Magna Mater, Creta |
Prima parte della conferenza che terrò venerdì 22 novembre 2013 nella Mediateca di San Lazzaro
di Savena.
L’orario è ancora da definire.
Donne dell’Iliade. La Magna
Mater mediterranea, Andromaca, Elena, Ecuba
Nell’Iliade (VIII
se. A. C.) la donna esiste come femmina umana e come divinità femminile,
sostanzialmente subordinata a quella maschile, sebbene non manchi qualche
sporadico ricordo della Magna Mater
mediterranea, la povtnia prevalente
sul maschio paredro, che le siede accanto al secondo posto.
Vediamo di che si
tratta.
La grande madre mediterranea.
Di questa
Signora suprema che risale al tempo della civiltà minoica, pregreca, si trova
una traccia in Iliade XXI, 470 dove Artemide è chiamata povtnia qhrw'n, signora delle belve.
Il termine povtnia ( presente
anche nell’ Odissea in I, 14 per esempio, a proposito della nuvmfh Calipso )
contiene un'idea di potenza: doveva essere un appellativo della Magna Mater mediterranea signora del mondo.
[Artemi" del resto era solo uno dei molti nomi
dati a questa matriarca primordiale che infatti il protagonista del Prometeo incatenato invoca come "Qevmi"-kai gai'a,
pollw'n ojnomavtwn morfh; miva," Temide e Gea, una sola forma di molti
nomi (vv. 209-210). Tale dea. la Grande Madre chiamata in vari modi, doveva essere in origine anche Giocasta la
moglie-madre di Edipo che Omero menziona
quale "kalh;n jEpikavsthn, la bella Epicasta (Odissea, XI, 271). Con questa incestuosa regina di Tebe siamo a
due soli nomi che nell'Antigone
vengono funzionalizzati:"mhvthr kai; gunhv diplou'n e[po"" (v.53),
madre e moglie, doppio nome.
Nelle Baccanti di Euripide la "povtna qew'n" (v. 370) è diventata " JOsiva"
, la Pietà dionisiaca, di
un culto seguito dalle donne che Penteo vuole maschilisticamente abolire.
Nelle Metamorfosi di Apuleio, Iside, la divinità egizia ai cui
riti viene iniziato Lucio dopo varie peripezie, tornando da asino uomo, fa l'elenco dei nomi con i quali questa Grande Madre viene chiamata e venerata
presso i vari popoli: "Primigenii Phryges Pessinuntiam deum matrem, hinc
autocthones Attici Cecropeiam Minervam, illinc fluctuantes Cyprii Paphiam
Venerem, Cretes sagittiferi Dictynnam Dianam, Siculi trilingues Stygiam
Proserpinam, Eleusinii vetustam deam Cererem, Iunonem alii, Bellonam alii, Hecatam
isti, Rhamnusiam illi, et qui nascentis dei Solis inchoantibus inlustrantur
radiis Aethiopes utrique priscaque doctrina pollentes Aegyptii caerimoniis me
propriis percolentes appellant vero nomine reginam Isidem "(XI, 5), i Frigii primigeni mi chiamano madre degli dèi
di Pessinunte[1],
qui gli autoctoni Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere
Pafia, i Cretesi sagittari Diana Dictinna, i Siculi trilingui Stigia
Proserpina, gli Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi
Ecate, quelli Ramnusia; e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi del
sole nascente, e gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di antica
sapienza, onorandomi con le cerimonie che mi sono proprie, mi chiamano con il
vero nome "regina Iside". Che la figura femminile sia stata
predominante in una fase della storia "non è inconcepibile se si pensa
alla corrispondenza tra il greco gunhv 'donna'
e l'inglese queen 'regina'[2].
Il romanzo di Apuleio insegna che una vita senza Iside è una vita da asino.
Ma nell’Iliade, di
fatto,le divinità femminili sono
subordinate a quelle maschili, ed Era, per conseguire un suo scopo non
può dare ordini ma deve ricorrere alla cosmesi, al trucco, all’inganno, alla
seduzione, alla lusinga nei confronti di Zeus (Iliade XIV, 170 ss.).
