La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel
Il Mulino, Bologna 2014
Febbraio 2015
Eravamo arrivati ai filosofi che il popolo “chiamava
fannulloni, perché si rifugiavano nel mondo del pensiero” (p. 25).
Questa ritirata però, prosegue Bodei, “non è per le
istituzioni un’innocua contemplazione, ma un subdolo solvente che allenta e
trasforma i vincoli etici e fa dilagare l’immoralità”.
Quindi l’autore cita alcune frasi delle Lezioni sulla storia della filosofia di Hegel che paragona questa
corruzione al desiderio della conoscenza di Eva nel Paradiso Terrestre.
In tali epoche avvengono svolte del modo di pensare che
possono apparire come malanni del pensiero precedente finché non si è chiarito,
consolidato e affermato il pensiero nuovo.
Mi viene in mente come le novità di Socrate[1], e le
innovazioni portate da Euripide alla tragedie vennero malviste da Aristofane e posposte dal pubblico ateniese al tradizionalismo di Sofocle; poi invece
Euripide divenne il drammaturgo più seguito e ammirato dagli autori e dagli
spettatori della successiva Commedia nuova, e Socrate fu addirittura
santificato.
Bodei ricorda il destino di alcuni filosofi, Socrate, Bruno,
Vanini, presi di mira quali nemici degli
antichi ordinamenti. Essi “divengono delle figure tragiche, analoghe a quelle
dei fondatori di nuove religioni, ed espiano anche con la vita il peccato di
aver contribuito alla dissoluzione di un popolo” (p. 26).
Tra quelli che “troppo all’età propria increbbero”[2]
ricordo anche autori di letteratura
condannati, se non proprio alla morte, all’oblio o almeno all’insuccesso a vita
per il fatto di non avere assecondato il modo o la moda di pensare e di
scrivere del loro tempo.
Alcuni, come Leopardi, sono stati riconosciuti quali grandi
poeti e pensatori dopo la fine della loro vita terrena. Infatti il loro
“peccato” era relativo a mode o modi di
pensare, di scrivere e di vivere che stavano invecchiando e sarebbero durati
ancora poco.
“In quanto si continuava a pensare si ebbe il risultato che
i supremi rapporti della vita vennero compromessi. Mediante il pensiero venne
sottratto al positivo la sua forza. Costituzioni statali caddero vittime del
pensiero; la religione è attaccata dal pensiero (…) Perciò i filosofi vennero
esiliati ed uccisi a causa del rovesciamento della religione e dello Stato,
entrambi fra loro essenzialmente solidali. Il pensare si fece così valere nella
realtà effettuale ed esercitò un’enorme efficacia”[3].
“Nel sottrarre al positivo la sua forza, nel sollevare
attraverso il pensiero le nuove esigenze storiche al di sopra dei contenuti di
coscienza finora accettati, i filosofi-come il Gesù degli scritti giovanili-si
innalzano spesso al di sopra del destino del loro tempo, ma prendono sempre su
di loro la croce delle contraddizioni e dell’”immoralità” del presente (La civetta e la talpa, p. 27).
Questo pensiero è sempre attuale e molto concreto: riguarda
non solo i filosofi e i fondatori di religioni ma ogni uomo pur piccolo.
Infatti chi intende esprimere pensieri e sentimenti
propri rispetto a quelli generalmente accettati e continuamente ripetuti ne
viene il più delle volte distolto dalla
forte pressione del luogo comune vigente. Il prezzo che si paga per diventare
se stesso è spesso la solitudine e pochi sono disposti ad affrontarla.
“Ma ecco, non bisogna essere come gli altri”. suggerisce
Alioscia Karamazov allo studente Kolia. “Continuate a essere diverso dagli
altri; anche se doveste rimanere solo,
continuate lo stesso”[4]. Questo
ragazzo tra altre stravaganze aveva
detto che la lingua latina “non è che
una misura di polizia per rintuzzare le intelligenze "[5].
Credo che lo studio dei tecnicismi del greco e del latino insegnati nel
modo una volta molto diffuso[6],
potesse davvero suscitare tale impressione in molti adolescenti cui non veniva
mostrata la bellezza e la sapienza situata al di là degli spiriti, degli
accenti, delle grammatiche e delle sintassi.
In particolare i filosofi, i fondatori di religioni e i letterati capaci di antivedere e di
presoffrire tutto, come il Tiresia di di Eliot[7], sono
chiamati a riconoscere, attraverso la “corteccia”, il “nucleo sostanziale della
realtà, ma per arrivare a ciò occorre un duro lavoro onde cogliere la rosa
nella croce del presente. Per questo si deve prendere la croce su se stessi”[8].
“I filosofi non devono aver paura di essere considerati
immorali o corruttori, perché la corruzione è nell’epoca e la filosofia
contribuisce anzi al suo superamento”
(p. 28)
Hegel così (…) osserva: “Una filosofia procede indubbiamente
dalla propria epoca, e se si vuole intendere la lacerazione di un’epoca come
immoralità, tale filosofia procede dall’immoralità, ma per restaurare con le
proprie forze l’uomo contro la disgregazione dell’epoca per ristabilire quella
totalità che il tempo ha lacerato”[9].
Del resto si possono forse includere anche sistemi
filosofici, o almeno i loro aspetti
prevalenti, nel dubbio espresso dalla già citata frase di Tacito a proposito
delle stagioni, dei costumi e di tutte le cose
:"Nisi forte rebus cunctis
inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur " (Annales
, III, 55), a meno che per caso in tutte le cose ci sia una specie di
ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgono le vicende alterne dei
costumi.
Credo infatti che tra la filosofia, i costumi, e perfino le
mode via via vigenti ci sia una certa interdipendenza. Con Nietzsche tornerà la
critica di Aristofane nei confronti di Euripide e di Socrate.
giovanni ghiselli
[1] Che Leopardi, e non da solo, annovera tra i sofisti
“E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de'
calamistri[1] e de' fuchi[1] e d'ogni
ornamento ascitizio[1] e d'ogni affettazione, che
altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui
derisi?” (Zibaldone, 3474).
[2] Cfr. Giacomo Leopardi, La ginestra, 69
[3] Hegel, Enciclopedia dele scienze filosofiche,
19 Z 3.
[4] F. Dostoevskij, I
fratelli Karamazov, p. 668
[5] Sono parole dello studente
Kolia in I fratelli Karamazov (p. 661) . Questo romanzo è l'ultimo di
Dostoevskij (1821-1881).
[6] Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle
cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale,
scrisse queste parole:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la
sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche
nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra
sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come
può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni
linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e
provocò uno sbadiglio".
[7] And I Tiresias have foresuffered all” T. S. Eliot, The Waste Land ,
v. 243.
[8] Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione
(vol. XII, p. 277 in Werke,
Berlin, 1832)
[9] Hegel,
Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der
Philosophie, in Jener kritische
Schriften, a cura di H. Buchner e O. Pögeller, in Gesammelte Werke, cit. p. 99, trad. It. Di R. Bodei, Differenza fra il sistema filosofico di Fichte
e quello di Schelling, in Hegel, Primi scritti critici, Milano, 1971, pp.
80-81.
SOLO IL TEMPO E LA LONTANANZA PERMETTONO DI COGLIERE QUELLO CHE I FILOSOFI VEDONO NEL PRESENTE...E NON SEMPRE. .... PASSA IL TEMPO E AUMENTANO LE COSE CHE NON CAPISCO, ANCHE NEI RAPPORTI UMANI. GIOVANNA TOCCO
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