Virgili
Un Libro per un giorno di gioia
In occasione della festa di Purim, gli Ebrei della città di Susa narravano le
vicende di una bella regina persiana di stirpe ebrea che aveva rovesciato un
malvagio visir e di un saggio - Mardocheo -che, tolto il potere al
cattivo visir, era diventato ministro al suo posto.
In questa festa, che ha delle manifestazioni esteriormente simili al Carnevale,
gli Ebrei si mascherano e si travestono, cantano, ballano con grande gioia e
allegria.
Purim è, infatti, uno iom tov, cioè un giorno «di gioia, di
banchetto e di festa» (Est 9,19), di natura conviviale e profana, con
ben poco di religioso. Ma la ragione è quella che è scritta nel Libro di Ester:
gli Ebrei hanno salvato la vita, mentre coloro che complottavano contro di loro
sono stati messi a morte (cf. Est 9,l2 ss).
Ghiselli
Cfr. il capovolgimento del carnevale che ribalta la figura del capo: da re a
farmakovς.
Il carnevale contiene spesso uno scoronamento. In questo caso gli Ebrei da
vittime soccombenti diventano vincitori prepotenti. Manca l’idea del perdono.
Verrà impalato non solo il malvagio Hamàn, ma anche i suoi dieci figli per
ordine di Ester. Verranno poi uccisi decine di migliaia di nemici degli Ebrei
dopo il trionfo di Ester e del suo tutore Mardocheo
[1].
Per quanto riguarda lo scoronamento classico, si può pensare all’ Edipo re
di Sofocle dove il protagonista eponimo passa dalla condizione di re amato,
quasi venerato dal suo popolo, a farmakovς,
medicina umana, capro espiatorio che deve essere allontanato con infamia dalla
città di Tebe della quale lui stesso si è scoperto essere il
mivasma, la contaminazione che
appesta la povliς.
Testo della Virgili
“Nel dodicesimo mese, cioè il mese di Adàr, il tredici del mese, quando
l'ordine del re e il suo decreto dovevano essere eseguiti, il giorno in cui i
nemici dei Giudei speravano di averli in loro potere, avvenne invece tutto il
contrario, poiché i Giudei ebbero in mano i loro nemici» (Est 9,1).
Le “sorti” sono state rovesciare! Purim sono, allora, quelle sorti mutate a
favore di Israele. E chi ha potuto realizzare un simile sogno che, invece, la
storia ha spesso negato?
Le mani di una donna, la fanciulla Ester.
Ghiselli-Erri De Luca
“E’ ebrea, vive un culto malvisto, perché esclude tutti gli altri…Oggi il
monoteismo appartiene all’evidenza della storia, all’epoca era un’insolenza da
praticare in segreto, in una terra di esilio. ..Ester deve aggiungere al suo
carattere chiuso anche questa reticenza, il suo tutore gliela inculca da
bambina. Il suo nome ebraico è Hadassa , versione femminile di “hadàs” che è la
pianta del mirto. Il suo nome pubblico è Ester, che viene dal verbo nascondere”[2]
Virgili
La dignità di Vasti
La storia narrata dal Libro è tutta un intreccio di eventi, di nomi, di
imprevisti. Ester è una semplice ragazza ebrea che si trova insieme a tanti
altri della sua gente, dispersa nell’immenso Impero Persiano.
Siamo ai tempi di Artaserse, «quell’Artaserse che regnava dall'India
sopra centoventisette province» (Est 1,1). La Bibbia lo chiama Assuero.
Ghiselli
Assuero dovrebbe essere Serse, figlio di Dario, il re sconfitto a Maratona
(490). Serse è lo sconfitto di Salamina (480 a. C.).
Vasti secono Erri De Luca è “di stirpe reale, nipote di Nabucodonosor”[3].
Artaserse I regnò dopo Serse, dal 465 al 424.
La Bibbia delle edizioni devoniane (1971) identifica Assuero con Serse e in nota
scrive che il greco porta Artaserse “per una confusione con il nome dei suoi
successori[4].
In ogni caso, nei testi greci, il “grande re” dei Persiani viene presentato
come un despota che comanda su uno stuolo di schiavi.
Eschilo nei Persiani contrappone al potere assoluto il sistema
democratico ateniese quando la regina Atossa domanda ai vecchi dignitari chi sia
il pastore e il padrone dell'esercito. Allora il corifeo risponde:"ou[tino"
dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi" (v. 242), di nessun uomo
sono chiamati servi né sudditi.
Il
grande re Serse infatti pur se sconfitto, non è "uJpeuvquno"
povlei" (v. 213), non deve rendere conto
[5] alla città, come invece è tenuto
a fare uno stratego eletto dal popolo.
Nei
versi precedenti la regina madre Atossa racconta un suo sogno: le apparvero due
donne (vv. 180 ss.), una munita pepli dorici, l'altra adorna di vesti persiane,
entrambe grandi, belle e sorelle di stirpe. Simboleggino la Grecia e la Persia.