Nel I canto Tetide deve implorare l’onnipotente per
impetrare un favore al figlio cui è stato negato l’onore meritato con il valore.
Andromaca, la
moglie di Ettore, diverrà il prototipo
della sposa buona, amorosa sottomessa nelle due tragedie di Euripide Andromaca e Troiane. Ma di questo più avanti.
Nell’Iliade questa
“ottima moglie” cerca di trattenere il
valoroso marito dal mettere a repentaglio la vita.
Fin dal poema più antico della letteratura occidentale, Andromaca
significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui assolutamente
devota: nel VI canto dell’Iliade dichiara il suo devotissimo amore all'eroe
troiano, dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di
non esporsi troppo nella guerra sterminatrice:
"Ettore, tu per me sei il padre e la veneranda madre/e
anche il fratello; tu sei pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi
compassione e rimani qui sulla torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la
sposa" (vv. 429-432)
A lei allora rispose “Ettore
grande, che agita il cimiero - ma del
resto la contraccambia - certo anche a me tutto questo sta a cuore, donna; ma
davvero terribilmente/.
mi vergogno[3]
di Troiani e Troiane dal lungo strascico,
se come un vile fuggo lontano dalla guerra;
né il cuore mi esorta, poiché ho imparato a essere generoso
sempre, e a combattere con i primi Troiani,
cercando di conservare la grande gloria del padre e la mia
stessa.
Io infatti so bene questo nell'anima e nel cuore:
giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata
(e[ssetai h\mar o{t j
a[n pot j ojlwvlh / [[Ilio" iJrh;)
e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia[4].
Ma non tanto dolore mi accora per il futuro dei Troiani
né della stessa Ecuba, né di Priamo sovrano
né dei fratelli, che molti e generosi
cadranno nella polvere buttati giù dai nemici,
quanto per te (o{sson
seu`), quando uno degli Achei dalla corazza di bronzo
ti trascinerà piangente, togliendoti libero giorno” (Iliade, VI, 441-455).
Vedremo che secondo Euripide, invece, Ettore aveva anche
altre donne e dei figli bastardi che Andromaca addirittura allattava .
Elena nell’Iliade rappresenta al suo apparire la
bellezza in sé; (kalo;n autov). La sua avvenenza colpisce i compagni di Priamo che per la vecchiaia
avevano smesso la guerra ma erano ajgorhtai;
esqloiv (III, 150) oratori abili, simili alle cicale che nel bosco
stando su una pianta mandano voce di giglio (151).
Ebbene questi anziani, come la vedono, dicono che non è nevmesi~[5], (v. 156) non è motivo di sdegno che per una
donna siffatta tanti uomini soffrano a
lungo dolori: terribilmente somiglia alle dèe immortali a vederla.
Tuttavia il prezzo di quella visione è troppo alto, quindi i
vecchi aggiungono; “ma anche così, vada via sulle navi: non rimanga a Troia
quale ph`ma (sciagura, danno v. 160)
per noi e per i nostri figli.
Ma Priamo, più coraggioso[6]
e più affascinato degli altri, la protegge: le chiede di sedersi vicino a lui,
poiché non lei è colpevole ma gli dei sono colpevoli (qeoi; ai[tioi, v, 164): sono stati loro a muovere la funesta
guerra dei Danai.
Nell’Iliade Elena del resto è per lo più una
pentita: “ fossì morta prima” (wJ~
pri;n w[fellon ojlevsqai ,XXIV, 764) è il lamento che le sale dalle
labbra durante il funerale di Ettore
La bellona, come tutte le donne, non perdona
l’insuccesso.
Nell’Iliade quelli
di Paride, ma anche il proprio.
La figlia di Leda accusa se stessa davanti a Ettore,
soprattutto per la scelta sbagliata che ha fatto: io ho avuto sciagure ma
almeno fossi stata in seguito la moglie di un uomo migliore (ajndro;~ e[peit j w[fellon ajmeivnono~ ei\nai
a[koiti~ , VI, 350) che conoscesse l’indignazione e le molte onte degli
uomini.
