza.
Achille pregò chiedendo la buona riuscita dell’impresa.
Gli Atridi e tutto l’esercito rimasero immobili con gli occhi fissi a terra.
Poi c’è l’improbabile happy end, presumibilmente non euripideo o per lo meno rimaneggiato. Non compare la dea ex machina.
Quando il sacerdote stava per colpire, avvenne un prodigio  (qau`ma, v. 1580)
Invece della ragazza stesa a terra c’era una cerva (e[lafo~, v. 1591): gli astanti videro sull’ara una cerva montana ( e[lafon bwmivan  ojreidrovmon, 1597).
Calcante disse che quell’animale, quale vittima,  piaceva alla dea più della ragazza.
Nell’ Ifigenia in Tauride del 413, la protagonista racconta che i Greci la sgozzarono in Aulide, ma Artemide miracolosamente la salvò e la portò fra i Tauri dove regna Toante che ne ha fatto la sacerdotessa della dea perché presieda ai sacrifici.
Ifigenia fra i Tauri ricorda come i Greci la scannarono agli ordini di un sacerdote che poi era suo padre.
Aggiunge di non credere  che tali nefandezze, come pure il banchetto di Tantalo, siano imputabili agli dei (ta; Tantavlou qeoi`sin eJstiavmata-a[pista krivnw, paido;~ hJsqh`nai bora`/ (vv. 388-389). Penso che la gente di qua attribuisca la  propria malvagità alla dea, poiché sono loro degli assassini. Nessun dio, infatti, può essere cattivo ( Ifigenia in Tauride, 390-391).
Ma concludiamo l’Ifigenia in Aulide. E’ già tempo.
 Il messo dunque dice alla madre che tutto è andato bene e che sua figlia è volata presso gli dèi.
Clitennestra però non è convinta.
Ma arriva Agamennone che conferma l’apoteosi della figliola e  rimanda a casa la moglie con il bambino
Il Coro augura buona fortuna ad Agamennone
Un lieto fine che suona falso. La fortuna infatti non sarà buona.

giovanni ghiselli

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[1] Il potere verrà demonizzato del tutto da Seneca, " per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile di male-insieme fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia soggettiva" G. Paduano (a cura di), Edipo, p. 9.
[2] Mentre il Pericle di Tucidide aveva detto: “movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica
[3] Il mito è sempre una "immagine concentrata del mondo" (Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 151).
[4] L'anima sorteggiata per ventesima scelse la vita di un leone: ed era quella di Aiace Telamonio che rifuggiva dal nascere uomo ricordandosi del giudizio delle armi. L'anima dopo questa era quella di Agamennone: anche questa per avversione al genere umano a causa dei dolori sofferti prese in cambio la vita di un'aquila Repubblica,  620b
[5] Fedra 1127.
[6] Gianna Petrone, Il disagio della forma: la tragedia negata di Seneca, "Dioniso" 1981., p. 360.
[7] Cfr. Medea 1227-1230. Nessuno è eujdaivmwn, uno può essere eujtucevstero~, più fortunato di un altro, ma felice nessuno.
[8] Cfr. Seneca Ep. 120 magnam rem puta unum hominem agere
[9] Cfr. Lo squillo iniziale del primo Stasimo dell'Antigone: “polla; ta; deina; koujde;n ajn-qrwvpou deinovteron pevlei" (vv. 332-333), molte sono le cose inquietanti e nessuna è più inquietante dell'uomo. "Alla luce di questa drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una natura stabile, un essere che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema; assume la forma di un'interrogazione, di una serie di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e agito, colpevole e innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare l'universo e incapace di dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il meglio e il peggio, può essere qualificato come un deinov~ , nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso" J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 253. "L'umanità produce Bibbie e cannoni, tubercolosi e tubercolina" R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 22.
[10] DI Benedetto, Euripide teatro e società, p. 228.
[11] Battuta di pessimo gusto. Perdonabile solo perché Achille è un ragazzo.
[12] Così Ulisse nel XIV dell’Odissea (440) dice a Eumeo possa essere caro a Zeus, tu che onori con il meglio me in tale stato
Il porcaro aveva detto: “portate il più bello dei porci, affinché io lo sacrifichi per l’ospite di terre lontane (414).
[13] Cfr. Carme 64 di Catullo.
[14] Un figlio di Tieste
[15] Il quale del resto non è riuscito a salvare la vita di Euridice. Anche Admeto nell’Alcesti vorrebbe essere Orfeo per salvare la moglie, e forse in questo caso Euripide ci ha messo pure dell’ironia.
[16] C’è la compassione di Euripide per il giovane che muore ante diem. Verrà riproposta da Virgilio.
[17] Cfr. il  Vangelo di Giovanni(3, 19):"kai; hjgavphsan oiJ a[nqrwpoi ma'llon to; skovto" h]]to; fw'" : h\n ga;r aujtw'n ponhra; ta; e[rga", e gli uomini preferirono la tenebra alla luce; infatti le loro opere erano malvagie. Non vengono nella luce ut non arguantur opera eius, perché le loro opere non vengano denunciate ossia non diventino ajrgav (lucenti).
[18] Cfr. lo qavlo~, il  virgulto cui Odisseo paragona Nausicaa.