Tra le due scoppiò una lite: quindi il re Serse cercava di ammansirle e le
aggiogava al carro con le cinghie sotto il collo. Una delle due si esaltò per
questa bardatura e porgeva la bocca docile alle briglie, mentre l’altra
recalcitrava (ejsfavda/ze, v. 194),
con le mani spezzò le redini del carro, lo trascinò a forza senza freni e ruppe
il giogo a metà. Allora, continua la regina, cadde il figlio mio, e gli si
accostò Dario e lo compianse; e Serse, come lo vide, si lacerò le vesti addosso
al corpo (pevplou~ rJhvgnusin ajmfi;
swvmati, v. 199).
Euripide nell’ Ifigenia in Aulide fa dire alla
fanciulla che ha deciso di offrire la sua vita alla patria:"è naturale che gli
Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti
sono schiavi, noi liberi( vv. 1400-1401) "[6].
Isocrate
nel Panegirico[7]
denigra i Persiani attribuendo loro la morale degli schiavi: essi sono educati
alla servitù più compiutamente che i servi degli Ateniesi (150).
Aristotele[8]
nella Politica sostiene che i barbari non hanno la parte che per natura
comanda (o[ti to; fuvsei a[rcon oujk
e[cousin) e quindi la loro comunità è
fatta di schiavi (1252b).
I Greci dunque, e in particolare gli Ateniesi,
sono liberi, mentre i barbari, soprattutto gli orientali, sono schiavi.
In Erodoto, il dio stesso il quale
"suole stroncare tutto ciò che si innalza" (VII, 10, 2
e
), punisce Serse quando vuole diventare signore dell'Europa e dell'Asia :"
ouj ga;r eja'/ fronevein mevga oj
qeo;" a[llon h] eJwutovn"(VII, 10 ),
perché il dio a nessun altro permette di nutrir pensieri di grandezza fuor che a
se stesso.
Il naufragio dell'Artemisio, nella stessa
estate del 480, viene provocato da una tempesta scatenata dal dio affinché la
flotta persiana venisse pareggiata da quella greca e non rimanesse troppo
superiore:" ejpoievetov te pa'n uJpo;
tou' qeou' o{kw" a]n ejxiswqeivh tw '/ jEllhnikw'/ to; Persiko;n mhde; pollw'/
plevon ei[h"(VIII, 13)
Un momento di riflessione piena di tristezza
silenica è quello in cui Serse, invadendo la Grecia, vede l'Ellesponto coperto
dalle navi e dapprima si disse beato (oJ
Xevrxh" eJwuto;n ejmakavrise, VII, 45),
ma subito dopo scoppiò a piangere (meta;
de; tou'to ejdavkruse) per compassione
al pensiero di quanto è breve tutta la vita umana: “
wJ~ bracu;~ ei[h oJ pa'~ ajnqrwvpino~ bivo~,
eij touvtwn ge ejovntwn tosouvtwn oujdei;~ ej~ eJkatosto;n e[to~ perievstai”
(VII 46,2), dal momento che di questi che sono tanti nessuno sopravviverà al
centesimo anno. Allora Artabano, lo zio paterno, lo consolò dicendogli che,
essendo la vita travagliata, la morte è il rifugio preferibile per l'uomo ("ou{tw"
oJ me;n qavnato" mocqhrh'" ejouvsh" th'" zovh", katafugh; aiJretwtavth tw'/
ajnqrwvpw/ gevgone", VII, 46, 4).
Gli
dèi si oppongono alla confusione che deriva dalla mescolanza ncongrua: nelle
Storie di Erodoto, Temistocle, dopo la vittoria di Salamina sui Persiani
di Serse, afferma:"Poiché questa impresa non l'abbiamo compiuta noi, ma gli dèi
e gli eroi i quali non permisero che un uomo solo, per giunta empio e temerario,
regnasse sull'Asia e sull'Europa, uno che teneva in egual conto le cose sacre e
profane, incendiando e abbattendo i simulacri degli dèi, uno che frustò e mise
in catene anche il mare (“o}~
kai; th;n qavlassan ajpemastivgwse pevda~
te kath`ke”(VIII, 109, 3).
"Nel voler superare la distanza degli opposti consiste la
u{bri" di Serse, quando pretende di
aggiogare le due cavalle[9] o le due
rive dell'Ellesponto e cioè terra e mare".[10]
Erodoto sostiene che la divinità è invidiosa
e perturbatrice Storie, I, 32, 1).
Volendo nobilitare questa "invidia degli dèi",
vediamo che essa scatta nei confronti degli uomini di potere che, superando la
giusta misura umana, si inorgogliscono e peccano di
u{bri",
o fanno errori politici, o sbagli militari: come Creso, come Policrate tiranno
di Samo, come Serse cui lo zio Artabano dice che il fulmine si abbatte sugli
edifici e gli alberi più alti, poiché il dio tende a troncare tutto ciò che si
innalza "filevei ga;r oJ qeo;" ta;
uJperevconta pavnta kolouvein", VII,
10).
