Presentazione del libro di Lidia Pizzo
Sette anni di riflessioni sull’arte e dintorni
Per le riviste In Camper” e “Nuove Direzioni-Cittadino e Viaggiatore”
Thema edizioni, Città Di Castello, 2014.
Oggi presento il primo capitolo
Il valore della stupidità. Guardare con stupore per vedere il mondo (pp. 19-21)
L’autrice chiede al lettore di non meravigliarsi del titolo di questo articolo che costituisce il primo capitolo, ma poi tutto il pezzo è un elogio dello stupore e della meraviglia, la facoltà dalla quale secondo Platone e Aristotele nascono il pensiero e la filosofia.
Chi non si meraviglia accetta e ripete tutti i luoghi comuni, compresi quelli più vieti, rozzi e lontani dalla realtà.
Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi, afferma Platone1 e dal fatto che il giovane Teeteto si meraviglia, deduce la sua attitudine alla filosofia. Il dialogo verte sulla conoscenza (ejpisthvmh) e Teeteto è un giovane pregno (ejgkuvmwn, Teeteto, 210 b) di riflessioni.
Teeteto dice che si meraviglia enormemente davanti alle sensazioni e Socrate gli dice: “mavla ga; r filosovfou toũto to; pavqoς, to; qaumavzein (155d), questo è davvero il pathos filosofico, meravigliarsi.
Aristotele sostiene che gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, sia ora sia in origine, a causa della meraviglia: "dia; ga; r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n"2.
Dallo qaumavzein non nasce solo la filosofia ma anche la poesia e tutta la cultura. Aristotele precisa che il filovsofo~ è anche filovmuqo~ poiché il mito è composto da cose che suscitano meraviglia oJ ga; r mu'qo~ suvgkeitai ejk qaumasivwn (Metafisica, 982b).
La Pizzo dunque procede dichiarando la volontà di “scardinare un po’ le vecchie consuetudini dei libri paludati (…) quei libri dall’eloquio pertinente, elegante, forbito e così via” (p. 19).
Libri che spesso scimmiottano altri libri di autori prestigiosi e tanto autorevoli che non è ammissibile non solo contraddirli ma anche ignorarli.
Chi lo fa rischia di “increscere troppo alla propria età” e quindi lo aspetta l’oblio3, almeno finché non cambia la moda che del resto non dura molto siccome è sorella della morte.
Oltre Leopardi, Schopenhauer fu a lungo ignorato perché criticava i baroni cattedratici degli anni in cui trionfava Hegel
Ma sentiamo i due autori menzionati. Leopardi elogia la semplicità e condanna l’affettazione che ne è l’antitesi: “La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto ama il semplice…La semplicità è bella perché spessissimo non è altro che naturalezza; cioè si chiama semplice una cosa, non perch’ella sia astrattamente e per se medesima semplice, ma solo perché è naturale, non affettata, non artifiziata”4.
Schopenhauer polemizza contro la filosofia delle università, fatta di "ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la loro verbosità perfino le verità più comuni e più comprensibili"5.
Tante volte la Pizzo, dal momento che non ripeteva i luoghi comuni degli imbecilli, si è sentita zittire con l’ordine dell’intolleranza: “Non dire stupidaggini!” (p. 19). E confessa che talora ha provato angoscia “o come dicono loro Angst ” pensando alla sicurezza, alla scienza, alla saggezza dei cattedratici, dei sapientoni, dei dottori più o meno sottili. .
Poi l’autrice ha intuito, o ricordato, una verità che è stata affermata più volte nella storia letteraria europea da autori di primo livello che del resto da vivi hanno avuto poco o punto successo per questa e altre affermazioni stupefacenti: “il sapere non è sapienza”.
Ne faccio una rassegna non breve. Chi non è interessato può saltarla
Euripide fa dire alle sue menadi: "to; sofo; n d j ouj sofiva" (Baccanti, v. 395), il sapere non è sapienza. La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”6 .
E. Dodds indica un nesso tra questa sentenza del primo stasimo delle Baccanti e la transvalutazione lessicale denunciata da Tucidide7: “‘cleverness is not wisdom’, ‘the world’s Wise are not wise’ (Murray). Here again the Chorus take up a thought expressed in the preceding scene: to; sofovn has the same implication as in 2038; it is the false wisdom of men like Pentheus, who fronw'n oujde; n fronei' (332, cf. 266 ff. , 311 ff. ), in contrast with the true wisdom of devout acceptance (179, 186)… for the paradoxical form cf. I A. 1139 oJ nou'~ o{d j aujto; ~ nou'n e[cwn ouj tugcavnei9, Or. 819 to; kalo; n ouj kalovn10. Such paradoxes are the characteristic product of an age when traditional valuations are rapidly shifting in the way described in the famous passage of Thucydides on the transvaluatation of values, 3, 82”11, ‘l’ingegnosità non è sapienza’, ‘la Maniera del mondo, non è saggia’ (Murray). Qui di nuovo il Coro assume un pensiero espresso nella scena precedente: il sapere ha la stessa implicazione che al v. 203; è la falsa sapienza di uomini come Penteo, il quale pur avendo la mente non ha la sapienza (332, cfr. 266 ss. 12 311 ss. 13), in contrasto con la vera saggezza della pia accettazione (179, 18614).