[19] Sui dolori del parto insiste anche Medea: “Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli /  in casa, mentre loro combattono con la lancia, / pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo / preferirei stare che partorire una volta sola “. (vv. 248- 251)

[20] Il piangere, come scarso controllo, come uscita dalla realtà, può essere consolatorio : nelle Troiane (del 415) il Coro commenta le lacrime sopra lacrime (davkruav t j ejk dakruvwn, v. 605) versate per le case distrutte, in tale modo: "come sono dolci le lacrime (wJ" hJdu; davkrua) per quelli che vivono male/e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore"( Troiane , 608-609).
[21] Cfr. Odissea XI, 488 con la medesima opinione
[22] Medea  aveva  detto  a proposito della graduatoria tra ragione e sentimento: "Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali .
[23] Cfr, Duvspari, pessimo Paride,  Iliade,  III, 39
[24] Nell’Agamennone di Eschilo, Elena  è la donna fatale e letale "che porta in dote a Ilio la distruzione" (v.406). Ecuba nlle Troiane  che dice a Menelao:” ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di vederla che non ti prenda con il desiderio. Ella infatti possiede tanta seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia le case ("ejxairei' povlei",-pivmprhsin oi[kou"", vv. 891-892). Euripide qui probabilmente ricorda "  JElevnan ejpei; prepovntw" eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città  dell'Agamennone  (vv. 689-691) di Eschilo. Nel secondo stasimo dell'Agamennone il coro presenta i diversi aspetti di questa splendidissima donna: " Chi mai diede un nome così del tutto vero… ad Elena le cui nozze furono causa di guerra, donna oggetto di contesa poiché chiaramente distruggitrice di navi (eJlevna" ), di uomini (e[landro"), di città? (eJlevptoli")[24]”?  Secondo la credenza antica del nomen-omen Eschilo etimologizza in maniera fantasiosa il nome dell'adultera connettendone la prima parte con il radicale eJl-  (cfr. l'aoristo ei|lon di aiJrevw, "tolgo di mezzo"). Nella seconda parte vengono ravvisate, non senza forzatura, le parole nau'~, ajnhvr e ptovli". Quando giunse a Ilio, la splendidissima era come :"un pensiero di bonaccia senza vento, un tranquillo ornamento di ricchezza, un tenero dardo degli occhi, un fiore d'amore che morde l'animo; ma poi, mutata, compì l'amaro fine del matrimonio, funesta compagna e funesta amante, scagliatasi contro i Priamidi scortata da Zeus protettore degli ospiti, Erinni che reca pianto alle spose"(Agamennone, vv.739-749).
[25] Nell’Ecuba , il Coro avverte la protagonista che Odisseo sta arrivando per strappare la puledra dalle mammelle della madre, per rimuoverla dalla vecchia mano (141-143)
In questa tragedia il mascalzone di Itaca intende trascinarla via per la bionda chioma ( Ifigenia in Aulide, 1366)
[26] E’ diventata come la principessa troiana Polissena che,  nella tragedia Ecuba, dice alla madre: per chi non è abituato a mali oltraggiosi è meglio morire: "to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno"" (v.378), infatti vivere senza bellezza è un grande tormento. Altrettanto Alcesti. Nel Simposio   Platone fa dire a Diotima, la professoressa dell’amore, che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la fama della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti  fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").  In effetti il coro dell'Alcesti  di Euripide elogia l'eroina morente con queste parole:" i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t  j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( Alcesti, vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole. Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa",v. 290),  poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292). Alcesti è “fida” come lo sono in battaglia i compagni pronti a morire per il capo. La scala dei valori è quella eroica della tradizione aristocratica. Anche Macaria, la figlia di Eracle si sacrifica mirando non solo alla salvezza dei fratelli ma pure alla gloria: “eu{rhma ga;r toi mh; filoyucou's jejgw;-kavlliston hu{rhkj, eujklew'~ lipei'n bivon” (Eraclidi, vv. 533-534), certo io che non amo la vita ho trovato una bellissima scoperta: lasciare gloriosamente la vita. Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele "quale emanazione d'un amor di sé elettissimo, la filautiva". L'espressione si trova nell'Etica Nicomachea che  seguita con questo brano:"Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti"[26]. L'autore di Paideia  conclude così:" In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo" Paideia , I vol.,  pp. 46 e 47. Queste donne, compresa Medea che ammazza per non essere derisa, hanno la tempra eroica di Achille, di Ettore  e di Aiace.
[27] Ma cfr. Poseidone nel Prologo delle Troiane. “E’ stolto tra i mortali chi devasta le città, / consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri 95 / dei morti: egli stesso dopo è già morto”.
28 Altrettanto Macaria negli Eraclidi: “tavd j ajnti; paidwn ejstiv moi keimhvlia (591), questi saranno i ricordi della mia vita invece dei figli.
[29] Demostene nella III Olintiaca (348, dove vuole convincere gli Ateniesi a soccorrere la città della Calcidica contro Filippo di Macedonia) scrive che una volta agli Ateniesi obbediva il re di Macedonia ed era giusto essendo un barbaro che obbedisse ai Greci (24)
[30] Cfr. Troiane 27 dove Poseidone dicer nosei` ta; tw`n qew`n , sono malate le faccende degli dèi.
[31] Cfr. Lisandro e l’ alleanza tra i perfidi Spartani e i Persiani

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