Così anche un esercito grande viene distrutto
da uno piccolo quando il dio, preso da invidia, gli scateni contro il terrore o
un tuono. Allora gli uomini vanno in rovina in modo indegno di loro. In tanti si
montano la testa per la ricchezza o la potenza, quindi incorrono in peccati che
sono pure valutazioni sbagliate dei fatti umani. La punizione allora viene non
solo dagli dèi ma dalle cose stesse.
La consolazione "silenica" dello zio paterno
Artabano per il pianto del grande re in seguito alla vista dell'Ellesponto
coperto di navi (w{ra pavnta me;n to;n
JEllevsponton uJpo; tw'n new'n ajpokekrummevnon,
VII, 45) e della costa e della pianura di Abido traboccante di uomini (pavsa"
de; ta;" ajkta;" kai; ta; jAbudhnw'n pediva ejpivplea ajnqrwvpwn),
e al successivo pensiero della brevità della vita umana, si conclude con
un'altra "denuncia" dell'invidia degli dèi che, anche in questo caso, può essere
interpretata come un monito contro la dismisura:"oJ
de; qeo;" gluku;n geuvsa" to;n aijw'na fqonero;" ejn aujtw'/ euJrivsketai ejwvn"(VII,
46, 4), e il dio dopo avere fatto gustare la dolce vita si rivela invidioso
verso di lui.
"Certi successi...provocano una forma di
orgoglio per cui l'uomo non riesce a scorgere i suoi limiti e tenta di fare ciò
che è fuori dalle sue possibilità...Erodoto fa di Serse il suo maggiore esempio"[11].
Dall’inizio alla fine delle Storie di Erodoto dunque si ritrova questa
domanda essenziale per il pensiero : “Son felici il ricco e il monarca? Perché
il vivere può preferirsi al morire?”. A questa domanda rispondono i discorsi tra
Creso e Solone, tra Serse e Artabano...anche Anassagora si sforzava di
rispondere alla stessa domanda...secondo Anassagora il dotto soprattutto era
felice"
[12].
Su
questa linea anche Platone che nel Gorgia (470e) fa dire a
Socrate di non sapere se il gran re dei Persiani sia felice poiché non sa come
stia quanto a paideia e a giustizia:"ouj
ga;r oi\da paideiva" o{pw" e[cei kai; dikaiosuvnh"”; quindi aggiunge che
l'uomo e la donna sono felici quando sono belli e buoni, quando sono ingiusti e
malvagi invece sono infelici.
Nelle
Leggi (VII, 802a) più in generale Platone afferma che "non è cosa sicura
onorare i viventi con inni e canti prima che ciascuno abbia percorso fino in
fondo tutta la vita e vi abbia posto una bella fine".
Infatti lo stesso re Serse il quale "stava in un luogo che dominava tutta la
battaglia,/un colle alto vicino alla distesa marina,/ scoppiò in gemiti vedendo
l'abisso dei mali,/poi, lacerate le vesti, levato un acuto gemito,/dato subito
il segno della ritirata all'esercito terrestre,/scappò con una fuga vergognosa"
( Eschilo, Persiani , vv.465-470).
Questa immagine del despota persiano messo in fuga dall'eroismo dei Greci torna
nella canzone All'Italia di Leopardi:
"Allor,
vile e feroce,/Serse per l'Ellesponto si fuggia,/
fatto ludibrio agli ultimi nepoti"(vv.74-76).
Anche nella Bibbia troviamo un ricordo di questa dismisura del despota
persiano .
Assuero regnava dall’India fino all’Etiopia sopra 127 province (Ester,
1, 6). Egli abitava in un palazzo sfarzoso[13],
adornato di ogni pregio: «I divani erano d’oro e d’argento sopra un pavimento
di pietra verde smeraldo» (Est 1,6).
Torniamo alla Virgili
Un giorno decise di fare un banchetto megagalattico
«per gli amici e per quelli delle altre nazionalità, per i nobili dei
Persiani e dei Medi e per i prefetti delle province›› (Est 1,3). A
questo banchetto partecipava, a un certo punto, tutto il popolo al completo.
Dopo aver mangiato e bevuto per giorni e giorni, la prassi voleva che il re
mostrasse ai suoi sudditi la bellezza di sua moglie, senza veli. La regina era
bellissima e si chiamava Vasti. Ma era ribelle e non si volle prestare a questa
opera di propaganda di pessimo gusto di suo marito. Vasti disse di no e non
volle mostrarsi nuda al popolo di Persia! Fu così che Assuero fu costretto a
divorziare e a mettersi a cercarne un’altra.
Ghiselli
Nella Bibbia che consulto non trovo la richiesta della nudità della
regina Vasti. Leggo solo che il re Assuero volle “che conducessero davanti a lui
la regina Vasti con la corona reale, per mostrare al popolo e ai capi la sua
bellezza; ella infatti era di aspetto avvenente” (1, 11)
Ma prendo la versione della nudità (“senza veli) e trovo un parallelo di
questa volontà di mostrare la propria moglie e regina “senza veli” nelle
Storie di Erodoto.