Un’ idea del genere si trova nel discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato per il grande dittatore deve parlare alla folla con parole che legittimino e anzi esaltino la prepotenza del tiranno, presentato come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua così: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.
La sapienza non è di vedute basse e volgari: Pindaro nell’ Olimpica IX afferma che diffamare gli dei è odiosa sapienza (tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra; sofiva, vv. 37-38), e che le montagne della sapienza, essendo scoscese (sofivai menv-aijpeinaiv, 107-108), comprendono la forza della natura e richiedono grandi forze per scalarle.
La cultura insomma deve essere "qualcos'altro che decorazione della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame, poiché ogni ornamento nasconde la cosa ornata. Così gli si svelerà il concetto greco della cultura (…) il concetto della cultura come una nuova e migliore physis, senza interno ed esterno, senza dissimulazione e convenzione, della cultura come unanimità fra vivere, pensare, apparire e volere15.
“Voglio, una volta per tutte, non sapere molto. - La saggezza pone dei limiti anche alla conoscenza”16.
“Eliot affermava: “Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell’informazione e qual è la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?. Si tratta, nell’educazione, di trasformare le informazioni in conoscenza, di trasformare la conoscenza in sapienza…”17.
Già Cicerone nel De officiis19 mette in rilievo il fatto che la conoscenza (cognitio) sarebbe manchevole in un certo modo e incompiuta (manca…atque inchoata) se non ne seguisse alcuna attività pratica: "si nulla actio rerum consequatur (I, 153).
Tale attività deve vedersi nella tutela dei vantaggi dell'uomo, e, siccome riguarda la società del genere umano, l’ actio va anteposta alla conoscenza priva di azione : " haec cognitioni anteponenda est" I, 153.
Se alla conoscenza non fosse connessa la virtus, che contribuisce alla tutela degli uomini, tale cognitio risulterebbe solivaga et ieiuna (I, 157), isolata e arida. Quindi ogni officium che mira ad societatem tuendam, a difendere la società umana, deve essere anteposto ai compiti che si limitano alla conoscenza teorica (De officiis, I, 158).
Lo studio va fatto per la vita e per l’attività poiché la vita stessa è fatta per la vita e per l’attività: “La vita è fatta naturalmente per la vita, e non per la morte. Vale a dire è fatta per l’attività, e per tutto quello che v’ha di più vitale nelle funzioni dei viventi (5 Maggio 1822)”20.
Anche il classicismo e il realismo di Petronio, attraverso lo scholasticus Encolpio, denunciano la separazione della scuola dalla vita: "et ideo ego adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his, quae in usu habemus aut audiunt aut vident, " (Satyricon, 1, 3), e perciò io penso che i ragazzi nelle scuole diventino stupidissimi, poiché niente ascoltano o vedono di quello che è utile nella vita.
Petronio21, epicureo, atticista e classicista, dichiara che la vita contiene situazioni più interessanti di tutte le scuole di retorica.
E' la critica della scissione tra letteratura e vita che si ritrova in Marziale: "Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyasque/invenies: hominem pagina nostra sapit "(X, 4, 9-10), non qui troverai Centauri, Gorgoni e Arpie: la nostra pagina sa di uomo.
Insomma ogni conoscenza, compresa quella delle lingue classiche, deve servire al progresso dell'uomo.
Il Galileo di Brecht nell'ultima scena del dramma22 afferma il dovere morale di rendere il sapere funzionale al bene dell'umanità: "Che scopo si prefigge il nostro lavoro? Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare le fatiche dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo".
L'egoismo degli affaristi invece vuole una scienza e una scuola che portino al profitto monetario. Secondo questa gente "l'educazione sarebbe definita come l'esatta cognizione per cui si diventa completamente attuali, nei bisogni e nella loro soddisfazione, per cui però, in pari tempo, si dispone, nel modo migliore, di tutti i mezzi e le vie per guadagnare il più facilmente possibile del denaro. Formare il maggior numero possibile di uomini correnti- a quel modo per cui si dice corrente di una moneta- questo dunque sarebbe il fine; e un popolo, secondo questa concezione, sarà tanto più felice quanti più uomini correnti del genere possederà…Qui si odia ogni educazione che renda isolati, che ponga dei fini al di là del denaro e del guadagno…Secondo la moralità che qui è valida, si apprezza…una istruzione rapida per diventare presto un essere che guadagna denaro e una istruzione approfondita quanto basta per diventare un essere che guadagna moltissimo denaro"23.