Elena a tratti disprezza Paride, mentre stima Ettore e prova
affetto per lui.
Nel compianto funebre dice che solo lui e Priamo, il
suocero, eJkurov~ furono buoni con
lei, mentre i cognati e le cognate e pure la suocera hJ eJkurhv, la rimbrottavano ( XXIV, 770).
Più avanti vedremo quali aspetti assume la maliarda in altre
opere. Elena, come una parola del
vocabolario, e, al pari di altri
personaggi del mito, assume significati
diversi in diversi contesti.
Vediamo ancora solo un aspetto Ecuba nell’Iliade.
Segnalo il gesto della madre dolorosa che mostra il petto[9]
a Ettore per indurlo a non affrontare Achille: la vecchia regina, aperta la
veste, con una mano solleva il seno, e prega il figlio di ricordare che gli
aveva dato la mammella che fa scordare le pene:"ei[ potev toi laqikhdeva[10]
mazo;n ejpevscon : -tw'n mnh'sai"
(XXII, vv. 83-84)[11].
giovanni ghiselli
Ps. Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/ è
arrivato a 111880
[1]Si tratta di Cibele.
[2]E. Benveniste, op. cit., p. 15.
[3] Nella Civiltà di vergogna "il bene supremo non sta nel godimento di una coscienza
tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica
stima (...) La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di
Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a", dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino,
e va alla morte con gli occhi aperti" Dodds, I greci e l'irrazionale
, p. 30
[4]
Polibio assisté, alla distruzione di
Cartagine, nella primavera del 146, e
racconta del pianto, di Scipione
vincitore che citò questi due versi dell'Iliade
[4]
(448-449) con i quali Ettore prevede la caduta di Troia e versò delle lacrime
A Polibio che domandò
il significato di quel piangere, dicono che il vincitore senza schermirsi
pronunciò chiaramente il nome della sua patria "fasi;n ouj fulaxavmenon ojnomavsai th;n patrivda safw'"", Storie,
38, 22, 3) per la quale temeva quando
rifletteva sul destino delle cose umane.
[5] Il pittore Zeusi (V-IV sec.)
dopo averla dipinta per il tempio di Giunone non aspettò il giudizio della
critica, ma scrisse sulla tela ouj nevmesi~.
[6]
Non solo la guerra ma anche la bellezza può fare paura.
Leopardi, quando tratta di
bellezza nello Zibaldone (pp.
3443-3444), riporta questi della Canzone
XIV di Petrarca ( Rime ,
CXXVI, 53-55):
"Quante volte diss'io allor pien
di spavento
Costei per fermo nacque in
paradiso!".
Quindi fa seguire un commento relativo alla
paura suscitata dalla bellezza:" E' proprio dell'impressione che fa la
bellezza...su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano,
lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto
ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e
risalta."
[7] Paride.
[8]
Nel III libro Afrodite aveva sottratto Paride alla furia di Menelao che stava
per ucciderlo. Il perdente si era salvati dunque con una fuga vergognosa
secondo la morale degli eroi i cui motti soo “non cedere” e “primeggiare
sempre”.
[9]
Il denudamento del seno verrà attribuito
da Eschilo al personaggio di Clitennestra che mostra il petto a Oreste per
indurlo a compassione:" ejpivsce",
w\ pai', tovnde d j ai[desai, tevknon,-mastovn"(Coefore , vv. 896-897), fermati, figlio,
abbi rispetto di questo seno, creatura.
[10] Alceo attribuisce al vino (oi\non…laqikavdea, fr. 96 D. , v.
3) questo aggettivo formato da lanqavnw e kh̃do~.
[11]
“ Sulla terra sono molte buone invenzioni, le une utili, le altre gradevoli:
per esse la terra è amabile. E certe cose vi sono così bene inventate, da
essere come il seno della donna: utili e al tempo stesso gradevoli” F.
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.
252.
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