Lo storiografo di Alicarmasso dunque racconta che un re di Lidia del secolo
precedente Serse, cioè Candaule, commise la stessa azione non buona nei
confronti della moglie, sia pure in modo meno scoperto. Comunque la pagò cara.
In questo caso il marito, non la moglie
Ma sentiamo le parole di Erodoto tradotte in italiano[14]:
"Questo Candaule dunque era molto
innamorato della propria moglie, e, siccome innamorato, credeva di avere la
donna di gran lunga più bella di tutte.
Sicché, credendo questo, siccome aveva tra le guardie del corpo Gige figlio di
Daschylos che gli piaceva più degli altri, a questo Gige, Candaule confidava
anche i più importanti tra i suoi affari, perfino arrivando a lodare oltre
misura l'aspetto della moglie. Passato non molto tempo, infatti era necessario
che per Candaule finisse male, diceva a Gige tali parole:"Gige, in
effetti non mi sembra che tu mi creda quando parlo dell'aspetto della mia donna
(infatti le orecchie degli uomini si trovano ad essere più incredule degli
orecchi): fa' in modo di osservarla nuda”.
Quello, dopo avere levato un alto grido,
disse: signore, quale discorso insano fai, ordinandomi di osservare nuda la
signora mia? Con il levarsi di dosso la veste, la donna si spoglia anche del
pudore, Da tempo sono stati trovati i buoni principi dagli uomini, e da questi
bisogna imparare".-
Ma Candaule rispondeva con queste
parole:"Fatti coraggio, Gige, e non avere paura, né di me, che faccia questa
proposta per metterti alla prova, né della donna mia, che da lei ti venga
qualche danno
:"io infatti innanzi tutto farò in modo che ella nemmeno si accorga di
essere vista da te. Infatti ti metterò, nella camera in cui dormiamo, dietro la
porta aperta: dopo che sarò entrato, si presenterà anche la mia donna per venire
a letto. Si trova vicino all'uscita un sedile: su questo porrà le vesti una per
una mentre se le toglie, e ti offrirà di osservarla con grande tranquillità.
Quando poi dal sedile procederà verso il letto, e tu le sarai alle spalle, sia
tua cura da quel momento che non ti veda mentre esci per la porta (Storie,
I, 8, 1-4.)
Gige è costretto a obbedire e a osservare la
regina mentre si spoglia. Quindi si allontana di soppiatto, ma la donna
se ne accorge. Capisce la trama del marito, se ne sente offesa, poiché per i
Lidi, donne e pure uomini, è una grande vergogna essere visti nudi, ma fa finta
di niente rimandando la vendetta.
Traduco qualche altra riga di Erodoto::"Quello
dunque, siccome non poteva sottrarsi, era pronto, e quando, entrata, deponeva le
vesti, la osservava Gige." Poi, come si trovò alle spalle della donna che
andava verso il letto, scivolando via occultamente, tornava fuori.
La donna però lo scorge mentre esce. Poi, pur avendo capito cosa era stato fatto
dal marito, non gridò dalla vergogna né diede a vedere di essersi accorta,
mettendosi in mente di farla pagare a Candaule. Infatti presso i Lidi e più o
meno anche presso gli altri barbari, che anche un uomo sia visto nudo comporta
una grande vergogna". (I, 10, 1-3). In conclusione Gige, costretto dalla donna
proditoriamente osservata nuda, ucciderà Candaule e diventerà re al suo posto.
Questo delitto verrà pagato da Creso, quinto
discendente di Gige.
Creso saà sconfitto da Ciro e il suo regno, la
Lidia, diverrà una satrapia dell’impero persiano.
Rendo la parola alla Virgili
Da concubina a regina
Dopo la destituzione di Vasti, si apre un concorso di bellezza tra le fanciulle
di tutte le province del regno. Entra in scena Mardocheo, figlio di un certo
beniaminita Simèi, il quale aveva fatto crescere nella sua casa una figlia
adottiva, Ester, chiamata anche Adassa.
Ella venne condotta alla reggia e piacque ad Egai, il guardiano delle donne.
Passarono dodici mesi nei preparativi, dopo di che fu presentata al re.
Nell’incontro di una notte Ester piacque molto al re.
per cui, in seguito, fu ammessa al palazzo delle concubine.
Sentiamo ancora De Luca
“Brulicano da noi i concorsi di bellezza dove le giovani candidate esibiscono le
forme assegnate loro dalla biologia. Educate all’esposizione, la offrono come
frutta di stagione. Ma la bellezza priva di reticenza, si contegno interiore e
discrezione, è lustrino che brilla di luce artificiale. Manca di energia
interna, di fonte luminosa. Ester irradia, la miss è irradiata. In questo libro
la bellezza femminile è al grado di incandescenza per essere di servizio a una
missione: su di lei si fonda un episodio di salvezza mai più ripetuto”[15].