Non deve esserci conflitto tra il sapere scientifico e la sapienza umanistica.
Gli insegnanti di lettere antiche devono essere maestri di umanità, e di quell’ umanesimo del quale non possono fare a meno gli scienziati.
E' quello che Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus: "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (. . . ) dalla cattedra ho spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"24. E’ il caos che si fa cosmo.
Il didattichese parla di saperi fumosi. A questi contrappongo altro sapere. Quello che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh; r w[n25" (v. 567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.
Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo cieco, esule e mendico, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, chiedendo di che cosa abbia bisogno: “kaiv s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai26, duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph; n ejmou' t j e[cwn,-aujtov" te chj sh; duvsmoro" parastavti"", (vv. 556-559), e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e l’infelice che ti aiuta.
Quindi significa ascoltare, mettersi nei panni del supplice e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte.
"Fammi sapere-continua l’umano re di Atene- infatti dovresti raccontarmi misfatti atroci perché mi sottraessi; poiché so che anche io sono stato allevato da straniero, come te, e in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu, in quanto so di essere uomo (e[xoid j ajnh; r w[n, v. 567) e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a te" (vv. 560-568). Queste parole potrebbero essere utili alla rieducazione dei razzisti nostrani.
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina.
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: "Homo sum: humani nil a me alienum puto "27.
Il fatto di comprendere comporta un processo di identificazione. Ascoltare è parte essenziale di questo umanesimo, ascoltare e farsi ascoltare: "Se avrai davanti a te gente cattiva che non vorrà ascoltarti, prosternati davanti ad essa e chiedile perdono, poiché, in verità, anche tu sei colpevole se non vogliono ascoltarti. E se non puoi farti ascoltare dagli uomini ostili, taci e servili con umiltà, senza mai perdere la speranza"28.
Anche Oblomov di Gonĉarov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità: "Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"29.
“Ma oggi chi si prende cura del cuore? Del cuore in senso forte, così come Pascal lo descrive quando parla di esprit de finesse da armonizzare con l’ esprit de géometrie 30, quindi con la nostra intelligenza che, senza cuore, non diventa solo lucida e fredda, ma origine prima del male, quel male assoluto che il Genesi descrive quando, nl tratteggiare la figura di Lucifero, ne parla come del “più intelligente degli angeli”31”32.
“Le università non sono scuole di saggezza, sono scuole di sapere, ma tacitamente postulano come conosciuto ciò che esse non possono insegnare: la capacità di osservare, la stupefazione goethiana, e i loro spiriti migliori non conoscono altra finalità più nobile che costituire un altro gradino perché Goethe e altri nuovi saggi si manifestino di nuovo"35.
La Pizzo dunque ha sofferto l’epiteto di stupida, finché consultando il vocabolario si è accorta che quell’aggettivo contiene lo stupor, lo stupore che, dicevamo, è il presupposto dell’indagine e della filosofia.
Allora l’autrice racconta “Una luce si accende nel buio della mia mente. Corro al dizionario etimologico. Non l’avresti fatto pure tu? Arguisco che la radice di stupidità, attraverso mille passaggi di lingua in lingua, in definitiva significa “l’ottusità che colpisce” (p. 20).
Quindi la Pizzo può “affermare con cognizione di causa “Come è straordinaria e felice la libertà di essere stupidi!”
Tale libertà infatti emancipa chi la possiede “dalla necessità di apparire intelligenti a ogni costo”.
Segue la rivendicazione della libertà di andare contro mano e di fruire di uno spazio illimitato di dissenso.
Mi viene in mente Antigone, la ragazza di Sofocle quando alla pavida sorella Ismene risponde "ajll j oi\d j ajrevskous j oi|" mavlisq j aJdei'n me crhv" (Antigone, v. 89), ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia".
La nostra autrice anzi ringrazia quanti hanno dato giudizi di valore negativo sul suo conto, poiché lei ha comunque utilizzato quella enérgheia.