Ghiselli
La cosmesi prolungata per dodici mesi sarebbe un’altra forma di dismisura per i
Greci, o almeno per Platone
Platone,
considera la cosmesi non un'arte, ma una
prassi irrazionale, la forma di adulazione che sta sotto (uJpovkeitai),
si sostituisce, alla ginnastica, per quanto riguarda la cura del corpo, come la
culinaria è subordinata alla medicina. La cosmesi ("hJ
kommwtikhv") dunque è "kakou'rgov"
te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(Gorgia
, 465b), malvagia e fallace, ignobile e servile, poiché inganna attraverso
l'apparenza i colori, la levigatezza e i vestiti, in modo da far trascurare la
bellezza naturale che si ottiene con la ginnastica, mentre con i cosmetici ci
appiccichiamo una speciosità esterna.
Nell’Economico di Senofonte,
Iscomaco consiglia alla moglie di tenersi in esercizio affaccendandosi nei
lavori domestici. Infatti quelle che stanno sempre sedute con solennità si
espongono ai giudizi come quelle agghindate e ingannatrici (ta;"
kekosmhmevna" kai; ejxapatwvsa"",
Economico , X, 13).
Ancora la Virgili e la Bibbia
Irreparabilmente sedotto da lei, Assuero giunse ad amarla più di tutte le altre
donne, finché non «le pose in testa la corona e la fece regina al posto di
Vasti» (Est 2, 17).
Ghiselli
Vediamo alcune testimonianze su la forza della bellezza.
Elena, sostiene Isocrate, ebbe la maggior parte delle prerogative della
bellezza che è il più nobile, il più prezioso e il più divino dei beni (Encomio
di Elena, 64):.
Le
cose che non hanno bellezza non possono essere amate; anzi vengono piuttosto
disprezzate
La
bellezza è superiore a tutte le cose esistenti (55). Verso chi porta altre
qualità possiamo provare invidia; mentre verso i belli siamo benevoli (eu\noi,
56 ) al primo vederli e li onoriamo come gli dèi.
Preferiamo asservirci a uno bello che comandare agli altri (57)
Anche Zeus il kratw`n pavntwn (59)
il signore dell’Universo, divenne umile nell’accostarsi alla bellezza e prese
varie forme per unirsi a lei: pioggia con Danae (e nacque Perseo), cigno con
Nemesi (Elena), Anfitrione con Alcmena (Eracle)..
Elena dimostrò la sua potenza (duvnamn)
a Stesicoro che scrisse la Palinodia dopo avere usato parole irriverenti
verso di lei che lo rese cieco.
L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è
particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo.
La
bellezza ha ricevuto questa sorte di essere l’idea che rimane più manifesta e
amabile qua sulla terra. Del resto già nella pianura della realtà,
met’ ejkeivnwn, tra quelle idee,
e[lampen o[n, brillava come essere (Fedro,
250d).
Chi vede una bella persona e ricorda la bellezza ideale, la contempla e venera
religiosamente, e gli spuntano le ali.
La
bellezza può essere curata attraverso il cultus, ma anche trasandata.
Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit,
a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/
cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507-510),
agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse
senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito
e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto d'amore di una
dea.
La
bellezza ha una potenza divina.
Per
quanto riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle donne giovani e belle,
Ovidio negli Amores è molto comprensivo: il tradimento infatti non
sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse deos credamne? Fidem
iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet...Longa decensque fuit:
longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus ocelli,/per quos mentita
est perfida saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare puellis/di quoque
concedunt, formaque numen habet " (Amores , III, 3, 1-2 e 8-12), devo
credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola data,/eppure le rimane
l'aspetto che aveva prima...Era alta e ben fatta; alta e ben fatta rimane./Aveva
gli occhi espressivi: brillano come stelle gli occhi,/con i quali spesso la
perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi eterni permettono alle ragazze/di
giurare il falso, e la bellezza ha una potenza divina.
Leopardi
afferma la supremazia della bellezza su tutti gli altri valori nell'Ultimo
canto di Saffo dove la poetessa di Lesbo constata che il potere è dei
belli:"Alle sembianze il Padre,/alle amene sembianze eterno regno/diè nelle
genti; e per virili imprese,/per dotta lira o canto,/virtù non luce in disadorno
ammanto," (vv. 50-54).
In
definitiva, come scrive Simonide citato da Adimanto, fratello di Platone nella
Repubblica l'apparire violenta anche la verità:"
to; dokei'n...kai; ta;n ajlavqeian bia'tai"
( 365c).
Euripide viceversa fa dire alla vedova di Ettore che sono i valori morali delle
spose a tenere avvinti i mariti: "Non certo per i miei farmaci[16]
ti[17]
odia lo sposo/ ma se non sei adatta a vivere con lui./E' un filtro amoroso
anche questo: non la bellezza, o donna,/ ma le virtù fanno felici i mariti."- (
Andromaca, vv. 205-208 ).
La bellezza raffinata si accompagna alla semplicità e alla sobrietà.
La bellezza deve essere coniugata con la semplicità, come dice in sintesi
il Pericle di Tucidide:"filokalou'mevn te
ga;r met j eujteleiva"[18]
kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in effetti
amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Vediamo infine alcune parole dell'Idiota di Dostoevskij sulla
bellezza femminile, quella di Aglaja Ivanovna :"E' difficile giudicare la
bellezza..La bellezza è un enigma...Una bellezza simile è una forza...con una
simile bellezza si può rovesciare il mondo"[19].
Di nuovo la Virgili
Il decreto di sterminio
Mentre Ester, ormai regina, se ne stava circondata da ogni agio al chiuso della
corte di Susa, il destino dei suoi fratelli ebrei, fuori dal Palazzo, era
tutt'altro che allegro. L’Agaghita Amàn, che era stato promosso primo ministro,
aveva voluto giurare vendetta contro di loro, a causa di Mardocheo.
Quest’ultimo, infatti, non gli tributava il debito onore e non gli rivolgeva
l’inchino quando il visir gli passava accanto: «Mardocheo non si
prostrava davanti a lui» (Est 3,5). Amàn, allora, «si indignò e
decise di sterminare tutti i Giudei che si trovavano sotto il dominio di
Artaserse» (Est 3,6).
Ghiselli
Alessandro Magno quando adottò costumi persiani pretese la
proskuvnhsiς
Il sofista Anassarco[20],
lo approvava e adulava, mentre il suo storico
storiografo ufficiale Callistene di Olinto lo criticava. Alessandro lo
fece ammazzare nel 327 dopo la seconda
congiura, quella dei paggi..
.
Virgili- Bibbia
La questione fu così presentata ad Assuero: «Vi è un popolo segregato e anche
disseminato fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono
diverse da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re; non
conviene che il re lo tolleri. 3, 8.
Ghiselli-Tacito
La Giudea è stata descritta in un celebre
excursus delle Historiae come una regione corrotta abitata da gente
corrotta: “Moyses quo sibi in posterum gentem firmaret, novos ritus
contrariosque ceteris mortalibus indidit. Profana illic omnia quae apud nos
sacra, rursum concessa apud illos quae nobis incesta” (Historiae, V,
4), Mosè per tenere legato a sé il popolo nell’avvenire, introdusse riti
inauditi e contrastanti con quelli degli altri mortali. Empio è là tutto quanto
da noi è sacro e, viceversa, lecito tutto quanto da noi è impuro.
Tacito ricorda alcune usanze e riti giudaici
che si giustificano con l’antichità, quindi riassume: “cetera instituta,
sinistra, foeda, pravitate valuere” (V, 5), le altre costumanze, sinistre,
ripugnanti, si affermarono per la depravazione.
Lo storiografo latino respinge l’analogia che
si è voluta trovare tra il padre Libero e il dio venerato dai Giudei: “Quippe
Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaerom mos absurdus sordidusque” (Historiae,
V, 4), Libero infatti ha istituito riti festosi e lieti, mentre il costume dei
Giudei è assurdo e squallido.
Poco più avanti (Historiae V, 5), Tacito aggiunge:"necare
quemquam ex agnatis nefas ", sopprimere uno qualunque dei figli è un
misfatto.
Quindi gli Ebrei, come i Germani[21],
non praticano l’aborto diffusissimo a Roma. Il motivo per cui rifuggono
dall'infanticidio è che quella gente tende comunque all'incremento della
popolazione:"Augendae tamen multitudini consulitur ". Il contesto
dell’excursus ebraico non è mai elogiativo: i Giudei diffonderebbero il
costume di disprezzare degli dèi, rinnegare la patria, non considerare genitori,
figli, fratelli (contemnere deos, exuere patriam, parentes, liberos, fratres,
vilia habere ).
Virgili-Bibbia
Se così piace al re si ordini che esso sia distrutto» (Est 3,8-9a). Si
trattava di un popolo insignificante, di cui non viene citato neppure il nome,
però scomodo, non solo perché numeroso e disseminato in tutte le province, ma
specialmente perché «questa nazione è unica ad essere in contrasto con ogni
essere umano, (...) e che, ostile ai nostri interessi, (...) ostacola la
stabilità del regno» (Est 3,13e).
Nessun impero sopporta la presenza di gente libera e diversa. Ogni impero ha
bisogno di muta accettazione per reggersi e imporsi. Ieri come oggi. Al tempo di
Assuero come al tempo di Hitler. Sta di fatto che Assuero si fida ciecamente di
Amàn e promuove subito la sua richiesta.
Il lutto degli Ebrei
Ed ecco che la scena si sposta alla porta del Palazzo dove Mardocheo, venuto a
sapere dell’editto che ordinava lo sterminio degli Ebrei, si straccia le vesti e
fa lutto. Alla sua desolazione corrisponde quella di tutti i suoi fratelli che,
in ciascuna provincia, reagiscono alla notifica dell’editto con digiuno, pianto,
letti di sacco e cenere.