“Sempre meglio dell’indifferenza che è morte e per questo mi sento viva, perché “IO” ho conquistato la libertà di essere stupida “cosciente” e quindi uomo, pardon donna, ma fa lo stesso. La cultura accademica è sempre conservatrice, in quanto crede di capire il mondo e di spiegarselo e ciò presuppone a monte un interesse economico-spirituale in cui ci deve essere un “guadagno” culturale in quel che si dice e mai si può andare in perdita magari entrando in contraddizione con se stessi, Io ho deciso di rimetterci, in nome della libertà di essere stupida (…) Gli stupidi hanno la libertà della “cantonata”, la cultura ufficiale è costretta dal suo interno a essere malata di positività, a stare sempre sul palcoscenico estetico ed estetizzante, pertanto non può uscire da sé. Gli stupidi possono farlo, l’infanzia del mondo, lo stupor (la meraviglia) dinanzi allo spettacolo del mondo appartiene a loro (…) Io, riflettendo sulla breve magari seccata frase che mi hanno sempre rivolto, sono “cresciuta dal latino cresco, dalla stessa radice di creare. E voi? E gli altri? Grazie e non voletemene per queste apparentemente paradossali riflessioni” (p. 21)
Io ringrazio a mia volta Lidia Pizzo perché autorizzando se stessa alla diversità e alla trasgressione, ha rafforzato anche l’autorizzazione mia a diventare quello che sono, costi quel che costi
giovanni ghiselli
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1 Teeteto, 155d.
2 Metafisica , 982b.
3 Cfr. Leopardi, La ginestra: obblio/Preme chi troppo all'età propria increbbe”. ( vv. 68- 69).
4 Zibaldone, 1411-1412.
5 Parerga e paralipomena p. 210, vol. I
6 La nascita della tragedia , p. 122 e p. 123.
7 Storie, III, 82, 4
8 Le tradizione ricevute dai padri, quelle che possediamo/coeve con il tempo, nessun ragionamento le abbatterà,/neppure se per opera di menti appuntite viene trovato il sapere (oujd j eij di j a[krwn to; sofo; n hu{rhtai frenw'n) (Baccanti, vv. 201-203), parla Tiresia (ndr)
9 Questa astuzia, sebbene costui abbia astuzia, non funziona. Clitennestra parla ad Agamennone che fa il finto tonto Ndr.
10 E’ secondo stasimo: il Coro di fanciulle argive che deplora l’assassinio di Clitennestra, un atto ambiguo : può apparire bello ma non lo è. Ndr.
11 E. R. Dodds, Euripides Bacchae, p. 121
12 Quando un uomo saggio abbia preso buoni spunti/per le sue parole, non è grande impresa il parlare bene; /tu hai sì una lingua sciolta, come se avessi senno,/ma nei tuoi discorsi non c'è senno (Baccanti, 266-269). Ndr
13 Via Penteo, da' retta a me: /non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini,/e non credere, se tu hai un'opinione, ed è un'opinione malata,/di avere una qualche sapienza; invece accogli il dio nella nostra terra/e fai libagioni e baccheggia e incoronati la testa. (Baccanti, 309-313) Ndr.
14 O Carissimo, poiché ho inteso udendo la tua voce/saggia da un uomo saggio, stando nella reggia/eccomi pronto con questo costume del dio; /bisogna infatti che quello essendo figlio della figlia mia/(Dioniso che si rivelò dio agli uomini)/per quanto ci è possibile sia esaltato come grande. /Dove bisogna danzare, dove fermare il piede,/e scuotere la testa canuta? Fai da guida tu vecchio/a me vecchio, Tiresia: tu infatti sei saggio. /Poiché non potrei stancarmi né di notte né di giorno/di battere la terra con il tirso: ci siamo dimenticati volentieri/di essere vecchi (Baccanti, 178-190). E’ Tiresia che parla a Cadmo. Ndr.
15Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita in Considerazioni inattuali, II, p. 160.
16 Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, p. 5.
17 Morin, La testa ben fatta, p. 45.
18 T. S. Eliot, Gerontion, v. 34.
19 44 a. C.
20 Leopardi, Zibaldone, 2415.
21 Penso che l'autore del Satyricon sia l' elegantiae arbiter della corte di Nerone (cfr. Tacito, Annales, XVI, 18).
22 Vita di Galileo, del 1957. Cito dalla traduzione di Emilio Castellani.
23 F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore, p. 211.
24T. Mann, Doctor Faustus , pp. 12 e 14.
25 Questa espressione può essere un ottimo punto di partenza per spiegare il participio predicativo, e poi “condirlo” , come si diceva (capp. 18 e 19) , con la letteratura.
26 Aferesi da ejperevsqai, infinito aoristo da ejpeivromai, “domando”
27Heautontimorumenos ,77.
28 F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 403.
29 Ivan Gonĉarov, Oblomov (del 1859), p. 53.
30 B. Pascal, Pensées (1657-1662, prima edizione 1670); tr. It. Pensieri, Rusconi, Milano 1991, &21.
31 Genesi, 3, 1.
32 U. Galimberti, L’ospite inquietante, p. 50.
33 Seneca, Ep. , 37, 4.
34 Confessiones, 5, 5, ecco la sapienza è pietà.
35H. Hesse, La bellezza della farfalla , in Hesse L'arte dell'ozio , pp. 401-402.
autorizzare se stessi alla trasgressione....ci penserò. Giovanna Tocco
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