Ma ecco che di nuovo i riflettori narrativi si spostano dentro le stanze del
Palazzo, dove – che strano! – Ester non sa ancora nulla. In questa estraneità
della regina alla tragedia che colpiva il suo popolo - veramente eccentrica se
si pensa che in tutte le province dell'Impero (dall’India all'Etiopia) i Giudei
lo avevano saputo -, il narratore vuole mostrare la distanza che separava
un’ebrea, che ormai era diventata la regina persiana, dalle condizioni del suo
sfortunato popolo di origine.
Quell’ambiente, una volta conquistato, può diventare una maschera di oblio per
chi vi abita e sta lì dentro al sicuro. Una sorta di campana di vetro dove anche
colui che una volta era straniero, era povero, era subalterno, adesso, da questa
posizione non percepisce più le voci, le grida, le ingiustizie che colpiscono e
coinvolgono i suoi stessi fratelli.
La grandezza di Ester
Ma siccome è cieco chi non vuole vedere e sordo chi non vuole sentire, la regina
volle invece sapere e uscire dalla sua aura dorata di superficialità e
privilegio. Si informò su cosa fosse accaduto ai suoi fratelli ebrei e così
venne a conoscenza del decreto di sterminio che gravava su di loro. Grandi
saranno le difficoltà che dovrà affrontare per presentarsi al re, suo marito, e
chiedere la grazia per gli Ebrei di Persia.
Ma Ester sceglie di esporsi, di rischiare, di non tacere! E lo fa nell’umiltà di
chi esige un digiuno perché la sua causa abbia successo (cf. Est 4,16) e digiuna
lei stessa per tre giorni fino a dichiararsi pronta anche a morire.
Sa che non potrebbe salvarsi da sola!
La giovane regina intraprende una serie di azioni sagge e coraggiose, finché
riesce a far destituire Amàn, fautore dell’editto di morte, e a salvare così il
suo popolo dall’orrore e dall'assurdità di una programmata “soluzione finale”.
Ester difende il suo popolo dalla morte e proclama che la vita di ogni uomo non
si può vendere per denaro - Amàn aveva ricevuto un premio in denaro per la morte
degli Ebrei! -, e che nessun popolo può essere cancellato perché il potere di un
altro popolo o di un solo uomo sia assoluto e unico sulla terra.
Rovesciare le sorti, rovesciare la storia
Ester sarà la “sacerdote” della salvezza del suo popolo. Sarà lo strumento del
“capovolgimento” delle sorti stabilite dagli dei di Persia. Saranno il suo
coraggio e il suo deciso intervento a cambiare il colore della morte in sapore
di vita, irridendo il destino (pur[22]).
La festa dell’allegria sarà proprio questa “derisione del destino” da parte di
una donna che, pronta a lottare per difendere la vita, non teme un potere che
sembra fatale. Ester celebra la forza della preghiera e della fraternità, delle
virtù umane e dei legami ancestrali e divini; esalta l’atto di libertà
per cui ogni uomo può scegliere e promuovere il bene, opponendo resistenza a
quelle che sembrano forze assolutamente più grandi.
La sapienza fu all’orecchio di Ester perché seppe cogliere il “tempo opportuno”
per fermare la mano della morte: la scadenza dello sterminio era precisa!
Ghiselli
Il “tempo opportuno” corrisponde al
kairòs dei Greci
Sofocle che è uno dei più grandi creatori della letteratura e della cultura
europea, dalla tragedia alla psicoanalisi, fa dire a Oreste che perdere
l'occasione, il tempo opportuno, significa rinunciare all’azione :"kairo;"
gavr, o{sper ajndravsin-mevgisto" e[rgou pantov" ejst j ejpistavth"" (
Elettra, vv. 75-76), l'occasione infatti è appunto per gli uomini la più
grande sovrana di ogni agire. Isocrate[23]
uno dei pilastri della paideia occidentale, quella cultura generale fondata sul
saper parlare in maniera elegante, efficace e persuasiva, nel manifesto della
sua scuola, Contro i sofisti [24]
afferma che difficile non è tanto acquisire la conoscenza dei procedimenti
retorici, quanto non sbagliarsi sul momento opportuno per usarli:"tw'n
kairw'n mh; diamartei'n"(16), ossia non bisogna fallire l’occasione
Non bisogna infatti dimenticare che
l'occasione "è calva di dietro"[25]
e va acciuffata, ossia presa per il ciuffo.
Marlowe risale forse a Fedro (V, 8) che
ricorda come gli antichi foggiarono l’immagine del Tempo un uomo calvus,
comosa fronte, nudo occipitio. Tale immagine (effigies)
occasionem rerum significat brevem.
Infine Nietzsche: “Forse il genio non è affatto così raro: sono rare le
cinquecento mani che gli sono necessarie per dominare il
kairov~, “il momento opportuno”, per
afferrare per i capelli il caso!”[26].
Virgili
Ester seppe cambiare la parte più difficile dell'uomo: il cuore di Assuero.
Seppe interrompere la forza miope del consenso e neutralizzare il
pachiderma oppressivo della macchina istituzionale e burocratica dell’immenso
Impero Persiano.
Tutto ciò per amore della vita, del suo popolo; per amore della giustizia, dei
più deboli e del genere umano.
Una giovane trovatella ebrea riuscì a fare quanto neppure i grandi eserciti del
mondo, neppure le più sofisticate diplomazie, neppure la Chiesa Cattolica – pur
con tutto l’impegno e il rischio investiti-,
cercarono di attuare: impedire la Shoah, il genocidio degli Ebrei.
Se la storia di Ester è il racconto di un sogno, questo sogno è stato scritto
per noi.
Giovanni Ghiselli
Ne farò il “controcanto” alla relazione della Virgili il 26 febbraio alle 21
nell’ex cinema Castiglione di Bologna
Bibliografia dei testi citati dalla Virgili
C.M. BECHTEL, Ester, Claudiana, Torino 2005.
J. VILCHEZ LINDEZ, Rut ed Ester, Borla, Roma 2004 (or.spagnolo 1998).
L. MAGGI, Le donne di Dio. Pagine bibliche al femminile, Claudiana,
Torino 2009.
P. ROTA SCALABRINI, M. ZATTONI, G. GILLINI, Ester. La seduzione del bene.
Queriniana,
Brescia 2009.
R. VIRGILI, Su la maschera! Usi ed abusi da Ester alla chirurgia estetica,
Cittadella, Assisi 2010.
Note
[1] Mordekhai: da una radice “méred” che significa
ribellione (Erri De Luca, Ester, Libro di donne, p. 28 n. 2
[2] Ester, Libro di donne, di Erri De Luca,
Feltrinelli, 2014, p. 13.
[3] Op. cit., p. 21 n. 16
[4] Erri De
Luca scrive: “Aliaveròsh: tradotto in greco Artaxerxes, è figlio di
Dario (485/465 a. C.)” Op. cit., p. 19 n.1.
[5] Un
altro personaggio tragico che afferma l'insindacabilità del potere
assoluto è Lady Macbeth nella scena del sonnambulismo:"What need we
fear who knows it, when none can call our power to account it?" (Macbeth,
V, 1), perché dovremmo temere chi lo sappia, quando nessuno può chiamare
la nostra potenza a renderne conto?
[6]
Demostene nella III Olintiaca
(del 348, quando vuole convincere gli Ateniesi a soccorrere la città
della Calcidica contro Filippo di Macedonia) scrive che una volta il re
di Macedonia obbediva agli Ateniesi, ed era giusto essendo un barbaro
che obbedisse ai Greci (24)
[7] Un caldo elogio di Atene, del 380 a. C.
[8] 384-322 a. C.
[9] Veramente sono due donne come abbiamo visto: una
in vesti doriche, l'altra persiane (n.d. r.).
[10] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p.
27.
[11] Bowra, op. cit., p. 168.
[12]
S. Mazzarino, Il pensiero storico classico I, pp.
178 e 179.
[13] Per
contrasto, cfr. Seneca contro il lusso
Seneca :"qui domum intraverit nos
potius miretur quam supellectilem nostram " (Ep. a Lucilio ,
5, 6) , chi sarà entrato in casa nostra ammiri noi piuttosto che le
nostre suppellettili.
[14] Tutte le traduzioni dal greco e dal latino sono
mie.
[15] Erri De Luca, Op. cit., p. 14.
[16] Con
i favrmaka (v.205) e il
fivltron (v. 207) Andromaca
allude ai filtri e alle droghe delle maghe del mito e della letteratura:
Circe, Calipso, Medea.
[17] Andromaca sta parlando con Ermione trascurata da
Neottolemo che è suo marito.
[18] E’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo
facile da pagare (eu\, tevloς)
è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa
dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.
[19]F. Dostoevskij, L'idiota (del 1869), p. 96
e p. 101.
[20] Di Abdera, fu allievo di Democrito e maestro di
Pirrone di Elide.
[21] Numerum liberorum finire aut quemquam ex
agnatis necare flagitium habetur (Germania, 19, 2)
[22] “una specie di dado gettato per ricavare
pronostici. Da questo nome viene la festa ebraica di Purìm, nella quale
si legge questo libro di Ester. Pur è vocabolo usato solo qui” (Erri De
Luca, Op. cit., p. 42, n. 123
[23] 436-338 a. C.
[24] Del 390.
[25] C. Marlowe, L'ebreo di Malta, V, 2.
[26] Di là dal bene e dal male, Che cosa è
aristocratico? 274.
Dicono che un ciuffo di peli tiri più di un carro di buoi.....si,quando gli uomini reagivano agli stimoli.Da quello che raccontano le donne direi che per gli ebrei, oggi ,Ester potrebbe fare ben poco!Viva gli uomini che ancora funzionano e le donne capaci di metterli in moto....Giovanna Tocco
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